Oggi i Black Sabbath hanno diffuso il singolo del loro nuovo album, 13. Si chiama God Is Dead? e, manco a dirlo, fa cagare tane di scorpione. Lo potete sentire qui. In giro è pieno di gente in lacrime, sembra di essere a Lourdes o a San Giovanni Rotondo – minghia appadreppio! Minghia attoniiommi! Tutti quanti, più o meno, hanno deciso che il disco sarà un capolavoro. Cioè, gente che vivacchia di stenti (artistici) dal 1982 di Mob Rules (ultimo loro disco davvero bello), che fa la solita reunion di cadaveri con quell’idiota neuroleso di Ozzy Osbourne, che dovrebbe avere credibilità zero… no, cazzo, minghia i bbblecsabbatz gegni gegni rispetta la storia minghia. No, non rispetto chi mi fa pena e schifo, e quindi nemmeno il pubblico di nostalgici coglioni che, se God Is Dead? fosse stata una canzone degli Obsidian Sgommotron uscita su un qualunque disco Rise Above nel 2001, l’avrebbero cacato mena di zero. Ancora peggio chi ascolta la canzone, nota che fa vomitare, e allora dà la colpa a Rick Rubin (che probabilmente ha solo salvato il salvabile) o a Sharon Osbourne. Perché sapete, no, questi artisti incorruttibili e lontani dalle sirene del mercato, poi ti fanno i biglietti a 60 euro e il pacchetto “incontra Ozzy nel backstage” a 669 euro, tutta colpa di Sharon! A loro però va bene, e soprattutto a voialtri coglioni va benissimo, perché pagate. Quindi Sharon Osbourne è Wanna Marchi versione metal, voi siete quelli che si comprano lo Scioglipancia metal. Fine del discorso. Poi arriva il solito ritornello “eh il ricambio generazionale, le nuove band…” Ma andate in merda, imbecilli: anziché cercare di conoscere le band giovani nel pieno della carriera, preferite andare a vedere o ad ascoltare ‘sti vecchi stronzi che non hanno più nulla da dire.
Category: vecchiology
La laurea come pezzo di carta per ottenere l’impiego statale fisso è stato il leitmotif dell’Italia dagli anni ’80 in là. Ascensore sociale all’infinito. La gente voleva tutti i figli laureati, lo stato glielo ha concesso con tutte quelle riforme scolastiche (da Berlinguer fino alla cosa lì dell’ultima volta che ora non mi viene il nome). Solo che, dai e dai, tra un po’ ci sono più insegnanti che alunni. E allora? Li si precarizza, che almeno possono fare a turno e qualcosa rimediano. Ora il piatto piange, si decide di razionalizzare: se ne assorbe un tot e gli altri vadano a spostare basi d’ombrellone a cottimo.
Problema: c’è da selezionare fra 300.000 insegnanti – numero invero altino, per uno stato impezzentizzato, dovuto al grandissimo numero di persone che negli anni si son beccati la laurea in materie letterarie varie perché così sarebbero andati a insegnare.
Soluzione: un piccolo test di livello scuola media, il cui esito viene valutato da un computer. Chi lo passa poi viene valutato per la qualità dell’insegnamento. Ma intanto così si screma un po’ di gente in maniera rapida.
Sapete, è quella cosa tanto invocata in Italia che si chiama… com’era… ah sì. MERITOCRAZIA. Quella roba che non tiene conto di parentele, famiglie, amicizie, prebende e raccomandazioni. Com’è che un semplicissimo test meritocratico è una merda ministero del cazzo sbroc sbroc le scuole i nostri figli se non riuscite a passarlo in quanto teste di piombo?
A me garbano i negozi di dischi. Dico sul serio. Quando vado in una città, li cerco e mi piace proprio infilarmici, cercare/comprare le robe, etc etc. Soprattutto se sono negozi dedicati alla roba che mi garba, oppure in cui a tale roba sono dedicati ampi reparti. Non sono schizzinoso, va bene anche il repartone da Mondadori o Ricordi o FNAC che sia. Credo che questo tipo di passione per il negozio di dischi sia connaturata a quella per la musica. E che non ci sia niente di male, al pari di altri piaceri come il velocipede, l’auto d’epoca, o addirittura le rievocazioni storiche in armatura e spada. Si tratta di tenere in vita un passato ormai finito, per pura passione, assieme ad altri appassionati. La passione è la chiave, ovviamente: da un profilo strettamente razionale, un’auto moderna è più economica, sicura e facile da guidare rispetto all’Aston Martin del 1946, però se ce l’hai e ti piace, padronissimo di andarci in giro finché la puoi mantenere in sesto. Queste considerazioni di sconcertante banalità, per qualche astruso motivo, non sfiorano manco per il cazzo una nutrita frangia di ascoltatori di musica che provocano schifo all’idea di comprare online e che piangono lagrime amare et gopiose ogni volta che un negozio di dischi chiude. E sono una gran rottura di coglioni e fonte di sbroccate moralistiche mica da niente, eh. Guardate questo thread (iniziato nel 2009, ad oggi cento pagine) sul forum del Mucchio Selvaggio. Il post che dà l’avvio è un chiaro esempio di una mentalità retriva e antiquata che non vuole saperne di scendere a patti con la realtà, sostenuta dalle stampelle dell’elitismo e della nostalgia canaglia. Dice:
“il negozio di dischi sta diventando superfluo come concetto proprio. e questo, al di là degli inevitabili sentimentalismi e cazzate da vecchio dentro terrorizzato dai cambiamenti quale sono, non riesco proprio a vederlo come una cosa positiva. da Nannucci ho passato più ore della mia vita di quanto fosse ragionevolmente lecito ipotizzare, lì ho comprato il mio primo disco (“fear of the dark” degli iron maiden, appena uscito: era il giugno del 1992), lì mi fermavo dopo la scuola a ravanare con la tenacia e il puntiglio dell’archivista tra le vaschette dei “fondi di magazzino” in cerca di “chicche” nascoste e offerte irripetibili (dai vinili della Contempo a 1.950 lire, a “skyscraper” di david lee roth a 1.500 lire, agli stock di forati con dischi tipo “songs of faith and devotion”, “without a sound” o la raccolta di b-side dei mudhoney che ti tiravano dietro a prezzi ancora oggi imbarazzanti), ma non importa.”
L’abbiamo fatto tutti, tutti noi appassionati di musica. Se capita l’occasione lo faccio ancora, ma non è un bisogno. Perché la cosa importante, per un appassionato di musica, è l’accesso alla medesima. Queste madeleine sono buone per pulircisi le croste di merda dalle ascelle, dio canaccio. Anch’io se ci penso dico “ah, che teNpi”, pensando ai pomeriggi al negozio di dischi specializzato in metalz della mia città a discorrere con negoziante e gente. Allo stesso tempo, è tutto finito, ed è cambianto in meglio. Il tizio del post sul Mucchio va avanti e aggiunge, ad un certo punto:
“perchè quello che molti ascoltatori dell’ultima ora e troppi stronzi che hanno adesso l’età che avevo io quando spulciavo tra quegli scaffali non possono capire (e probabilmente non capiranno mai), è che quando compri un disco in un negozio non paghi solo il disco, paghi anche il servizio che il negozio stesso ti offre, e questo vuol dire competenza, scelte di campo, guida all’acquisto, commessi totalmente ossessionati e nerd oltre ogni possibile speranza di redenzione,scrematura, quella stessa scrematura che il mucchio tenta faticosamente di operare tra le sue pagine, che io spesso non condivido ma che comunque c’è, esiste, mi fa sentire trattato con rispetto in quanto ascoltatore, mi fa pensare che la musica in quanto oggetto abbia ancora un valore.”
Non sono un ascoltatore dell’ultima ora e non so bene cosa pensino i sedicenni di ora, non frequentandoli non ho neppure la presunzione di liquidarli con questi giovani di merda che non capiscono un cazzo. Il servizio e la scrematura che può fornirti un negozio specializzato, vecchio, lo trovi pure online. E non ha alcun bisogno di spocchiosi negozianti miopi con la barba piena di parassiti: un buon algoritmo di apprendimento è perfettamente in grado di svolgere lo stesso compito. Quando mi arrivano i consigli di Amazon USA, dove ho uno storico di acquisti che comincia dal 1998, trovo regolarmente o cose che ho già (ma non ovviamente comprato da loro) oppure cose che mi possono interessare e non di rado prendo: vedi, il tuo negoziante è inutile anche da questo punto di vista! Amazon UK e Amazon DE sono meno precisi, nei loro consigli, perché lo storico degli ordini è molto inferiore, però se comprassi più spesso raggiungerebbe ovviamente la stessa efficienza. E per finire:
“ora io vorrei che tutti quegli stronzi che comprano a mani basse da playpuntocòm perchè “costa meno”, che ordinano i cd a paccate sui siti internet americani così risparmiano sul dollaro, io vorrei che tutta questa feccia del cazzo si rendesse conto di cosa si è persa e di cosa sta contribuendo a distruggere indirizzando i propri soldi nelle tasche di qualche colletto bianco oltremanica (o oltreoceano) che non sanno nemmeno che faccia abbia. trovare un disco che si cerca da tempo, rovistare tra gli scaffali, scambiare due chiacchiere col clerk ossessionato, Cristo santo, uscire di casa per cercare qualcosa che ti piace, andarsela a prendere. è questo che più di ogni altra cosa mi spaventa, nell’epoca del “tutto e subito”: che si perda la consapevolezza che gesti, che azioni del genere esistano. è questo che mi fa sentire come tommy lee jones in “non è un paese per vecchi”. non Nannucci che chiude, ma le cause che lo hanno portato a chiudere. pensare di essere rimasto l’ultimo stronzo che un disco lo cerca continuando ad avere a che fare con esseri umani.”
Oh, così saremmo feccia del cazzo. Il cretinetti sembra più interessato ai negozi che alla musica. Perché, caro cretinetti, se grazie ad Amazon, a Play etc. puoi comprare di più perché i prezzi sono più bassi, succede che… al musicista arrivano più soldi! Proprio così! A noi feccia del cazzo non interessa un cazzo del contatto umano col negoziante del cazzo: ci interessa la musica. Avere i dischi, ascoltarli, capirli. Comprarli, così che l’artista possa contare su del danaro, nella speranza che gli altri appassionati facciano uguale. I cretinetti del km zero discografico non ci arrivano. E’ più importante la consapevolezza dei gesti, rovistare fra gli scaffali, trovare un disco che si cercava da tempo (cosa che su web succede spesso). Ma vaffanculo, coglione! Sei proprio un vero, autentico, immane coglione.
Pensaci: vai sulla superfichissima comunità di ascoltatori di musica, ti scambi consigli, scopri artisti, robe, cose. Puoi correre su YouTube o sul sito ufficiale e farti un’idea di prima mano. Se ti convince, puoi subito volare su Amazon e similia e trovare quei bei dischi che ti hanno consigliato gli esperti della comunità virtuale che tanto ti piace frequentare, puoi comprare con tre clic e trovarti tutto nella cassetta della posta dopo una settimana. In pratica, hai davanti a te il modo migliore e più efficiente mai realizzato per accrescere la tua cultura musicale, e allo stesso tempo stai pagando il musico per il suo lavoro meglio di prima (per il semplice fatto che prezzi più bassi => più dischi venduti), e invece no, vade retro, si perde la consapevolezza dei gesti (mi viene da ridere ogni volta che lo scrivo) e si mandano i soldi a qualche colletto bianco mai visto né sentito!!!!11!!!uno!!! Ma si può essere più idioti? Come se fosse bello vedere e sentire quei cafoni di Rock Bottom a Firenze, per esempio…
Sospetto che a fianco di questo vecchiettismo ci sia una bella dose di elitismo. Ci sono persone che ascoltano la musica non solo per piacere personale ed interesse, ma anche per estremo bisogno di affermazione sociale. Sovraccaricano la musica di una dimensione etica e fanno miriadi di castelli in area prima di poter dire se tal disco/artista è ok o fa cagare iguana impagliati. La musica, per queste persone, serve per tracciare una linea: da un lato NOI, dall’altro LORO. E se la musica X piace a LORO, allora SequelaDiCastelliInAria è eticamente sbagliata e la critichiamo con violenza. In questa forma mentis, rientra anche l’acquisto al km zero nei cari vecchi negozi di una volta. Io, guarda un po’, ho sempre pensato che Nick Hornsby sia una merda e Alta Fedeltà un libro del cazzo.
Kekko di Bastonate fa spesso ragionamenti simili. Io in tutta onestà faccio una fatica boia a capirlo, quando si perde nell’assurda dimensione dell’etica per una roba che suona e stimola maggiore o minore secrezione di endorfine a seconda della sensibilità individuale. Lo leggo, perché mi fa vedere le cose secondo una prospettiva per me inconcepibile. Feticismo per il negozio di dischi di una volta sbroc sbroc compreso. Bah. Sia come sia, se a qualcuno piace andare in giro con una macchina del 1943, faccia pure. Solo non si metta a moralisteggiare perché noialtri preferiamo auto più sicure ed economiche e che a voler vedere inquinano pure un botto meno. Io continuerò ad accrescere la mia cultura musicale (ma lo stesso discorso si può fare paro paro coi libbbri) con Amazon, Play, CDWOW e compagnia bella, pulendomi allegramente il culo con la consapevolezza degli antichi gesti. E dio maiala di dio! Ma c’è una via con cui un negozio dischi oggi, può vivere e prosperare, cioè internet e specializzazione. L’intervista che ho fatto ai tipi di JazzMessengers (Barcellona) rivela una success story notevolissima. Ma l’Italia è troppo provinciale per queste cose… minimo, il tizio del thread di Mucchio Selvaggio non comprerebbe mai da un negozio che vende molto su internet, perché sarebbe poco etico.
Dev’essere l’allineamente di Marte e Orione con la strippa di Gaza, o altrimenti non si spiega il tasso di mongoloìdia che infuria nell’aria. Cioè, no, dico, avete letto Montezemolo? In questo articolo si tratteggiano brevemente i connotati di Italia Futura, la formazione polytica fortemente voluta, sponsorizzata, sonunasegaio-ata da Luca Cordero di Montezemolo Serbelloni Mazzanti Viendalmare. Roba da chiodi. Nelle pupille. Sue, intendo. Essenzialmente, LCDM e il suo think tank pensano di sostituire Abberlusconi e di rappresentare una nuova formazione che guardi oltre le vecchie dicotomie dx-sx, intercettando in primo luogo il bacino moderato orfano di rappresentanza, stimato in circa 15 milioni di votanti. Vogliono correre da soli, senza alleanze, forse rappresentati da LCDM, forse da un giovine, chissà. E leggendo l’articolo si arriva al punto forte, la questione ideologica:
“Sì, ideologica. Perché mentre Montezemolo teorizza la fine delle classiche divisioni novecentesche tra la destra e la sinistra (“è di destra o di sinistra chiedere che la scuola funzioni?”), i suoi professori stanno alzando una discriminante proprio ideologica che riguarda il rapporto tra Stato e cittadini.[…] Una riduzione, dunque, del perimetro dell’azione pubblica (scuola, sanità, sicurezza, ricerca) per farla diventare più efficiente. […] E poi dosi di sussidiarietà per un modello di welfare che ricorda il progetto della “Big society” del primo ministro conservatore inglese David Cameron.”
Capppitttto mi hai? Sotto il tappetino, LCDM ha in mente un progetto che forse qui può risultare esotico e nuovo, visto che non ha mai fatto parte del dibattito politicame nostrano, ma che nel mondo angloamericano è assai noto: il liberismo turbo. Avevo scritto tempo addietro che lo sentivo strisciare nei discorsi in giro, e ora per la prima volta trova una possibile sponda qui da noi. LCDM del resto di mezzi ne ha, e può contare su una bocca di fuoco mediatica fatta di tutto il gruppo editoriale RCS, di La7 e MTV dalla sua parte e certo comparirà pure nel resto del solito dibattitame generalista.
Il riferimento alla Big Society è già un colossale epic fail: David Cameron è uno dei peggiori primi ministri inglesi dai tempi del triceratopo, e la Big Society è un tale fiasco che neppure lui, credo, osa farne il nome. La Big Society è una specie di roba dickensiana: lo stato taglia e ritaglia, e tutto ciò che è welfare resta nel buon cuore dei locali, che comunque devono innanzitutto lavorare come ciuchi dopati per soddisfare i Mercati, che così rivolgono la loro benevolenza gli Imprenditori Creatori di Ricchezza, che quindi danno lavoro al popolo che si deve fidare di loro e se gli va male pace vuol dire che son nati negri. Il fatto che sia una stronzata è evidente: come l’opposto speculare, il comunismo, il liberismo ha fallito e fatto danni. Basta vedere i vari governi Reagan, Thatcher e ora Cameron: un boost nel breve termine, e poi una decina di anni dopo un conto salatissimo e sanguinario. Certo, gli Imprenditori Creatori Di Richezza ne hanno giovato, tutti gli altri sono stati sacrificati ai Mercati, incidenti di percorso che capitano.
LCDM & co., da bravi provinciali, cercano di importare con ritardo colossale una pratica estera la cui merdità è ampiamente documentata. Ci sta anche che il blocco delle PMI lo possa trovare interessante, ma in una nazione dove si cerca il più possibile di pappare a spese dello stato devono giocarsela molto bene per ottenere qualche voto…
Equitalia è un ente che suscita immediata antipatia in chiunque. Un ente primitivo che può solo tartassare i non-pagatori, visto che il nostro sistema di tassazione è dichiarativo e senza alcuna ricerca da parte dello stato – cioè, finché non vi beccano, potete continuare a dichiararvi disoccupati e ad avere Ferrari e case in Sardegna. Anni di non-controlli, malcostume generalizzato etc. hanno portato alla situazione di ora, con Equitalia incaricata di fare gigantesche pesche a strascico in cui finiscono anche persone a cui magari è arrivata la bolletta della rata dell’auto in ritardo e si vedono portate via tutto. Finita la pesca a strascico, se non viene fatto un ingente sforzo di modernizzazione (informatica per esempio) e snellimento statal-burocratica, risaremo da capo e i soldi recuperati finiranno nei forzieri in titanio degli Sradica & Rastrella di turno, per poi essere… spolpati? Ci si augura di no, almeno, ma non è questo il punto. Il punto è una scena da filme. Un uomo entra in una sede Equitalia armato, tiene gente in ostaggio, minaccia di morte etc etc. E succede dopo le numerose notizie di gente che per debiti si è suicidata, non ce l’ha fatta più e storie tristi del genere. E giù bombe alle sedi di Equitalia, e tutti a dire bene dio cane!, e poi questo qui coi fucili e gli ostaggi, e tutti a dire bene dio maiale! Ora, con tutta l’atipatia che si può avere per Equitalia, con tutta l’antipatia che si può avere per un sacco di privati cittadini che non pagano, perché l’italiano per sua natura non vuole pagare un cazzo e crede gli sia tutto dovuto, e scommetto che Equitalia sia partita quando il numero di questi ultimi sia cresciuto oltre il livello di guardia iniziando così la famosa pesca a strascico di cui sopra, ecco, con tutto e ritutto, a me ‘sta cosa non piace per un cazzo. Soprattutto per come viene acclamata. Io sono il primo a dire che uno che uccide il ladro in casa o nel negozio fa bene, sia chiaro. Ma qui è diverso. Si oscilla fra suicidi e atti di intimidazione violenta.
Decenni di inadempienza fiscale (voluta da politici E cittadini) ===> misure drastiche oggi ===> mezzi primitivi per assenza di dati e infrastrutture adeguate ===> pesca a strascico che colpisce in maniera sproporzionata pure i poveracci ===> atti di violenza.
Ho come l’idea che queste cose aumenteranno, perché la pesca a strascico continua e poi la stampa ha sempre bisogno di freak da presentare come eroi o criminali a seconda del momento storico. Il ricorso alla mafia per prestiti e protezioni sarà sempre più forte, così come la stretta familistica su ogni microscopica attività – difendiamoci dallo stato di mmmerda. E sapete, non mi garba una sega. E’ la prova empirica di un fatto: l’Italia, forse piagata da secoli di millenarismo cattolico per cui tanto prima o poi si stiana e risponderemo delle nostre azioni solo davanti a Iddio e quindi che ci si affanna a fare, non costruisce nulla, non migliora nulla, non fa niente a lungo termine e ama berciare nei campi di stasi dove in fin dei conti è colpa di tutti e quindi di nessuno ed è facile accusare il Governo o i Poteri Forti, che sono solo miseri capri espiatori.
Spero solo che non si arrivi di nuovo ad una merda stile anni ’70, a questo punto.
E’ polemica nel mondo della cvltvra. In un articolo del Corriere Pietro Citati (che fino all’altro ieri non avevo mai sentito nominare, per la cronaca) si lancia in un raglio sulla decadenza letteraria del tempo presente. Uso il termine raglio perché, contenutisticamente parlando, Citati spiattella una sequela di banalità del tipo una volta qui era tutta campagna, che tempi, signora mia, i giovani non hanno più rispetto. Dice che in Italia si legge poco e male, e a vendere di più sono libracci merdosi di gente tipi Coelho, Faletti (qui la sua patetica risposta) e Brown, che sarebbero addirittura dannosi. Sinceramente, l’analisi mi pare deboluccia e indimostrabile. Non perché detti libri non facciano schifo (lo fanno), non perché non siano best seller (lo sono), ma perché l’argomento avrebbe meritato uno studio più approfondito. Citati dice che lettori e autori siano peggiorati negli ultimi quarant’anni; unica prova a sostegno, il grande successo riscosso da libri tipo L’Insostenibile Leggerezza Dell’Essere di Milan Kundera e Le Nozze di Cadmo e Armonia di Roberto Calasso. Dimentica, Citati, che il grande successo del primo (tra parentesi, una cagata che ci sta ritta una vanga) fu conseguenza del film uscito tre anni dopo; del secondo, che non ho mai letto, omette di dire che si vende bene ancora oggi, e presumo non agli stessi che lo comprarono già al tempo. Dimentica pure che per es. Umberto Eco, che pubblichi romanzi o saggi, vende sempre un sacco. Cosa più importante, però, Citati appartiene all’infausta generazione di intellettuali che hanno partecipato direttamente all’orrenda decade ’68-’77 rimanendone per sempre intrappolati – loro hanno fatto tutto, chi li ha seguiti è uno stronzo. Pare che Pasolini sia l’intellettuale più influente sul pensiero italiano degli ultimi quarant’anni, guarda caso, e si vede: era retrogrado e provinciale lui da vivo, figurati chi continua a restare nel suo cono d’ombra.
Citati sembra sceso dalla Luna e non tener conto di quanto il mondo sia cambiato da quei bei tempi che c’era i tirannosauri. Tanto per iniziare,“la classifica di Tuttolibri è realizzata dalla società Nielsen Bookscan, analizzando i dati delle copie vendute ogni settimana, raccolti in un campione di 1100 librerie. Si assegnano i 100 punti al titolo più venduto tra le novità. Tutti gli altri sono calcolati in proporzione.” (es.) Quindi il rilevamento non tiene conto delle librerie online, che vendono un sacco. Citati si lamenta pure dei classici che non si vendono, ma i classici te li ritrovi periodicamente allegati a questo o quel quotidiano, quindi trovano larga diffusione senza passare dalla libreria. Non abbiamo ancora dati relativi alle vendite dei lettori di eBook, che consentirebbero agli angloalfabetizzati di accedere ad una marea di roba, fra cui classici a sfare GRATIS – una via che l’Italia, terra retrograda per antonomasia, sembra restia a percorrere. Non è fisico, non lo pago, l’odore della carta, giammai. E qui mi vien da pensare che, di libri, se ne pubblicano ogni giorno una marea. Gli scaffali sono obesi. Ci sono libri del passato e libri del presentissimo. Una volta non si pubblicavano neppure così tanti libri, oggi si investe molto sul libro di quello famoso: un comico mediocre, un calciatore, un personalità radiotelevisiva vengono invitata a scrivere istant-book di successo immediato potendo contare su una fan-base enorme. E’ assai probabile che nei mmmmmitici anni ’60 e ’70 tutti quelli che oggi comprano i libri dei comici di Zelig o di Fabio Volo non avrebbero semplicemente mai letto nulla, perché non c’era niente di simile. Cioè, un calciatore calciava, un presentatore radio o tv presentava radio o tv, nessun editore li contattava per un libro. Oggi il business ha preso questa piega, questo investimento miope ad alta resa, e finché dura andrà avanti. Non è certo questione di “Zelig e il Grande Fratello e X Factor che rimbecilliscono la gggente”. Semplicemente, sono nati prodotti librarii per chi normalmente di leggere se ne frega, e fanno leva sul fattore celebrità.
A questo punto potremmo chiederci, come mai in Italia rispetto a X, Y e Z si legge così poco? Credo che molto dipenda dall’approccio cafonal alla cultura che si ha qui da noi: la cultura è innanzitutto un mezzo di distinzione sociale, solo in seguito e se siamo particolarmente fortunati un piacere. Qualche tempo fa avevo scritto un post dedicato proprio a ‘sta roba: eccolo qui. La reazione al cafonal culturale è che molti rifuggono i libri, associandoli pavlovianamente alla noia della scuola e a gente particolarmente saccente e rompicoglioni incapace di rilassarsi e farsi un ballino di cazzi suoi. Quando poi esce il libro del comico di Zelig che li fa ridere allora ci ripensano, e magari entrano nel tunnel del libromerda.
Come si collega tutto ciò al fenomeno dell’analfabetismo evidenziato da questo articolo (Il Sole24h)? In due passi. Il primo smentisce categoricamente la storia dei Poteri Che Ti Vogliono Rincoglionire. Il governo ha dato al cittadino quel che ha voluto: tutti laureati. Per farlo, ha dovuto rendere la selettività della scuola sempre più bassa, dalle elementari fino all’università, col risultato di avere i famosi mille mila laureati a spasso. Inevitabile: non hanno nessun mezzo culturale per comprendere ciò che li circonda. Cavolo, c’è un dottorando dalle mie parti che parla un italiano riprovevole, e non vi dico lo scritto. A logica, non avrebbe mai dovuto arrivare alla laurea, figuriamoci al dottorato, senza padroneggiare un italiano di base corretto. Eppure, tutte le famiglie d’Italia hanno creduto nel mito dell’ascensore sociale all’infinito, tutte le famiglie d’Italia hanno voluto i figli laureati che non debbano più fare i lavoracci manuali, e lo stato li ha accontentati. Uniamoci una classe intellettuale stravecchia stile Citati, volta a contemplare il passato e a rifiutare il presente, che viene comunque ammirata anziché ricoperta di pece e piume in quanto vecchia e superata, e la situazione di stasi appare inevitabile. Il presente fa schifo, il passato era meraviglioso, è tutta colpa dei politici e della tv. Ahah, sicuri? Perché secondo me è essenzialmente colpa vostra.
I fatti di Firenze, dopo la discussione del brillantissimo e acuto post precedente, non meriterebbero altra discussione. Purtuttavia, nell’aere si respira un’aria malsana. E, in maniera del tutto irresponsabile e incivile, non mi riferisco tanto al montante clima di razzismo sempre più esplicito e brutale. Credo sia un effetto collaterale dei momenti di crisi e incertezza: la torta si restringe e allora qualcuno ha l’idea di allontanare gli ultimi arrivati, per paura di ricevere una fetta fin troppo piccola. Una paura che si ripresenta con puntualità e che trova sempre terreno fertile, oggi come ieri, e dunque non voglio discutere. Ora, in futuro chissà. Mi interessava invece come questi fatti abbiano riverberato nel mondo, piccolo e micragnoso, della letteratura fantastica italiana e di che altarini e imbarazzi siano saltati fuori.
Riassuntino rapido rapido: il pistoiese Gianluca Casseri, appassionato di Tolkien & Lovecraft, scrittore di un romanzo e saggi online, simpatizzante di Casapound e frequentatore di siti e forum di estrema dx, piglia la pistola, va a Firenze, spara ad un gruppo di negri uccidendone un paio, e poi si suicida.
Dovrebbe essere sufficiente l’ultima frase per classificare Casseri come folle pericoloso testa di cazzo in primis, e razzista in secundis, perché di tutte le persone presenti in piazza Dalmazia ha mirato proprio agli ambulanti senegalesi, con cui non aveva mai avuto contatti personali, quindi erano bersagli simbolici. Questa storia però non è certo morta lì, ha anzi scoperchiato un vaso di Pandora dove si annidano cialtroni, equivoci, coscienze sporche e calzini sottaceto.
Stampa e giornali hanno subito ricorso al luogo comune di grande successo, la costruzione del Deviato Mostruo: frequenta il fantastico, vedrai è un nerd, pare pure nazifascio, certo è un individuo strampalato perso nel suo mondo – i morti sono rapidamente spariti di scena per lasciar spazio alla mitologia classica del Deviato, lasciando a intendere che forse forse se Casseri era quel che era vedrai è anche colpa delle sue frequentazioni culturali, c’aveva pure un film di Callahan in casa, voglio dire, no? E’ quello che Davide Mana ha brillantemente esplorato e approfondito in questo post, quindi vi rimando a lui.
Parallelamente. Lara Manni, scrittrice e bloggatrice che finora non conoscevo, ha sollevato un interrogativo: in Italia c’è sempre questa pessima opinione di fantasy e fantastico in generale, dipinti al meglio come escapismo senza valore artistico e al peggio come surrogati del Mein Kampf, ma non è che un qualche fondo di verità, dovuto a certi pessimi maestri e non ai libri in sè, ci sia? Se pensiamo alla storia editoriale italiana del Signore Degli Anelli (tanto si torna sempre lì), la risposta è affermativa. A partire dall’astrusa prefazione di Elemire Zolla, che parla di letture allegoriche e simboliche in maniera tanto forzata e arbitraria da far pensare che stia parlando di qualche altro libro, lo scatafascio si è compiuto ineluttabile. Poco importa che ormai i Campi Hobbit siano una reliquia del passato che solo Natalia Aspesi tira fuori quando vuole criticare Tolkien attraverso Peter Jackson. La frattura causata da quella prefazione e dalle tristi vicende degli orrendi anni ’70 hanno visto la critica di Tolkien (e di tutto il resto del settore), in Italia, come terreno esclusivo di un gruppo ristretto capeggiato da Gianfranco De Turris. E qui comincia il brutto, perché De Turris se possibile fa peggio di Zolla: forza una lettura evoliana del SDA. De Turris frequentava quel coglione di Evola e ne condivide le idee mongoloidi. Da lì a dare una lettura rigidamente tradizionale, anzi, Tradizionale ed Esoterica del SDA il passo è brevissimo e quel che restava della cristalleria va in frantumi.
Occorre notare a questo punto come i legami siano stretti e aggrovigliolati:
– Il Signore Degli Anelli e Tolkien sono ormai considerati roba di dx perché l’unica critica che si occupa di loro è rappresentata da De Turris e compagnia.
– De Turris è seguace di Evola (Tradizione, Teoria della Razza e merda simile), e ne applica il pensiero a quelli che, a detta sua, sono Simboli Universali inconsciamente inseriti da Tolkien nel suo libro. Il fatto che Tolkien stesso lo negasse con decisione è, per De Turris, un’ulteriore conferma: son cose talmente profonde e vere che uno non se ne rende conto.
– De Turris ha pure scritto la prefazione a due libri di Casseri, riportando in uno l’opinione del suo mentore Evola che sì, i Protocolli dei Savi di Sion sono falsi, ma dicono cose vere, e quel che succede nel mondo oggi ne è una prova scie chimiche signoraggio, insomma, siamo in piena zona Blondet.
– Casseri, elogiato da De Turris e conferenziere sul fantastico in varie occasioni, avrà esposto tesi simili. O quantomeno non in contraddizione. Era anche un membro molto attivo di forum di estrema destra suprematista bianca e violentemente antisemita, che all’indomani del fattaccio hanno subito rimosso tutto per minimizzare, è solo un simpatizzante come tanti, e purtroppo era pazzo.
In realtà, se uno andasse a vedere i forum tipo Stormfront (non linko simile merda), di teste di cazzo che difendono Casseri ne trova finché ne vuole. Alcuni di questi condivideranno pure l’humus culturale De Turris/Casseri, nella misura in cui questi ultimi sostengono/sostenevano le teorie di Evola – nazismo appena paludato. Ed è quindi probabile che amino fantasy etc. nella stessa misura, aderendo all’interpretazione di De Turris. E here falls the donkey, perché questa interpretazione è una volta di più una cazzata, ma è stata coltivata e monopolizzata per talmente tanti anni da esser data per buona (“gli unici che ne parlano sono quei critici e intellettuali di estrema dx, vedrai che…”), e solo qui. Perché nel resto del mondo Tolkien, piaccia o meno non importa, è studiato criticamente e dibattuto. Le teorie di De Turris, strumentali e superficiali, non hanno alcun terreno. Qui sono l’unica cosa che c’è, complice la noncuranza da parte dell’editore, perché probabilmente Tolkien si vede senza sforzo e non saranno due prefazioni o testi critici fatti a cazzo a cambiare le cose, e complice la critica letteraria che decide volontariamente di snobbare e deridere uno dei settori più interessanti della letteratura dell’ultimo secolo. Questo deserto non fa bene a nessuno: alimenta la superstizione del fantastico roba per citrulloni neonazisti dando ragione a Natalia Aspesi, rende l’Italia arretrata e provinciale pure in questo settore, e per ultimo fa malissimo alla letteratura stessa.
Non solo: la famosa correlazione con la violenza, a cosa la possiamo attribuire? A hobby e passioni, o alla fede in ideologie che predicano lo sterminio degli inferiori, fede condivisa con altre persone che non vedono niente di male in pestaggi e organizzazioni di gruppi paramilitari?
Uff. Chiudiamo in bellezza:
Ah, in tutto il post, prendete un po’ Tolkien come improprio e ingiusto sinonimo di tutto ciò che è fantasy e fantastico e fantascienza. Un po’ perché da noi si tende a fare di tutta l’erba un nazifascio, un po’ perché la discussione partiva da lì ma per semplificare faccio così lo so che poi ci sono un fracco di cose etc etc insomma capito, no?
Ieri sera guardavo CSI: Miami, poi o mi sono rotto o è passata la pubblicità, boh, fatto sta che ho cambiato canale. Pigio il telecomando e mi trovo sotto gli occhi un duo, violino e pianoforte, vestito di tutto punto, che suona. Mi fermo lì subito. Si tratta di un pezzo cameristico romantico, lieve, il piano procede per variazioni ricorsive continue e ha più spazio del violino, l’andamento è un tiramolla tipico da scherzo post-beethoveniano, la melodia sì gaia ma sempre trattenuta da un certo qual senso di decoro e pudore: dev’esser roba da romantici tedeschi, tipo Brahms o Schumann, che io francamente non sopporto. Qua e là, la telecamera si sofferma sulla gente in studio: tutte facce mai viste. Meglio così, che tanto fan caa’. Aspetto fino alla fine per sapere il titolo del brano, ma non viene detto un cazzo. Però ho visto, nel frattempo, che il canale è La 7, la trasmissione “L’Infedele”. Dio. Cane. Se c’è una cosa che mi straccia il cazzo è La 7, la tv wannabe & sbroc per eccellenza. Quella dei Colti e degl’Intelligggenti. Il contesto dona all’esibizione dei due musici di prima un connotato ben preciso: l’intermezzo musicale a base di musica da camera è un Pezzo di Cultura che, all’interno di una Trasmissione Che Mai Potremmo Vedere Su Rai o Medisaset, allieta i Colti e, almeno si spera, erudisce un minimo il popolaccio di passaggio. Sempre lì siamo, al Prof. Guidobaldo Maria Riccardelli, alla cultura come teca di museo.

"Men may be from Mars and women from Venus, but I'm from the Jersey Shore."
In preda al disgusto, mentre la gente in studio attacca a parlare di manovre ed eurocrack, prendo il telecomando e giro. Dopo La 7 c’è MTV, di solito, ma il problema di MTV è che a volte è la versione giovanile di La 7, quindi si sente in dovere di spiegarti banalità con tono serissimo e grave, del filone “dobbiamo muoverci, noi tutti giovani socialmente consapevoli, o il mondo finirà alle 18.45!!11!” Fatto sta che ieri sono stato fortunato, perché nel fatidico momento di girare il canale non mi trovo un servizio sul volontariato sociale 2.0 di quelli che mettono la maschera di V for Vendetta sul loro profilo Facebook perché sono indignados. Niente di tutto questo, c’era solo Jwoww che girava per Firenze con Snooki e poi boh so un cazzo non ricordo bene. Dice bene un mio amico, peccato che Jwoww c’abbia quella voce da camionara… ma però alle fine chissene, è un dettaglio che la intamarrisce ancor di più. Perché Jwoww ok è una grezzona furbacchiona lampadata plasticata cinica figlia dell’era dei reality sbroc sbroc, ma come illustra l’immagine lì sopra ha pure scritto un libro, e siccome (parole non mie) è sempre meglio leggere qualcosa che guardare la tv, figuriamoci scriverlo (battute sui ghostwriter a vostro piacimento, ma in tal caso pussate via), e di conseguenza sarà meglio leggere “The Rules According To Jwoww” che guardare “L’Infedele” dove si disquisisce di eurocrack con intermezzi di musica da camera ottocentesca, perché “leggere nvtre la mente”.
E dunque, Jwoww e di riflesso Jersey Shore vincono, stando alla regole della Cvltvra, sulla trasmissione di Informazione & Cvltvra del canale che ti fa le telecronache di rugby parlando dei valori morali di questo sport in confronto al calcio, roba che se prima ignoravi sia calcio che rugby adesso speri che il rugby venga cancellato dalla faccia della Terra. Non che ci voglia poi molto. Ogni volta che il moralismo allunga le sue didascaliche mani da gesuita per perseguire l’uccisione di qualsivoglia leggerezza espositiva, beh, ecco, 10, 100, 1000 Jwoww. Perché? Perché sì.
Negli scorsi mesi m’è capitato di leggere dichiarazioni piuttosto strampalate da parte di industriali e potentoni vari. Strampalate non tanto per deficienza o eccentricità, quanto piuttosto per un retrogusto che inizialmente non riuscivo a decifrare – troppo bourbon la sera prima, forse. Il retrogusto di queste parole, profferite pure se non erro da un giornalista di dx di cui ora non mi viene il nome ma chissene, ha scatenato una serie di associazioni di idee nelle mie synapsi, da “?” a città sottomarine art deco a tute da palombaro col braccio trivellante al fantastico riff di Anthem dei Rush ad Atlante che si leva la Terra dalle spalle, la tira via con un calcio e dice “toh, vaffanculo, ora son cazzi vostri, dio cane!” E poi un gigantesco WTF che finisce in zona ma guarda, chi l’avrebbe mai detto. Eh, di che cazzo parlo, insomma, vero?
Parlo di quella corrente di pensiero politico/economica tipica del mondo angloamericano, quella libertarian, che da noi bene o male non esiste. Il pensiero libertarian, suppongo suddiviso in un rivolo di correnti ma chissenefrega, è essenzialmente il turbocapitalismo spinto alla miliardesima. Sostiene che il governo debba limitarsi al minimo indispensabile (tipo stampare le banconote e garantirne il valore), e che poi carta bianchissima vada lasciata agli imprenditorissimi, ai Creatori di Ricchezza che portano il peso di tutto sulle spalle e con le loro grandissime idee potrebbero garantire ogni bene solo che lo stato con le tasse gli rompe sempre i coglioni e loro comunque non ne hanno colpa se i poveracci son poveracci, si vede che se lo sono meritato proprio come loro si sono meritati l’Empireo. Questo tipo di pensiero trova un certo peso negli States, ai margini estremi dei repubblicani, perché nella loro dialettica politica ha sempre avuto grossa importanza il confronto Individuo vs. Stato, cioè quanto debba intromettersi il secondo nella sfera del primo. E’ questa la differenza sostanziale fra Repubblicani e Democratici: semplificando moltissimo, i primi, in linea teorica i più vicini alla costituzione, vogliono più libertà (economica = d’impresa) rispetto ai secondi, convinti che certe cose tipo gli apparati del welfare dovrebbero essere pubbliche, o quantomeno esistere pure pubbliche e di buona qualità. Repubblicani e Democratici hanno al loro interno varie correnti e le loro proposte ovviamente cambiano a seconda dei periodi storici, tuttavia è questa la distinzione fondamentale. I libertarian, oggi inglobati nel movimento dei Tea Parties (sorta di Lega Nord americana), hanno una posizione totalmente ideologica e mongoloide almeno quanto quella del fantasma che si aggirava per l’Europa. Perché invocano non solo lo stato leggero e la piazza affari sgombra e via vincoli e via tutto, ma sono pure dell’idea che non esista alcuna responsabilità sociale. Cioè, il Creatore di Ricchezza offre ai mortali il lavoro nella sua aziendona, lui la gestisce tipo squalo contro questo e quel concorrente, per sopravvivere in momenti di difficoltà licenzia in massa e butta sul lastrico perché tanto lui non è responsabile della pezzenza, e semmai alla fine può vendere tutto, comprare, speculare etc etc. Tassazioni per assicurare welfare etc? Precisi obblighi e vincoli nelle manovre finanziarie per evitare ripercussioni sociali pesanti? Giammai, e che ci può fare lui, se i poveri sono poveri (e vedrai qualcuno sarà pure negro)?
Identificare il puzzo libertarian dietro certe chiacchiere non mi è stato difficile, perché conosco Ayn Rand, la sciroccata scrittrice che è diventata un po’ l’eminenza grigia di queste robe. Il Gino Strada dei libertari, come dice Yossarian. Prendete tutta la pappardella che ho scritto lì sopra ed estendentela in maniera sia filosofica che romanzesca, e più o meno ci siamo. La Rand ha condensato le sue idee nel libro Atlas Shrugged, in italiano La Rivolta di Atlante, che presso i libertari è una sorta di bibbia. Un anno e mezzo fa, per curiosità, ho provato pure a leggerlo, ma è scritto in modo così pedante e noioso che mi sono fermato prima di pagina 200, cioè a meno di un quarto. Lo so che è poco, ma che palle, che ci posso fare? E la Rand l’ho conosciuta grazie ai Rush, che nei primi anni di carriera ci si erano ispirati un paio di volte, in canzoni come Anthem e 2112. Neil Peart, batterista e autore dei testi, all’epoca ci si era fissato, salvo poi evolvere le sue posizioni verso un individualismo responsabile e contrario ad ogni egualitarismo forzato e bovino in nome del politicamente corretto – si potrebbe dire che, da una dubbia filosofa e pessima scrittrice come Ayn Rand, Peart abbia abbracciato poi tre cervelli e scrittori immensamente più fini quali Mark Twain, Sinclair Lewis e Robert Heinlein. In tempi più recenti avevo ritrovato tracce randiste in Bioshock, il bellissimo videogioco ambientato in una città sottomarina fondata su principi randisti e ormai fuori controllo – al giocatore il compito di capire bene cosa sia successo e la scelta su cosa fare per uscirne.
La puzza dell’ideologia libertarian oggi è nell’aria. Si sente quando i vari hedge fundersz o quel che sono disastrano mercati e restano impuniti. Quando confindustriali vari chiedono esenzioni fiscali perché altrimenti non possono riavviare l’economia – in maniera ipocrita, perché poi vogliono che lo stato tenga fuori gli stranieri che altrimenti li butterebbero in mezzo alla strada in sei mesi. Quando si vuole potere senza responsabilità, ma per il tuo bene, che ti credi, coglione, tipo certe uscite di certi tipi là in Inghilterra che fosse per loro risaremmo tutti ai tempi di Dickens. Quando tutte queste cose, è un vero peccato che certa gente non possa essere decapitata in piazza. Poi dio zombi, guardali lì: più si fanno catastrofi economiche a catena, più vogliono prebende. Senso della realtà e della decenza meno di zero, come quelli del Circolo Maoista Stalinista di Gombitelli, che però hanno il non trascurabile pregio di essere inoffensivi (ok, tranne se t’attaccano i soliti pipponi clamorosi).
Leggo, con grado d’incazzatura montante, i vari reportasgz dalla Val Di Mimportauncazzo presidiata dai NoTAV, ennesima incarnazione del curioso sedicente progressismo italiano. Quello che si oppone strenuamento a qualsiasi cosa, in particolare al progresso di tipo tecnologico, perché comporta ingenti investimenti di capitali, partecipazioni pubbliche e private, modificazione dell’esistenza, rottura delle uova al fine di ottenere, un domani, una frittata. Tutto ciò viene sistematicamente aborrito secondo una logica demenziale che getta un ponte fra pensiero magico e ceneri decomposte dei discorsi di una qualsiasi vecchia assemblea studentesca (o, tanto è uguale, CSOA, o sede locale di partito comunista della libertà maoista della minchia al guaranà).
E’ un po’ una roba di questo tipo:
Progetto ==> investimenti;
investimenti ==> realizzazione;
realizzazione ==> lavoro;
lavoro ==> guadagno;
guadagno ==> MERDA.
Come dire: qualsiasi processo che parta da una pianificazione progettuale, comporti tutta una serie di investimenti, studi, ricerca, una grande pianificazione, lavoro a più livelli (dagli operai agli ingegneri agli informatici a…) che assorbirà gente da ogni settore qualificato e ne formerà almeno altrettanta, collaborazioni internazionali fra aziende e università, il tutto finalizzato ad una grande opera pubblica che si ripagherà nel tempo, snellirà il traffico, e faccia parte di una politica europea… ecco, anziché una miniera d’oro di cui essere contenti, è merda. Non fa una grinza, perché qualcuno ci guadagna anziché farlo gratis, e poi non si tutela la piccola e micragnosa dimensione locale, l’Amarone Paperone del sig. Badalassi e la Ba.Gon.Ghi. (Battelli Gonfiabili in Ghisa) SpA che dà lavoro a ben quattro persone tutte imparentate fra di loro, eh, ma coltiva biologico. Sostenibile. E ripudia il Danaro. E quindi il Capitalismo. E sospetto pure le Scie Chimiche, il Signoraggio e Isdraele.
Un manifesto come questo qui non è molto diverso, nei toni, da quelli della Lega. Per essere NoTAV basta essere onesti, perché se sei a favore della TAV sei un capitalista avido ignorante che vuole papparsi un sgugurbitoni di euri prestati dall’Europa (che va bene solo se spala merda su Abberlusconi) per fare questa TAV che farà parte della tratta Lisbona-Kiev. Un progetto in grande, che però il vero militante anarcoinsurrezionalista sbrocchista DOP deve rifiutare, perché soldi guadagno grandi imprese no piccoli no realtà locali speculazione cantiere sbroc sbroc. Ma vaffanculo.
Non ci credete? Andate al sito del Comitato NoTAV (http://www.notavtorino.org/). In home page si può leggere:
“Sono queste le Grandi Opere che hanno in mente: distruggere, aggredire, violentare. L’illegalità è la loro bandiera, l’impunità è la loro speranza. Parlavano di progetto da realizzare ‘con il consenso della popolazione’: ecco cosa avevano in mente. Con lo sgombero del presidio della Maddalena è iniziata il 27 Giugno 2011 una nuova fase di RESISTENZA per fermare la distruzione, per denunciare l’aggressione e la violenza, per fermare l’illegalità. E’ una lotta di resistenza che riguarda tutti, non solo i valsusini, è una battaglia di civiltà in difesa della democrazia. “
Sono già alla RESISTENZA. Perché l’Europa ha posto dei limiti di tempo, i Valcosesi presidiano e i coglioni resistenti per professione hanno iniziato a tirare pietre, massi etc. sui cantieri e relativi operai – sarebbe interessante vedere quanti di loro protestano giornalmente contro le morti bianche e gli incidenti sul lavoro.
E poi:

Una testimonianza commovente di pacifica democrazia
“Non hanno uno straccio di motivazione di merito per quest’opera: solo slogan di un fantomatico sviluppo.
Non hanno risorse da investire nella realizzazione: vogliono solo mettere le mani sui contributi UE
Non hanno remore a procedere usando anche dati fasulli e procedure illegittime.
Non hanno un briciolo di autorevolezza, non avendo più un’etica su cui fondarla.
E allora ricorrono all’autoritarismo, al monopolio della violenza autorizzata e vigliacca: manganelli in mano a uomini che non hanno piena coscienza del contendere e di cui non è dato conoscere l’identità (Venaus 2005 insegna).
Ci picchiano per una questione di democrazia formale: manganelli benedetti dalle lobby europee conniventi, dai ministri e dai parlamentari, dai presidenti regionale e provinciale, dal sindaco di Torino, dalla partitocrazia tutta, dai corrotti e corruttori, dai concussi e concussori, dalla Confindustria e dai maggiori sindacati, dai faccendieri, dai mafiosi in doppio petto e dai loro manovali, dai cittadini disinformati dai media di questo regime.
Un regime che sembra tanto il risultato del “piano di rinascita democratica” del venerabile della P2, ora forse esercitato dalla più attuale P4 che pare essere il vero centro di comando in Italia.”
No, vi picchiano perché siete delle teste di cazzo e perché avete iniziato le ostilità per primi, ed è stato necessario chiamare la pula che (ovviamente) arriva in assetto antisommossa. Speriamo solo che non ci scappi un morto, perché ci manca giusto il Gesù Valsusino.
Qualcuno potrebbe chiedersi cosa propongono questi qui. Basta andare a questa pagina (http://www.notavtorino.org/chisiamo.htm). 1,2,3, sbroc: sono contro chi calpesta diritti, democrazia e pace. Uh. Più che diritti e democrazia, porci comodi: lo stato vuole fare qualcosa che a te non piace, e se non ti da retta con le buone e ti gonfia di rimando quando lo attacchi con le cattive è stronzo merda fascista sbroc sbroc. Solita roba. Come solita roba è la demonizzazione perché-sì del guadagno di alcuni a fronte di una grande opera pubblica che nel lungo termine fa del bene a tutti.
Le ragioni (http://www.notavtorino.org/le_ragioni.htm) parlano chiaro e sbroccano duro.
La loro proposta alternativa (http://www.notavtorino.org/la_nostra_proposta.htm) scivola nel mongoloidico: localizzazione totale, ridurre la necessità di spostamento, mobilità sostenibile e non inquinante. Ma ci fosse una proposta concreta alternativa, uno studio, una fattibilità, un’analisi di costi e benefici – tutte cose che invece il progetto TAV ha, dio fionda. Almeno rispondi cifra con cifra e progetto con progetto.
Da notare che propongono un utilizzo più intenso della ferrovia già esistente e sottosfruttata. Dal momento che una linea ferroviaria può essere rappresentata come un grafo, il traffico della linea ferroviaria diventa un problema di flusso. Se dalla Francia arriva una ferrovia ad Alta Velocità e Alta Capacità, cosa conviene fare per instradare tutto il surplus di traffico e dirigerlo verso il resto d’Italia/Europa in tempi e costi ragionevoli? Aggiungere un arco di capacità adeguata al grafo è sicuramente la soluzione più rapida e più economica, rispetto all’ottimizzazione del flusso sulla linea preesistente – un problema di flusso massimo dai costi paurosi, visto il cattivo stato dell’infrastruttura ferroviaria. Certo, in realtà il non plus ultra sarebbe tornare alla vita nei campi nelle nostre piccole comunità ecosostenibili, vero?
In altri tempi e luoghi, per risolvere il problema dell’assedio al cantiere, si darebbe questa risposta:
Tranquilli che Ser Gregor Clegane vi calma i bollenti spiriti, dio ogiva.