Category: musica di merda


Qualche tempo fa l’orrendo Giovanni Allevi ha fatto l’ennesima sparata delle sue, che Beethoven non ha ritmo, Jovanotti sì, è per questo che i bambini apprezzano il secondo e non il primo, ecco musica classica sbroc sbroc vecchia rinnovamento sbroc sbroc. Allevi ha (consapevolmente, ne sono sicuro) sparato una megacazzata totale termonuclare totalmente sbagliata su qualsiasi livello, ma che riattiva la dialettica delle tifoserie pro/contro, portando al solito il nome del merda al centro dei riflettori. Cosa che è successa, ma meno del previsto, sarà perché la gente s’è un po’ stufata, sarà perché qualche anno fa Uto Ughi ha aperto la breccia istituzionale dell’anti-Allevamento, sarà perché boh. Sulla centesima sparata dell’acaro ascolano c’è poco da dire. Tanto per iniziare, il confronto fra musica accademica europea e musica pop italiana nata quasi duecento anni dopo da tutt’altri presupposti è, semplicemente, insensato e folle – il modo stesso di pensare e concepire ritmo e percussione, nonché il nostro modo di sentirli, è irrimediabilmente cambiato con il cambiare della musica e l’irruzione della musica (afro)americana (di cui Jovanotti è deforme discendente). E già solo questo taglierebbe la testa al toro. Poi, c’è l’aspetto puramente retorico, di contrapposizione alto-vs-basso. La solita roba trita e meschina per cui Allevi per tramite di Jovanotti che gasa la gente sarebbe anche lui stesso più meglio di Beethoven che garba ai parrucconi che osteggiano Allevi e dunque pure Jovanotti. Zac. Allevi avrebbe potuto citare l’Histoire Du Soldat di Stravinsky o Rodeo di Aaron Copland per dar corpo ad un’affermazione tipo “la musica contemporanea è più vicina all’orecchio medio moderno rispetto a quella di Beethoven, almeno per quanto riguarda l’aspetto ritmico e percussivo”? Certo, ma una frase del genere avrebbe contraddetto brutalmente il nocciolo del suo misero pensierino, cioè che TUTTA la musica accademica dell’ultimo secolo sia rumore incomprensibile che non piace a nessuno tranne a chi la compone e qualche professorone spocchioso. Insomma, si sarebbe sparato in culo da solo, dando per scontata la memoria a medio termine del pubblico.

Prendo questo esempio di Allevi non solo per parlar male di Allevi, che è sempre cosa buona e giusta, ma perché mi rendo conto che ormai nessuno vuol più rimettere al suo posto l’imbecille. In generale, dico. Dev’essere una distorsione del concetto di “democrazia”, quella per cui la libertà è discorporata dalla responsabilità. E’ vero, ovviamente, che ognuno può dire e pensare quello che vuole; allo stesso tempo, se dici una stronzata, può succedere che qualcuno si alzi e dica “ma sei mongoloide, dio cane?” Sì, pure in pubblico, e sì, pure se sei una celebrità. Credo sia questo, alla fine, il grosso danno culturale dell’ultimo quarantennio o giù di lì, l’eredità peggiore del ’68 che si è legata in maniera inestricabile e perniciosa al politicamente corretto. Un bel continuum di merdismo, lasciatemi dire. Se le proteste del ’68 erano contro l’aumento delle tasse universitarie, che avrebbero tagliato fuori le fasce meno danarose, e dunque sacrosante, gli esiti nel lungo termine sono stati distorti in modo catastrofico: hanno prodotto la situazione del tutti laureati, nessuno laureato. Ovvero, quella del “mi laureo per il pezzo di carta e faccio il concorso”. Ovvero dell’ingigantimento a dismisura del pubblico. Ovvero della lauree facilitate e squalificate, quando non totalmente mongole. A monte, quel modello di educazione in cui il figliuolo non viene mai redarguito col ceffone o messo di fronte alle cazzate che ha combinato, ma blandito per “evitare traumi”. Non è colpa tua che non studi e/o non capisci un cazzo, sono gli altri che non ti apprezzano. Questo modo di ragionare solletica molto il narcisismo medio e prende piede molto rapidamente; i risultati costituiscono il cosiddetto “sfascio culturale contemporaneo”, cui si è arrivati procedendo un passo alla volta nella direzione sbagliata. Nel’idea lodevole di permettere a tutti, indipendentemente dal censo, di laurearsi, ad un certo punto si è perso per strada il “a patto di studiare il necessario”, che coincideva pure con la parte sgradevole dell’affare: il politicame è andato fin troppo incontro a quel che la gente voleva. Per forza che poi arrivano i parlamentari analfabeti e le trasmissioni condotte da gorilla che non sanno parlare italiano (ma pure certi dottorandi all’università, giuro).

Non so bene cosa aggiungere, a questo punto. Non sono certo per Il Modello Di Virtù che tutti devono seguire, nè per l’acritica adorazione del proprio orticello. Non sono per gli estremi e le verità rivelate, preferisco gli equilibri ragionevoli. E una situazione di ragionevole equilibrio sarebbe quella in cui uno che fa solo dei modesti plìn plìn al piano spacciandosi per grande della musica contemporanea, facendo leva sul fatto che (purtroppo) la musica contemporanea in Italia è paurosamente negletta e l’educazione musicale vetusta, e sui relativi complessi che germinano in questa situazione, venisse rimesso a posto a suon di schiaffoni. Le argomentazioni per farlo non sono affatto difficili, eppure si preferisce l’alzata di spalle e “ognuno ha diritto alla sua opinione”, oppure “alla gente piace”: due frasi fatte che sono vere, ma che annullano ogni possibilità di argomentazione. E qui si arriva all’altro punto, l’anti-intellettualismo-perché-sì, che è pernicioso e dannoso quanto l’intellettualismo-perché-sì. E’ la morte completa di qualsiasi spirito critico e discussione. Oh lo so, ci sono cascato pure io qualche volta, per la mediocrità degli intellettuali italiani e l’insopportabile supponenza delle teste d’orango che pendono dalle loro labbra, incapaci di formarsi uno spirito critico e un’estetica individuali. Ma bisognerebbe anche fermarsi quando ci si rende conto di aver oltrepassato la soglia dell’onestà. Ieri sera, per dire, mi sono guardato DOA: Dead Or Alive, che è una sgommata di film termonucleare. Divertentissimo, lo riguarderei pure domani. Ma è brutto e fallimentare da qualsiasi punto di vista. A me Truffaut non piace, eh, ma indubbiamente è uno che ha il suo perché e il suo percome e cinematograficamente parlando vince a mani basse su DOA, indipendentemente dal fatto che io, dovendo scegliere, preferisca guardarmi quest’ultimo. Se confrontassi Truffaut con John McTiernan, allora ecco due autori diversissimi, ok, ma capaci di guardarsi negli occhi sul piano della riuscita estetica del proprio lavoro.

Il succo. Eh, il succo quale sarà, a questo punto, che mi sono perso & rotto i coglioni… Che gli esseri umani sono tutti uguali, nel senso che hanno tutti diritto alle stesse cose, e però sono tutti diversi, nel senso che non tutti sono capaci di fare le stesse cose. Quando il sistema educativo è arrivato, passo dopo a negare la seconda parte della congiunzione, dando ad ogni testa di cazzo la sensazione di essere unico e speciale e chi dice il contrario ti sta discriminando, ecco, quando succede ci scappa il FAIL. Uscirne sarà graduale quanto lo è stato entrarci, sempre che lo si voglia fare. E no, questo non è uno sbotto vecchiarile per cui ora mi metto a pontificare stile Castaldo/Assante che gli Slayer sono inutili perché tanto i Beatles avevano già detto tutto con Helter Skelter o fregnacce simili. E’ solo un tentativo di fare chiarezza su argomenti, in qualche modo, già trattati prima. Perché allo spettatore di X-Factor convinto di vedere nuovi talenti contrapposti a quella troja di Miley Cyrus, occorre ricordare che se Miley Cyrus non sarà Janelle Monae, è comunque una cantante sulla cresta da anni che fa concerti su concerti, balla, canta e vende dischi. Ha già dimostrato di essere superiore alla media. Capito, coglioni? Ora vi rimetto a posto a zoccolate.

Se c’è una cosa davvero strana, ai limiti dell’incomprensibile, è la smodata passione per i Queen che caratterizza moltissimi metallari italiani. I Queen sono un gruppo di enorme popolarità, uno dei più amati al mondo e quindi potrebbe essere lecito aspettarsi un alto numero di Queen-fan pure fra i kid di casa nostra. Eppure i Queen incarnano meglio di chiunque altro tutto ciò che i metallari solitamente detestano, cioè il gruppo più fumo che arrosto, ruffianissimo e sempre pronto a seguire le mode del momento. Sono fatti evidenti a chiunque non abbia occhi e orecchie foderate di biroldo e magari non faccia parte dell’isterico fandom della Regina, eppure molti metallari negano. Non solo: pur essendo solitamente fieri delle conquiste del metal (e a ragione), li vedrete spesso chinare la testa e genuflettersi di fronte alle filastrocche di Mercury e compagnia, che sono così belle che mamma mia (rima)! Del resto pure chi scrive, una volta, apprezzava un sacco i Queen, assieme ad altra robaccia come le produzioni anni ’80 di Sting, Elton John, Rod Stewart, Joe Cocker e altra merda analoga. Nell’estate della terza media (1990) mi prestarono una cassetta registrata dei Queen, con svariati hit degli anni ’80 più qualcosina dei ’70 (di sicuro “We Are The Champions”, “We Will Rock You” e “Bohemian Rhapsody”, forse “Somebody To Love” ma non ci giurerei). Wow, mi parevano davvero troppo superfighi, ma davvero una roba mai sentita. Poi l’anno successivo arriva il metal, e accade che qualsiasi band del nuovo genere appena scoperto suonasse, alle mie orecchie, molto meglio dei Queen, anche se inizialmente magari non me lo volevo ammettere. Poi muore Mercury, grande commozione, aumento smisurato del bimbaminkismo queeniano etc etc, io comunque alla fine avevo da stare dietro al metal, che mi piaceva davvero molto di più. E per forza, vuoi mettere “1916”, “Painkiller”, “Vulgar Display Of Power”, “Badmotorfinger”, “Pump”, “Reign In Blood”, “Somewhere In Time” o “Arise” con “Innuendo”? Durante gli anni non sono mai tornato sui miei passi, anzi, più aumentava la mia conoscenza del rock in generale più i Queen perdevano terreno. Qui però finisce l’excursus biografico-nostalgico, bisogna tornare sul pezzo.

Possiamo prendere la prima fase dei Queen, quella glam-hard, come la più genuina e interessante. Soprattutto in “II”, un album di rock epico ed eccessivo, come se Marc Bolan avesse deciso di suonare con gli Uriah Heep o viceversa, con in più lo spirito della farsa cabarettistica. In quell’album funzionava tutto: i Queen erano maestosi, ma non si prendevano sul serio – pur flirtando con l’orrenda piaga del rock sinfonico, ne tenevano a bada i peggiori eccessi… con l’eccesso di ridicolo. I loro marchi di fabbrica, cioè un certosino lavoro di sovraincisione in studio, essenziale per ottenere i famosi cori da operetta esplosivi come una sezione di fiati e la tediosa chitarra “sinfonica” di Brian May, una teatralità da music-hall che a volte deraglia nel montaggio di demenziali sketch sonori (come definire altrimenti “Ogre Battle”?) e arrangiamenti barocchi erano già ben presenti, l’ispirazione al picco. I dischi immediatamente successivi sono organizzati proprio come spettacoli di music-hall, ogni canzone è un “numero” differente in cui cambia lo stile ma non lo spirito: ritornelli orecchiabili come filastrocche o ninnenanee, cantati con tutti i vezzi di una Marie Loyd e gran dispiego di arrangiamenti elaborati. In questo senso va interpretato l’apparente eclettismo dei Queen: è come se avessero imparato diversi stili di musica da un’enciclopedia per usarli poi tipo attrezzi di scena. Oppure possiamo pensare ai Queen come ai cicisbei del rock, con tanto di parrucca, cipria e pomata, un fluente eloquio e in testa un sacco di nozioni apprese dal retrocopertina dei libri; quanto basta per intrattenere una dama con galanterie e buone maniere durante una serata mondana.
La barca regge fino a “A Day At The Races” compreso, sebbene ogni nuovo album mostri già un numero di riempitivi maggiore del precedente.  A partire da “News Of The World” comincia un processo di normalizzazione che appiattisce la band su un generico sound rock-pop, appena un po’ più affettato e magniloquente della media, in perfetta sincronia con l’estinzione del glam e la crisi dell’hard rock. Il music-hall (tratto distintivo e cifra stilistica originale dei Queen) viene sostituito da un eclettismo facilone e vanesio che si traduce in flirt col gospel (“Somebody To Love”), il r’n’r di Elvis (“Crazy Little Thing Called Love”), le atmosfere da crooner (“My Melancholy Blues”), il recupero dell’hard rock (“Sheer Heart Attack”), il funky (“Another One Bites The Dust”) e in un progressivo inserimento di synth e tastiere, nel vano tentativo di ritrovare l’ispirazione. Nel 1982 “Hot Space” tenta addirittura di saltare sul carrozzone della disco music con appena sei o sette anni di ritardo e a denti strettissimi pure i fan ammettono che non sia esattamente questa bellezza.
Nella seconda metà degli anni ’80 i Queen pubblicano album banalissimi e trascurabili, ma di enorme successo, allineati al pop deluxe del periodo. Solo il timbro di Mercury e il solito gusto melodrammatico li distinguono dal resto della musica da classifica: i Queen sono perfettamente a loro agio con Wham, Culture Club, Tears For Fears, Simply Red etc, tutti gruppi a cui si accodano in termini di suono, produzione e arrangiamento. Il percorso dei criticatissimi Metallica, al paragone, è lineare quanto quello di AC/DC o Iron Maiden. E dunque, come spiegare tutto l’affetto dei metallari italiani per una band che, numeri alla mano, dovrebbe incarnare ai loro occhi tutto ciò che odiano nel music biz? Ci viene in soccorso l’età, perché la Queen-sindrome colpisce soprattutto i metallari dai trentacinque anni in giù, soggiogati in età teenageriale dal mito post mortem di Freddie Mercury. Un grande cantante e showman nonché grandissimo edonista (e qui mi levo il cappello), desideroso di piacere e di intrattenere il suo pubblico che in cambio gli permetteva di fare una sacrosanta bella vita in fantastiche ville a South Kensington. Un nobile fine comprensibile e condivisibile, che però non dovrebbe redimere dozzine di canzoni orrende.
Bah, valli a capire i metalz.

(Post apparso, originariamente, qui. Lo riciclo per pigrizia e per linkare un blog metal diverso dal solito cui partecipo time permitting Frank Sinatra e chi coglie la citazione è un genio.)

In realtà questo post nasce un po’ così, ovvero mi è venuta in mente il titolo (“Emma Marrone Is The New Sabrina Salerno”), che è una roba stratosferica da oscar della rete, ma non un post. La bozza contentente titolo e l’immagine qui sopra, scelta per dimostrare la veridicità dell’affermazione, almeno per le cose realmente importanti, è data al 27 di maggio. Quindi insomma, è passato un bel po’ di tempo, e io non sapevo davvero che scrivere. Non certo un parallelo musicale fra le due, perché chi se ne frega dai, non fa nemmeno ridere. E però la musica ce la volevo infilare, in qualche modo, visto che sia Emma che Sabrina sono cantanti. E dunque, mettiamola così: 1) puppe, 2) entrambe sono esponenti di successo della musica da classifica del rispettivo periodo storico, 3) entrambe sono schifate dalla gente che detesta la roba da classifica in quanto tale e fa della dialettica commerciale vs anti-commerciale il proprio filtro di valutazione della realtà.

“Ahahaha, coglione, tornantene a sentire la Salerno/Marrone!”

Questa frase, e infinite varianti, sarà stata pronunciata milioni di volte. La cosa interessante è adesso questa: è molto probabile che oggi chiunque pronunci quella frase ascolti musica infinitamente peggiore di quella di Emma Marrone, che pure è una simpatica & popputa guagliona ma insomma rompe veramente la coglia. Ma che dire di antipatici sfigati come praticamente l’intero arcipelago dell’Indie Italiano, da cima a fondo? Al confronto, Emma diventa Shemekia Copeland!

Per esempio, prendete il trafiletto qui sopra. E’ una lettera di un imbecille, tale Steve Morrissey di Manchester, che demolisce i Ramones. Caso volle che, qualche anno dopo, questo tizio diventasse il cantante di una delle tre più ripugnanti band della storia della musica PII (Prima dell’Indie Italiano), ovvero gli Smiths. Il punto è: in retrospettiva, si capiva già che ‘sto tizio era un coglione e andava interdetto dagli studi di registrazione. E i fan italiani degli ombrosi, tormentati e intensi Smiths, al tempo, di sicuro schifavano la volgare strappona Sabrina Salerno (chissà come mai, diranno alcuni). Sostituite agli Smiths un altro gruppi italiano degli anni ’80, tipo i Diaframma o i Litfiba, e la contrapposizione viene preservata. Ma non oggi. La cosa che indispettirà molto i fan dell’indie italico, e che quindi già solo per questo ha buone probabilità di essere vera, è che sia la Marrone sia gli Stato Sociale di turno sono figli della stesso identico impulso, ovvero quello del buttarsi senza alcuna nozione del concetto di dignità personale. Non Emma nello specifico (perché qualche dote effettivamente spendibile nel contesto di riferimento, ovvero aspetto fisico e un certo rustico carisma, ce li ha pure), ma gli Stato Sociale sì, e questo porta ulteriormente acqua al mio mulino, che a questo punto è già sulle rive del Mississippi in piena. Emma è riuscita, almeno per ora, a sopravvivere al tritacarne dei reality canterini, e quindi rappresenta un caso di success story. Avevo già analizzato il realitame canterino e quindi non mi ripeto, semmai linko. In breve, comunque: sei disposto all’umiliazione in diretta nazionale? Ok, vieni qui che noi ci si tira su l’Auditel!

Sui gruppi indietalici e garrincheschi, la questione è in reatà similissima. Mettiamo che uno si metta a cincischiare con chitarre e computer e tiri fuori una serie di canzoncine mongolitiche che paiono un misto di 883, Lunapop ed musiche del Nintendo. Tipo Stato Sociale, per intendersi. La reazione sana comporterebbe l’autocritica, ammettere il proprio schifo e ripromettersi di smettere per sempre o in alternativa imparare prima un po’ di roba, perché non esiste che qualcuno possa apprezzare simile merda. Occhio che il paragone col punk è dietro l’angolo, ma io lo disinnesco subito. Perché il punk ’77 esplose e bruciò molto rapidamente. Riportò il rock alle sue pulsioni basilari in un periodo di elefantiasi avvitata su sè stessa. Tutti i gruppi del periodo che sono andati oltre la morte naturale della scena (che so, Damned, Stiff Little Fingers, Clash, Crass…) hanno in seguito corretto il tiro imparando a suonare e cambiando musica, se non spirito, nel proseguimento dell’attività. La stessa cosa successe con il molto più interessante scenario dell’hc americano degli anni ’80. E non sto dicendo che sia stato un bene o un male: il (salutare) suono ignorante e zozzo ma carico di energia e carica dissacrante si è sempre strutturato meglio per prendere altre direzioni. Una questione di autocoscienza. Invece, come il karaokista stonato e inguardabile decide di mettersi nelle mani dei vocal coach e di diventare una star facendo figure di merda in tv ogni settimana, allo stesso modo il musicista indietalico riesce a crearsi un giro nell’alternativame generico, sospinto dal passa parola e dall’interwebs e dal diabolico pubblico hipster a prova di tutto.

E qui si arriva al punto realmente delicato. Questo tipo di musica DI MERDA presuppone l’inesistenza del concetto di dignità personale, ma non ha fini come lo sfregio della morale (ormai obsoleto) o della “buona musica” (pure). No. Si inserisce nel micidiale circuito dell’Ironia 2.0 che rende impossibile qualunque critica. Anzi, una critica rafforza il circuito. Potrei passare ore a scrivere perché i Gazebo Penguins, i Cani, Marta Sui Tubi o Maria Antonietta fanno vomitare il culo ai gabbiani, ma “troppo tardi, lo sanno già, ahaha”, “chi se ne frega, loro lo sanno”, “non vanno presi sul serio, sono ironici”, fino al peggiore, “ormai che vuoi fare, le note sono sette, tutto è già stato detto”. Cioè, il fatto che gente faccia musica di merda che metta in musica quanto la musica è di merda con testi di merda sulla merda assolve automaticamente tutto con una scrollata di spalle. Posso non condividere, e infatti non lo condivido, il punto di vista di Kekko, ma è rispettabile e coerente, sempre che l’abbia capito bene: ovvero che la musica deve dirti qualcosa sulla tua vita, e farlo sinceramente, per meritare attenzione. E’ un leitmotiv ricorrente del suo blog e quindi immagino che per lui sia importante. Anche più della musica in sé, visto che secondo lui la validità di Gazebo Penguins o Stato Sociale discende da quanto siano in sintonia con l’esperienza di vita di un ventenne medio in Italia oggi. Io non la penso così, credo che la musica (ma potrei dire l’arte) sia finzione e che la verità in tal senso conti poco e niente, meglio una bella recita che una mediocre verità. Soprattutto, non ho alcun bisogno che un musicista “mi parli”. Sia io che il Kekko siamo grandissimi appassionati di Henry Rollins. “Ecco finalmente qualcuno che riesce a spiegare quello che sento ma non so dire. A un tratto mi pareva di conoscerlo da sempre.” Io non sono in grado di ragionare così. La musica di Henry Rollins mi piace di per sé e per l’immaginario che riesce a rappresentare. Non sentendomi inadeguato o alienato, o essendo troppo insensibile per sentirmici, mi godo le qualità estetiche della musica, la rappresentazione di questa inadeguatezza, ma senza immedesimazione. Per me va benissimo dipingere un’immaginario personale e renderlo vivo. La mia connessione diretta, provata sulla pelle, è irrilevante. Altrimenti è come dire che, non essendomi mai drogato, non dovrei amare i Monster Magnet. Cosa dice della mia vita, non so, Branford Marsalis? Credo ben poco, se non che mi piace la musica di Branford Marsalis. Dovrebbe esserci altro? No.

E dunque, sulla base di tutto lo sproloquio senza senso che è arrivato fino a Andy Warhol che regge il mantello di Miles Davis quando faceva dischi orribili, come chiudere? Che arrivati ad un certo punto, quando il fare schifo alla merda in maniera assoluta e totale diventa una cosa del tutto gratuita e fine a sé stessa, occorre impugnare il mitra e sparare ad alzo zero contro la marea di merdoni. E’ vero, ognuno fa quel che vuole e si esprime come gli pare. Ma rispetto molto di più chi vuole diventare una star e comprarsi il villone a Bel Air piuttosto che chi va in giro per i bar a rompere i coglioni con canzoncine di merda sull’esser stati mollati dalla tipa nell’intervallo pubblicitario di Don Mattero via Facebook nell’incertezza del precariato che tanto vale andare fare l’aperitivo coi soldi della borsa di studio in scienza della banana mentre si pensa a come la gente criticherà questa stessa canzone di merda che ripete un arpeggio di un pezzo dei Wilco ma solo alla seconda strofa e lo fa per strizzare l’occhio e lo dice pure il testo. No, basta, veramente, ci vuole un po’ di dignità, perché con l’indietalico il livello di infimaggine dei libri di Enrico Brizzi o dei film di Marco Ponti ha trovato una traduzione musicale accurata. L’unica arma, a questo punto, diventa ignorare il fenomeno, cosa che proprio in questo post del cavolo non ho fatto, ma insomma qualcosa dovevo pur scrivere.

Quindi, Emma Marrone vince. Fa musica commerciale, brutta e rompicazzo. Ma molto meno degli indiesfighi medi, e senza la rete di salvezza dell’Ironia 2.0 e della contrapposizione alternativo vs. commerciale che giustifichi le peggio aberrazioni in nome di sé stessa e del proprio ironico pubblico.

“Ma secondo te, Rob, quello lì sarà mica un queenfag?”

I Queen non mi piacciono manco per il cazzo, e non è un mistero per nessuno. Ma peggio ancora sono i loro fan. Molesti e insopportabili come i fan hardcore dei Queen ci sono solo quelli di Beatles, Manowar, Iron Maiden e Dream Theater. Porca troia, è gente che ti fa davvero odiare gruppi di cui alla fine t’importa una, giusto? Insomma, per attirare un po’ di queenfag e visite, pubblico questo test ispirato all’opera del sommo maestro CrotaloAlbino. Test after the jump!

Sei un queenfag? Rispondi onestamente alle domande che seguono.

Sei in un locale quando, ad un certo punto, dalle casse parte “The Show Must Go On”. Un tizio di un tavolo vicino dice “che palle ‘sta lagna!”. Tu:

a) Frega cazzi.
b) In effetti ha un po’ rotto i coglioni.
c) Vado dal tizio e gli faccio una piazzata. Come osa? E’ un ignorante, uno stolto, uno che proprio l’arte, anzi, l’Arte e la Mvsica non sa nemmeno dove stiano di casa. Quella è più di una canzone, è il Testamento di Fredddie! E lui osa sminuirla così? Ignorante! Stronzo! Testa di cazzo!

Chi ha inventato il gospel?

a) Boh, Whoopi Goldberg?
b) Il percorso che ha portato al gospel è lungo, tuttavia possiamo indicare Thomas Dorsey come l’autore che diede a questa musica la forma definitiva.
c) Sono stati i Queen con “Somebody To Love”, dall’album “A Day At The Races”. Perché, c’era forse qualche cazzo di dubbio a riguardo? EH? RISPONDI, FORZA!

Dopo il Freddie Mercury Tribute, John Deacon si è ritirato a vita privata. Che ne pensi?

a) Ah, non me n’ero accorto, tanto non è che pure prima si notasse molto.
b) Una scelta molto dignitosa, lo rispetto.
c) Premesso che ogni membro dei Queen è UNICO e INSOSTITUIBILE, John ha fatto quello che riteneva meglio per sè stesso e per i Queen, dunque tu non hai alcun diritto di rompergli i coglioni con le tue domande del cazzo, capito, stronzo?

Chi ha inventato la disco music?

a) Donna Summer? O Diana Ross? Insomma, la più figa delle due.
b) Posso sbagliare, ma credo che il passaggio dal funky alla disco si possa attribuire a “One Night Affair” di Jerry Butler.
c) Sono stati i Queen con “Back Chat”, dall’album “Hot Space”. Perché, c’era forse qualche cazzo di dubbio a riguardo? EH? RISPONDI, FORZA!

Conosci cantanti in grando di coprire agevolmente tre ottave?

a) Dicevano in tv che quel tizio lì, Adam Lambert, fa della roba del genere, quindi lui.
b) Penso a Rob Halford, Stevie Wonder, Meat Loaf, Prince…
c) Freddie Mercury! FREDDIE MERCURY! SOLO LUI, in tutta la storia della musica, ha mai coperto una simile estensione vocale! Tutti gli altri cantanti devono essergli grati, se è stata scoperta la terza ottava! Altro che criticare!

Chi ha inventato il rock’n’roll stile Elvis o Bill Haley?

a) Elvis o Bill Haley, mi sa.
b) Elvis o Bill Haley.
c) Sono stati i Queen con “Crazy Little Thing Called Love”, dall’album “The Game”. Perché, c’era forse qualche cazzo di dubbio a riguardo? EH? RISPONDI, FORZA!

Cosa ne pensi del disco di Freddie Mercury “Barcelona”?

a) Per due o tre minuti ti fa scassare il culo dal ridere, poi però rompe i coglioni. Comunque, per evitare fraintendimenti, è proprio una merda.
b) Mi vergogno per Mercury. Come si fa a concepire una simile stronzata?
c) E’ un capolavoro. Di più. E’ la più geniale e originale fusione di rock e opera mai scritta. E’ una pagina creativa ed epica che mette insieme le due più grandi voci di tutti i tempi, Freddie e come si chiama, quella lì, Monserrà Trallallà.

Che ne pensi di Justin Bieber?

a) Uno che a sedici anni è già stramiliardario e gli basta schioccare le dita per trovarsi fichette arrapate pronte a farselo conficcare nello sgombraminestre non può che avere tutta la mia approvazione. Respect!
b) Un fenomeno pop come tanti altri. Non mi interessa, ma se alla gente piace, per me è ok.
c) Justin Bieber, anzi, Biberon, ahahahahaa, dicevo, lui, è una merda, è il segno della decadenza del mondo, perché una volta c’erano i Queen e adesso la gente ascolta questo nano maledetto e non capisce più un cazzo, veramente, che schifo. I fan dei Queen si dissociano da Justin Bieber e da tutto quello che rappresenta. Tra poco facciamo pure la petizione e la pagina Facebook.

Chi ha inventato il rock duro?

a) Non me ne importa una merda, so solo che se sei meno duro degli Slayer non ti cago.
b) Tutto considerato, possiamo prendere “Vincebus Eruptum” dei Blue Cheer come punto di partenza.
c) Sono stati i Queen con “Stone Cold Crazy”, dall’album “Sheer Heart Attack”. Perché, c’era forse qualche cazzo di dubbio a riguardo? EH? RISPONDI, FORZA!

Ti dà fastidio che un componente di un gruppo sia gay?

a) No.
b) No.
c) Cosa hai detto? Ho sentito bene? Gay? Allora cominciamo subito con le offese? Dillo, brutto stronzo omofobo di merda, che odi i Queen perché Mercury era omosessuale, dillo! Ora ti gonfio di botte! Prima però te lo butto in culo con la sabbia, brutto finocchio volgare e violento!

Come valuteresti l’eclettismo dei Queen?

a) Tanti modi diversi per far cagare il cazzo ai cammelli sempre e comunque.
b) Attenzione alla moda del momento. Questo non toglie che abbiano pure fatto qualche buon pezzo/disco.
c) Semplice: genio. Genio distillato. I Queen hanno praticamente inventato la musica moderna. Tutta. Non c’è genere che non abbiano inventato, e tutti i gruppi venuti dopo di loro ne sono stati influenzati, in ogni genere e nazionalità. I Queen SONO LA MUSICA, lo vuoi capire, coglione ignorante?

Chi è il tuo preferito, fra i musicisti rock o pop storici, e perché?

a) Franco Califano. Mi piacciono i signori di mondo un po’ raffinati e un po’ cafoni.
b) I Grateful Dead. Musicisti sublimi, improvvisatori senza pari, capaci di partire dal folk e trasportarlo nello spazio e tornare indietro come se niente fosse.
c) I Queen, che discorsi. Sono i migliori, capito? MI-GLIO-RI! Lo dicono tutti i sondaggi, Mercury è il miglior cantante con tre ottave di sempre, Brian May è un chitarrista troppo ganzo, quegli altri due già solo perché ci hanno suonato insieme sono i meglio altrimenti non sarebbero stati scelti, e poi hanno venduto tredici stramiliardi di cazzigliai di copie, quindi come cazzo fate a dire di no? Tornate a sentirvi Garetsful Desd che tanto non li conosce nessuno, o Justin Bieber! Ah! Confessa, ti piace Justin Bieber, si vede lontano un miglio!

Chi ha inventato il videoclip?

a) Ma m’importa anche una bella sega! Comunque Paolo Limiti faceva vedere pure videoclip di Gianni Morandi negli anni ’60, quindi…
b) I primi filmati promozionali a colori risalgono agli anni ’60: Dorelli, Gaber, Paoli, Equipe 84… cioè, perfino in Italia!
c) Sono stati i Queen con “Bohemian Rhapsody”, dall’album “A Night At The Opera”. Perché, c’era forse qualche cazzo di dubbio a riguardo? EH? RISPONDI, FORZA!

Risultati:

Maggioranza di risposte “a“: non sei un queenfag.

Maggioranza di risposte “b“: neppure tu.

Maggioranza di risposte “c“: cazzo, sei proprio un queenfag. I Queen per te sono proprio la più incredibile e incontestabile e inderogabile e inammissibile e invincibile band mai prodotta dai tempi in cui qualcuno s’è inventato l’onda sonora. E se qualcuno contesta, è certamente una merda. Non sia mai che tu conosca solo i Queen, oppure che tu sia rimasto fulminato da loro quando avevi quattordici anni e la tua forma mentis, da allora, non si sia mai evoluta. Vabbeh, in fondo è una betoniera di cazzi tuoi.

 

Daft Punk
Random Access Memory
(Sony)
Giudizio sommario: una merda.
Ascoltato: mai.

Il grave dei Daft Punk, oltre al fatto che esistano ovviamente, è che vengano a tutti gli effetti ascoltati e trattati come se fossero qualcosa di più del Marco Mengoni di turno, quando è evidente che non lo sono e vadano presi a catenacci nelle tempie.

Oggi i Black Sabbath hanno diffuso il singolo del loro nuovo album, 13. Si chiama God Is Dead? e, manco a dirlo, fa cagare tane di scorpione. Lo potete sentire qui. In giro è pieno di gente in lacrime, sembra di essere a Lourdes o a San Giovanni Rotondo – minghia appadreppio! Minghia attoniiommi! Tutti quanti, più o meno, hanno deciso che il disco sarà un capolavoro. Cioè, gente che vivacchia di stenti (artistici) dal 1982 di Mob Rules (ultimo loro disco davvero bello), che fa la solita reunion di cadaveri con quell’idiota neuroleso di Ozzy Osbourne, che dovrebbe avere credibilità zero… no, cazzo, minghia i bbblecsabbatz gegni gegni rispetta la storia minghia. No, non rispetto chi mi fa pena e schifo, e quindi nemmeno il pubblico di nostalgici coglioni che, se God Is Dead? fosse stata una canzone degli Obsidian Sgommotron uscita su un qualunque disco Rise Above nel 2001, l’avrebbero cacato mena di zero. Ancora peggio chi ascolta la canzone, nota che fa vomitare, e allora dà la colpa a Rick Rubin (che probabilmente ha solo salvato il salvabile) o a Sharon Osbourne. Perché sapete, no, questi artisti incorruttibili e lontani dalle sirene del mercato, poi ti fanno i biglietti a 60 euro e il pacchetto “incontra Ozzy nel backstage” a 669 euro, tutta colpa di Sharon! A loro però va bene, e soprattutto a voialtri coglioni va benissimo, perché pagate. Quindi Sharon Osbourne è Wanna Marchi versione metal, voi siete quelli che si comprano lo Scioglipancia metal. Fine del discorso. Poi arriva il solito ritornello “eh il ricambio generazionale, le nuove band…” Ma andate in merda, imbecilli: anziché cercare di conoscere le band giovani nel pieno della carriera, preferite andare a vedere o ad ascoltare ‘sti vecchi stronzi che non hanno più nulla da dire.

E’ uscito un nuovo disco dei Muse e si chiama The 2nd Law.The 2nd Law fa schifo.
The 2nd Law fa così schifo che non occorre nemmeno ascoltarlo per sapere che fa schifo.
Mio cugggino una volta ha ascoltato The 2nd Law ed è morto.
Matt Bellamy è un frignone di merda.
I Radiohead fanno schifo.
I Queen fanno schifo.
I Muse, cioè Queen + Radiohead, quanto possono fare schifo?
Quel che ho sentito di The 2nd Law c’aveva il basso funkoso e l’elettronica. Ma roba da poco, faceva venire in mente robbaccia tipo Another One Baizzedàst.
In generale, i Muse sono tipo i Radiohead + i Queen, ma non solo: è come se queste influenze fossero state filtrate da Hello Kitty con la t-shirt dei Van Halen.
I Muse vendono un sacco e garbano un sacco. Questo non significa che siano bravi, nè che siano commerciali sbroc sbroc.
Perché anche se vendessero tre copie farebbero lo stesso schifo.
I Muse sono la quintessenza della brit-shit: musica tronfia, vanesia, più fumo che arrosto, adorna di ghirigori rococò sotto cui non c’è niente, se non un’affettazione gratuita delle emozzzzzzzzzzioni sparate con il mitra ad alzo zero in crescendo ridicoli dove, fra catarsi e melodramma, meglio il suicidio.
I Muse hanno un sacco di fanz agguerriti. Strano che non ci sia un’altra band di brit-shit con fan altrettanto agguerriti per scatenare una futile competizione fra svantaggiati. Evidentemente, siamo tutti consapevoli che nessuno fa più schifo di loro.
Anche Jordy vendeva, quindi zitto, coglione.

Venerdì 18 maggio. In quel giorno è uscito il post Roba Perentoria, dove venivano enunciate alcune semplici verità sul nadir della musica, Lo Stato Sociale, e il loro album Turisti Della Democrazia. Le visite, quel giorno, sono state 1595, uno dei picchi da quando questo sblogs è su WordPress, e quindi uno dei picchi di sempre. Di questi 1595, un terzo abbondante veniva da Facebook, segno che il post è stato ribloggato in giro e, immagino, abbia suscitato un sacco “vaffanculo nn cpsc un cz!!11!uno!1” fra gli indiboiz e/o sfighè che non provano istantanei moti peristaltici a sentire LSS. Del resto, qualche commentatore svantaggiato & pieno d’odio ha scritto pure qui, ma l’ho cassato. Solo ora mostro qualcosa, così, per ridere:

N.1: “Solo un decerebrato senza pensiero autonomo puo’ formulare un giudizio basandosi su dieci secondi di ascolto.almeno non scriverlo. Pero’ non temo di essere altrettanto in torto per averti giudicato in 4sec di lettura…”

Oppure un genio? Oppure, semplicemente, LSS fan talmente smerdo che basta davvero così poco? Era un commento di risposta a un commento di Berserker, fra parentesi, ma chissene.

N.2: “Ho letto i vostri commenti e noto che concordate sul fatto che vi fanno cagare. Ma, curiosità personale, posso sapere che artisti ritenete degni di nota?”

Un classico, la sbirresca richiesta di titoli. Mi faccia vedere se lei può permettersi di giudicare. Dall’alto di cosa giudica? Beh, è un po’ che ascolto Justin Bieber, Emma Marrone e Nina Zilli, sono eclettico, dio cane.

Mi sovviene un’altra cosa, ovvero che la sera del 18 Maggio sono andato a vedermi dal vivo i 3 Inches Of Blood. A riguardo Kekko di Bastonate potrebbe, probabilmente, scrivere una bella analisi sociologica secondo cui 3IOB e LSS sono mutualmente esclusivi e chi dice il contrario è un negro. O almeno lo spero, perché mi diverte quando scrive quella roba che poi magari non sono d’accordo un cazzo ma mi garba leggerla lo stesso.

Algebricamente parlando:

3 Inches Of Blood = Judas Priest + Slayer + Accept + At The Gates.

Lo Stato Sociale = Offlaga Disco Pax + Lunapop.

Dal momento che Judas Priest, Slayer, Accept e At The Gates sono tutti quanti fichi, la loro somma è fica. Allo stesso modo, siccome Offlaga Disco Pax e Lunapop sono merda di cammello morto di vaiolo su un marciapiede di Calcutta, la loro somma sarà merda di cammello morto di vaiolo etc etc. Insomma, immaginate un po’ la composizione di funzioni continue, magari con i gruppi della prima equazione che sono funzioni continue, quelli della seconda no, e fate che la non continuità corrisponda a far venire la merda al culo e ci siamo. QED.

“Ma Lo Stato Sociale, no, quanto farà caa’?”
“Abbestia!”

Quindi, la discussione è chiusa. E ora che ci penso non l’avevo mai iniziata, mi ero limitato a proferire verità, solo che stavolta ho deciso di dimostrarle e basta mi sono rotto. Ora vediamo se pure questo post fa un bordello di visite.

Roba perentoria

“Turisti Della Democrazia” de Lo Stato Sociale è il più riprovevole ammasso di schifo e merda mai inciso e divulgato dai tempi dell’invenzione del fonografo, e mai concepito dai tempi in cui l’homo sapiens si è affacciato sulla Terra.

Una volta c’erano gli Smiths, poi sono arrivati i Muse, poi gli Offlaga Disco Pax.

Ora sono arrivati i gaglioffi de Lo Stato Sociale e siamo a corto di parole. Non si può fare così schifo. Non si può fare schifo al punto che escano recensioni positive di questo tipo.

“Turisti Della Democrazia” richiede un aggiornamento del vocabolario, perché i termini esistenti non bastano a descriverne l’orrendaggine aberrante.

Chi li apprezza, ovviamente, è uno stronzo.

C’è un mio vicino di casa, ci tengo a precisare simpaticissimo, che è un vero e proprio Vecchio Rocker. Sapete di quelli che solo i gruppi che si ascoltavano quando erano giovani loro erano ganzi e tutto quello che è venuto dopo fa schifo? Quelli che i Pink Floyd e i Clash e i Deep Purple ma che vuoi che siano quelle merde degli Slayer e dei Dead Kennedys etc etc? Ecco, paro paro. Il nostalgismo del Vecchio Rocker, archetipo di cui il mio vicino è un’incarnazione, è ciò che tiene in piedi la grande baracca del rrrrrrruock prima dell’inevitabile schianto finale che, mi auguro, avvenga il prima possibile. Certo, perché succeda devono prima sparire di giro tutti i gruppi storici, ma trattandosi di biologia dobbiamo solo pazientare – quando anche le band degli anni ’90, tipo Soundgarden o Dream Theater o Radiohead o Tool o Nine Inch Nails o Rage Against The Machine (cito a caso gruppi simbolo dal grande numero di fan) saranno troppo decrepiti per tirare la carretta e le loro 130esime ristampe andranno ad affiancare le 2700esime dei Rolling Stones, il ciclo sarà ultimato. Questo non perché di gruppi bravi non ne siano usciti, è palesamente falso, ma perché il mondo è cambiato. Intanto, siamo subissati dal fenomeno del Classic Rock, ovvero dai gruppi di ventenni che si ispirano a quelli di quarant’anni fa, a volte imitandone persino il look – The Answer, Gentleman Pistols, Wolfmother e milioni di altri. Il fenomeno lo posso spiegare da due versanti: quello tecnologico (i giovini) e quello anagrafico (i vecchi).

Per il versante tecnologico ci vogliono due sottocapitoli:

Il primo è Guiter Hero: la diffusione amplissima raggiunta dal celeberrimo videogioco nel corso degli anni ’00 ha avuto l’effetto non trascurabile di avvicinare ai classici del rock una quantità esorbitante di giovanissimi, che hanno cominciato a scoprire, e a comprare in massa, le discografie dei vari Mostri del Rock. Molti di loro si sono pure messi a suonare davvero, per dire. Magari ispirandosi proprio a quei Grandi Vecchi.

Il secondo è più recente e si tratta del binomio YouTube+Facebook. Per un adolescente che si affaccia oggi sull’interwebs, non c’è poi così tanta differenza fra il 2012 e il 1962, in termini di immediata offerta musicale: basta che legga qualcosa sui Sonics o Rolling Stones o Hendrix o Van Halen o Death o Slipknot o XXX di turno per poter trovare fior di roba su YouTube da condividere immediatamente su Facebook con millemila amici fra cui, si suppone, altri sufficientemente appassionati di musica per scatenare il classico ardore & voglia di scoperta del teenager. Un gruppo appena formato di teenagersz ha le stesse probabilità, oggi, di suonare come i Cream che di suonare come i Muse, e di trovare in entrambi i casi un’industria discografica disastrata ma ancora capace di dargli qualche chance.

Come prova numerica di questa tendenza, il gran numero di ristampe uscite negli anni ’00 (la Sony/Legacy è stata attivissima, forse perché è quella col catalogo più ampio) parla chiaro, e tutt’oggi si continua a batter cassa, anche se con maggior difficoltà, su questo terreno.

Per quello anagrafico, dobbiamo prendere in esame la critica rock, quella fatta di riviste e libri. Quelli che erano ragazzini ai tempi degli XXX e li vedevano sputazzati e derisi dai critici del tempo sono diventati i critici di oggi e, avendo la penna dalla parte del manico, possono finalmente dire al mondo intero quanto fossero fichi i Judas Priest e i Ramones e i Lynyrd Skynyrd, scriverci retrospettive, libri e speciali tv, e celebrarli nella Hall Of Fame. Non per niente tutti questi gruppi, un tempo feccia disprezzatissima dalla critica e dunque davvero rock in quanto eversivi e pericolosi e ai margini, sono oggi tranquilli senatori del megawatt. La spirale innescata da questi due fenomeni è al momento dominante, e stritola qualunque altra scena. Ma si tratta, incredibili dictu, della punta dell’iceberg.

Perché l’era mitologica del rock è giunta al termine, e bene o male l’avevo già scritto, ma manca l’ultimo tassello: come già il blues e il jazz prima di lui, il rock sparirà dai riflettori per diventare un acquired taste, musica per intenditori con un pubblico di nicchia. Lo dico perché osservando la parabola del jazz, il percorso è evidente. Oggi siamo alla fase che quella musica ha attraversato nei primi anni ’80, quando Wynton Marsalis riuscì a ravvivare l’interesse e a diventare un nome-simbolo anche per chi il jazz non lo conosceva. Oggi, di jazzisti in gamba e giovani ce n’è pure tanti, e il panorama è tanto vasto quanto frammentato in una marea di nomi e tendenze contraddittorie. Suona familiare? Perché oggi se fermi uno per strada e gli dici “fammi il nome di un gruppo rock di ora, subito!” è probabile che ti citi un po’ di brit-shit tipo Muse, quindi comunque roba attuale, ma siamo agli sgoccioli. Anche il rock, in tutte le sue millemila tendenze contraddittorie, si dimensionerà su affluenze da max 2000 persone o giù di lì. Anche il rock verrà identificato genericamente come tutto ciò che ha una chitarra elettrica, come il jazz come tutto ciò che ha un sassofono. Future pop star annoiate faranno il loro disco rock come oggi vecchi rocker in pensione fanno il loro disco jazz per uscire dalla routine. Suona triste? Non per me. Più che mai conterà la musica e basta, che smetterà di diventare una religione o un’ideologia.

Quando David Guetta dice di voler rendere la house più grande del rock, sta solo dipingendo il futuro prossimo venturo, inevitabile quando le ultime rockstar andranno in pensione e i dj ne prenderanno il posto a fianco delle popstar. E’ inevitabile. E, per quanto mi riguarda, non è un male. Altrimenti sarei un vegliardo stile Assante/Bertoncelli che si lamenta che nessuna canzone rock rappresenta Occupy Wall Street e quindi il rock è morto bei tempi quelli di Woodstock sbroc sbroc.

Ma il succo del discorso è uno: il nuovo disco degli Offlaga Disco Pax è una merda come al solito e se vi piacciono andate a fare in culo.