Category: corso di musica per deficienti


“Ma secondo te, Rob, quello lì sarà mica un queenfag?”

I Queen non mi piacciono manco per il cazzo, e non è un mistero per nessuno. Ma peggio ancora sono i loro fan. Molesti e insopportabili come i fan hardcore dei Queen ci sono solo quelli di Beatles, Manowar, Iron Maiden e Dream Theater. Porca troia, è gente che ti fa davvero odiare gruppi di cui alla fine t’importa una, giusto? Insomma, per attirare un po’ di queenfag e visite, pubblico questo test ispirato all’opera del sommo maestro CrotaloAlbino. Test after the jump!

Sei un queenfag? Rispondi onestamente alle domande che seguono.

Sei in un locale quando, ad un certo punto, dalle casse parte “The Show Must Go On”. Un tizio di un tavolo vicino dice “che palle ‘sta lagna!”. Tu:

a) Frega cazzi.
b) In effetti ha un po’ rotto i coglioni.
c) Vado dal tizio e gli faccio una piazzata. Come osa? E’ un ignorante, uno stolto, uno che proprio l’arte, anzi, l’Arte e la Mvsica non sa nemmeno dove stiano di casa. Quella è più di una canzone, è il Testamento di Fredddie! E lui osa sminuirla così? Ignorante! Stronzo! Testa di cazzo!

Chi ha inventato il gospel?

a) Boh, Whoopi Goldberg?
b) Il percorso che ha portato al gospel è lungo, tuttavia possiamo indicare Thomas Dorsey come l’autore che diede a questa musica la forma definitiva.
c) Sono stati i Queen con “Somebody To Love”, dall’album “A Day At The Races”. Perché, c’era forse qualche cazzo di dubbio a riguardo? EH? RISPONDI, FORZA!

Dopo il Freddie Mercury Tribute, John Deacon si è ritirato a vita privata. Che ne pensi?

a) Ah, non me n’ero accorto, tanto non è che pure prima si notasse molto.
b) Una scelta molto dignitosa, lo rispetto.
c) Premesso che ogni membro dei Queen è UNICO e INSOSTITUIBILE, John ha fatto quello che riteneva meglio per sè stesso e per i Queen, dunque tu non hai alcun diritto di rompergli i coglioni con le tue domande del cazzo, capito, stronzo?

Chi ha inventato la disco music?

a) Donna Summer? O Diana Ross? Insomma, la più figa delle due.
b) Posso sbagliare, ma credo che il passaggio dal funky alla disco si possa attribuire a “One Night Affair” di Jerry Butler.
c) Sono stati i Queen con “Back Chat”, dall’album “Hot Space”. Perché, c’era forse qualche cazzo di dubbio a riguardo? EH? RISPONDI, FORZA!

Conosci cantanti in grando di coprire agevolmente tre ottave?

a) Dicevano in tv che quel tizio lì, Adam Lambert, fa della roba del genere, quindi lui.
b) Penso a Rob Halford, Stevie Wonder, Meat Loaf, Prince…
c) Freddie Mercury! FREDDIE MERCURY! SOLO LUI, in tutta la storia della musica, ha mai coperto una simile estensione vocale! Tutti gli altri cantanti devono essergli grati, se è stata scoperta la terza ottava! Altro che criticare!

Chi ha inventato il rock’n’roll stile Elvis o Bill Haley?

a) Elvis o Bill Haley, mi sa.
b) Elvis o Bill Haley.
c) Sono stati i Queen con “Crazy Little Thing Called Love”, dall’album “The Game”. Perché, c’era forse qualche cazzo di dubbio a riguardo? EH? RISPONDI, FORZA!

Cosa ne pensi del disco di Freddie Mercury “Barcelona”?

a) Per due o tre minuti ti fa scassare il culo dal ridere, poi però rompe i coglioni. Comunque, per evitare fraintendimenti, è proprio una merda.
b) Mi vergogno per Mercury. Come si fa a concepire una simile stronzata?
c) E’ un capolavoro. Di più. E’ la più geniale e originale fusione di rock e opera mai scritta. E’ una pagina creativa ed epica che mette insieme le due più grandi voci di tutti i tempi, Freddie e come si chiama, quella lì, Monserrà Trallallà.

Che ne pensi di Justin Bieber?

a) Uno che a sedici anni è già stramiliardario e gli basta schioccare le dita per trovarsi fichette arrapate pronte a farselo conficcare nello sgombraminestre non può che avere tutta la mia approvazione. Respect!
b) Un fenomeno pop come tanti altri. Non mi interessa, ma se alla gente piace, per me è ok.
c) Justin Bieber, anzi, Biberon, ahahahahaa, dicevo, lui, è una merda, è il segno della decadenza del mondo, perché una volta c’erano i Queen e adesso la gente ascolta questo nano maledetto e non capisce più un cazzo, veramente, che schifo. I fan dei Queen si dissociano da Justin Bieber e da tutto quello che rappresenta. Tra poco facciamo pure la petizione e la pagina Facebook.

Chi ha inventato il rock duro?

a) Non me ne importa una merda, so solo che se sei meno duro degli Slayer non ti cago.
b) Tutto considerato, possiamo prendere “Vincebus Eruptum” dei Blue Cheer come punto di partenza.
c) Sono stati i Queen con “Stone Cold Crazy”, dall’album “Sheer Heart Attack”. Perché, c’era forse qualche cazzo di dubbio a riguardo? EH? RISPONDI, FORZA!

Ti dà fastidio che un componente di un gruppo sia gay?

a) No.
b) No.
c) Cosa hai detto? Ho sentito bene? Gay? Allora cominciamo subito con le offese? Dillo, brutto stronzo omofobo di merda, che odi i Queen perché Mercury era omosessuale, dillo! Ora ti gonfio di botte! Prima però te lo butto in culo con la sabbia, brutto finocchio volgare e violento!

Come valuteresti l’eclettismo dei Queen?

a) Tanti modi diversi per far cagare il cazzo ai cammelli sempre e comunque.
b) Attenzione alla moda del momento. Questo non toglie che abbiano pure fatto qualche buon pezzo/disco.
c) Semplice: genio. Genio distillato. I Queen hanno praticamente inventato la musica moderna. Tutta. Non c’è genere che non abbiano inventato, e tutti i gruppi venuti dopo di loro ne sono stati influenzati, in ogni genere e nazionalità. I Queen SONO LA MUSICA, lo vuoi capire, coglione ignorante?

Chi è il tuo preferito, fra i musicisti rock o pop storici, e perché?

a) Franco Califano. Mi piacciono i signori di mondo un po’ raffinati e un po’ cafoni.
b) I Grateful Dead. Musicisti sublimi, improvvisatori senza pari, capaci di partire dal folk e trasportarlo nello spazio e tornare indietro come se niente fosse.
c) I Queen, che discorsi. Sono i migliori, capito? MI-GLIO-RI! Lo dicono tutti i sondaggi, Mercury è il miglior cantante con tre ottave di sempre, Brian May è un chitarrista troppo ganzo, quegli altri due già solo perché ci hanno suonato insieme sono i meglio altrimenti non sarebbero stati scelti, e poi hanno venduto tredici stramiliardi di cazzigliai di copie, quindi come cazzo fate a dire di no? Tornate a sentirvi Garetsful Desd che tanto non li conosce nessuno, o Justin Bieber! Ah! Confessa, ti piace Justin Bieber, si vede lontano un miglio!

Chi ha inventato il videoclip?

a) Ma m’importa anche una bella sega! Comunque Paolo Limiti faceva vedere pure videoclip di Gianni Morandi negli anni ’60, quindi…
b) I primi filmati promozionali a colori risalgono agli anni ’60: Dorelli, Gaber, Paoli, Equipe 84… cioè, perfino in Italia!
c) Sono stati i Queen con “Bohemian Rhapsody”, dall’album “A Night At The Opera”. Perché, c’era forse qualche cazzo di dubbio a riguardo? EH? RISPONDI, FORZA!

Risultati:

Maggioranza di risposte “a“: non sei un queenfag.

Maggioranza di risposte “b“: neppure tu.

Maggioranza di risposte “c“: cazzo, sei proprio un queenfag. I Queen per te sono proprio la più incredibile e incontestabile e inderogabile e inammissibile e invincibile band mai prodotta dai tempi in cui qualcuno s’è inventato l’onda sonora. E se qualcuno contesta, è certamente una merda. Non sia mai che tu conosca solo i Queen, oppure che tu sia rimasto fulminato da loro quando avevi quattordici anni e la tua forma mentis, da allora, non si sia mai evoluta. Vabbeh, in fondo è una betoniera di cazzi tuoi.

Purtroppo, al realtà ha ancora una volta superato la fantasia, finendo dritta dritta fra le rive d’Acheronte. Giulio Andreotti è morto e lotta in mezzo a noi, ma forse nemmeno questo è sufficiente al fine di raddrizzare tutte le storture che il mondo non ha mai smesso di rimprovare ad Attanasio Pecora, l’uomo dietro a tutti i fatti di sangue dell’ultimo decennio, o secolo e mezzo forse sarebbe più appropriato sapete, perché il dispiegamento temporale dell’immanente non sempre si può condensare in pochi attimi e ogni teoria dell’azione-reazione si fa memento di un concetto più astratto e, al contempo, umile, terragno, graveolente delle porcida untuosità ch’è propria dello stolto, del contadino che ignaro dei massimi sistemi e delle grandi cause trascina per il campo l’aratro, forte solo di quella saggezza secolare ch’egli reifica sempre uguale, tetragona ed immune al cambiamento, mediante lo struscio di calzature pratiche ed ineleganti che si oppongono con pugnace antiestetismo all’ipostatizzazione pedunculare propugnata da Prada e da tutti coloro che, parimenti, ambiscono al livellamento dell’uomo su un sistema valoriale d’implicito razzismo e schematica conflagrazione di contrapposizioni fittizie che si propagano all’infinito su un orizzonte degli eventi ormai dato per scontato, per irrilevante, per nefando e incalcolabile nella sua cieca e totale devozione al Potere inteso come in [1];

ed appare pertanto necessità di vero il sostenere che, in situazione di emergenza data da conflitto di classe irrisolto e femminicidio senza tregua, sia forse necessario fare un passo indietro ed ammettere con sè stessi ed il mondo che sì, abbiamo oltrepassato un segno ed il debito del terzo mondo è solo una delle cause della crisi che porta tanta gente per bene a indebitarsi per poter acquistare sottobanco pancali di merda da riversare nel water in modo da intasare le fogne e dare un po’ di laboro agli idraulici e, di conseguenza, a quelle maestranze umilmente manovali con la salopette lurida e la matita dietro l’orecchio e le mani lerce di morchia che purtuttavia son necessarie al processo civile e un’orda di tecnocrati vorrebbe rimpiazzare con robot in fattezza di negro a costo zero, perché in realtà voi credete che ci siano i negri in giro, ma si tratta solo di ammassi di cavi e di ciccia, perché i negri veri sono tutti morti nell’Oceano Negro che è la tomba di tutti i negri, ma non tutti i giovani se ne possono accorgere e continuano a guardare le repliche dei Robinson scambiandolo per la realtà mentre invece è quello che vuol fargli credere Abberlusconi mentre fa il governo che lo processano per abuso fiscale e frode campidanese quando assunse un cameriere che fu in seguito lapidato perché adultero

e quindi in qualche modo giustificabile nella cultura d’origine, sebbene anch’essa minata alla base dall’avanzata dello scoccialriformismo in salsa diluita eppur ancora dannosa e cancerosa, un’infezione tumorale che neppure il bicarbonato agli escrementi di Tullio Simoncini (quel finocchiaccio) potrebbe curare nè tantomento guarire, quindi provate a traslare tutto questo complesso balzabbà di pensieri parole opere e omissioni in un feretro simbolico di significanza epistemologica e urgenza espressiva, ne uscirebbe fuori una merda totale e indegna di qualsiasi fruizione, persino nella grave circostanza di cui è stata vittima Laura Boldrini durante un’ispezione dell’interwebs in cui Appeppecrillo e Alfano le scrivevano le parolacce con la maschera di V for Vendetta sperando di non essere riconosciuti anche se poi con gli hacker speravano di entrarle nel cellulare (non è un doppio senso, e se ci vedete la malizia è la cultura maschilista che vi condiziona) per prendere le foto di lei nuda sulla spiaggia di Ibiza per poterle far girare in rete ma non c’erano e allora hanno usato una foto di una che le somiglia anche se in realtà non lo sappiamo perché in fondo chi le ha mai viste insieme a Laura e Boldrini e quella lì spacciata per lei nuda, ma è proprio per questo che al mondo esistono gruppi di merda come i Uochi Toki o i Cani e teste di cazzo che li ascoltano senza provare schifo, dio merda.

Il 25 Aprile è una data importante, una festa da non dissacrare, anche solo perché molti rifiuti umani amano farlo. Solo, le celebrazioni del 25 Aprile in genere coinvolgono musicisti orrendi, noiosi, barbuti e scassacazzo, portasfiga clamorosi come Bobo Rondelli, i 99 Posse, i Modena City Ramblers o la Bandabardò. E quindi io vi do una colonna sonora atta all’uopo, ovvero due ore del magnifico Trombone Shorty.

A me garbano i negozi di dischi. Dico sul serio. Quando vado in una città, li cerco e mi piace proprio infilarmici, cercare/comprare le robe, etc etc. Soprattutto se sono negozi dedicati alla roba che mi garba, oppure in cui a tale roba sono dedicati ampi reparti. Non sono schizzinoso, va bene anche il repartone da Mondadori o Ricordi o FNAC che sia. Credo che questo tipo di passione per il negozio di dischi sia connaturata a quella per la musica. E che non ci sia niente di male, al pari di altri piaceri come il velocipede, l’auto d’epoca, o addirittura le rievocazioni storiche in armatura e spada. Si tratta di tenere in vita un passato ormai finito, per pura passione, assieme ad altri appassionati. La passione è la chiave, ovviamente: da un profilo strettamente razionale, un’auto moderna è più economica, sicura e facile da guidare rispetto all’Aston Martin del 1946, però se ce l’hai e ti piace, padronissimo di andarci in giro finché la puoi mantenere in sesto. Queste considerazioni di sconcertante banalità, per qualche astruso motivo, non sfiorano manco per il cazzo una nutrita frangia di ascoltatori di musica che provocano schifo all’idea di comprare online e che piangono lagrime amare et gopiose ogni volta che un negozio di dischi chiude. E sono una gran rottura di coglioni e fonte di sbroccate moralistiche mica da niente, eh. Guardate questo thread (iniziato nel 2009, ad oggi cento pagine) sul forum del Mucchio Selvaggio. Il post che dà l’avvio è un chiaro esempio di una mentalità retriva e antiquata che non vuole saperne di scendere a patti con la realtà, sostenuta dalle stampelle dell’elitismo e della nostalgia canaglia. Dice:

“il negozio di dischi sta diventando superfluo come concetto proprio. e questo, al di là degli inevitabili sentimentalismi e cazzate da vecchio dentro terrorizzato dai cambiamenti quale sono, non riesco proprio a vederlo come una cosa positiva. da Nannucci ho passato più ore della mia vita di quanto fosse ragionevolmente lecito ipotizzare, lì ho comprato il mio primo disco (“fear of the dark” degli iron maiden, appena uscito: era il giugno del 1992), lì mi fermavo dopo la scuola a ravanare con la tenacia e il puntiglio dell’archivista tra le vaschette dei “fondi di magazzino” in cerca di “chicche” nascoste e offerte irripetibili (dai vinili della Contempo a 1.950 lire, a “skyscraper” di david lee roth a 1.500 lire, agli stock di forati con dischi tipo “songs of faith and devotion”, “without a sound” o la raccolta di b-side dei mudhoney che ti tiravano dietro a prezzi ancora oggi imbarazzanti), ma non importa.”

L’abbiamo fatto tutti, tutti noi appassionati di musica. Se capita l’occasione lo faccio ancora, ma non è un bisogno. Perché la cosa importante, per un appassionato di musica, è l’accesso alla medesima. Queste madeleine sono buone per pulircisi le croste di merda dalle ascelle, dio canaccio. Anch’io se ci penso dico “ah, che teNpi”, pensando ai pomeriggi al negozio di dischi specializzato in metalz della mia città a discorrere con negoziante e gente. Allo stesso tempo, è tutto finito, ed è cambianto in meglio. Il tizio del post sul Mucchio va avanti e aggiunge, ad un certo punto:

“perchè quello che molti ascoltatori dell’ultima ora e troppi stronzi che hanno adesso l’età che avevo io quando spulciavo tra quegli scaffali non possono capire (e probabilmente non capiranno mai), è che quando compri un disco in un negozio non paghi solo il disco, paghi anche il servizio che il negozio stesso ti offre, e questo vuol dire competenza, scelte di campo, guida all’acquisto, commessi totalmente ossessionati e nerd oltre ogni possibile speranza di redenzione,scrematura, quella stessa scrematura che il mucchio tenta faticosamente di operare tra le sue pagine, che io spesso non condivido ma che comunque c’è, esiste, mi fa sentire trattato con rispetto in quanto ascoltatore, mi fa pensare che la musica in quanto oggetto abbia ancora un valore.”

Non sono un ascoltatore dell’ultima ora e non so bene cosa pensino i sedicenni di ora, non frequentandoli non ho neppure la presunzione di liquidarli con questi giovani di merda che non capiscono un cazzo. Il servizio e la scrematura che può fornirti un negozio specializzato, vecchio, lo trovi pure online. E non ha alcun bisogno di spocchiosi negozianti miopi con la barba piena di parassiti: un buon algoritmo di apprendimento è perfettamente in grado di svolgere lo stesso compito. Quando mi arrivano i consigli di Amazon USA, dove ho uno storico di acquisti che comincia dal 1998, trovo regolarmente o cose che ho già (ma non ovviamente comprato da loro) oppure cose che mi possono interessare e non di rado prendo: vedi, il tuo negoziante è inutile anche da questo punto di vista! Amazon UK e Amazon DE sono meno precisi, nei loro consigli, perché lo storico degli ordini è molto inferiore, però se comprassi più spesso raggiungerebbe ovviamente la stessa efficienza. E per finire:

“ora io vorrei che tutti quegli stronzi che comprano a mani basse da playpuntocòm perchè “costa meno”, che ordinano i cd a paccate sui siti internet americani così risparmiano sul dollaro, io vorrei che tutta questa feccia del cazzo si rendesse conto di cosa si è persa e di cosa sta contribuendo a distruggere indirizzando i propri soldi nelle tasche di qualche colletto bianco oltremanica (o oltreoceano) che non sanno nemmeno che faccia abbia. trovare un disco che si cerca da tempo, rovistare tra gli scaffali, scambiare due chiacchiere col clerk ossessionato, Cristo santo, uscire di casa per cercare qualcosa che ti piace, andarsela a prendere. è questo che più di ogni altra cosa mi spaventa, nell’epoca del “tutto e subito”: che si perda la consapevolezza che gesti, che azioni del genere esistano. è questo che mi fa sentire come tommy lee jones in “non è un paese per vecchi”. non Nannucci che chiude, ma le cause che lo hanno portato a chiudere. pensare di essere rimasto l’ultimo stronzo che un disco lo cerca continuando ad avere a che fare con esseri umani.”

Oh, così saremmo feccia del cazzo. Il cretinetti sembra più interessato ai negozi che alla musica. Perché, caro cretinetti, se grazie ad Amazon, a Play etc. puoi comprare di più perché i prezzi sono più bassi, succede che… al musicista arrivano più soldi! Proprio così! A noi feccia del cazzo non interessa un cazzo del contatto umano col negoziante del cazzo: ci interessa la musica. Avere i dischi, ascoltarli, capirli. Comprarli, così che l’artista possa contare su del danaro, nella speranza che gli altri appassionati facciano uguale. I cretinetti del km zero discografico non ci arrivano. E’ più importante la consapevolezza dei gesti, rovistare fra gli scaffali, trovare un disco che si cercava da tempo (cosa che su web succede spesso). Ma vaffanculo, coglione! Sei proprio un vero, autentico, immane coglione.

Pensaci: vai sulla superfichissima comunità di ascoltatori di musica, ti scambi consigli, scopri artisti, robe, cose. Puoi correre su YouTube o sul sito ufficiale e farti un’idea di prima mano. Se ti convince, puoi subito volare su Amazon e similia e trovare quei bei dischi che ti hanno consigliato gli esperti della comunità virtuale che tanto ti piace frequentare, puoi comprare con tre clic e trovarti tutto nella cassetta della posta dopo una settimana. In pratica, hai davanti a te il modo migliore e più efficiente mai realizzato per accrescere la tua cultura musicale, e allo stesso tempo stai pagando il musico per il suo lavoro meglio di prima (per il semplice fatto che prezzi più bassi => più dischi venduti), e invece no, vade retro, si perde la consapevolezza dei gesti (mi viene da ridere ogni volta che lo scrivo) e si mandano i soldi a qualche colletto bianco mai visto né sentito!!!!11!!!uno!!! Ma si può essere più idioti? Come se fosse bello vedere e sentire quei cafoni di Rock Bottom a Firenze, per esempio…

Sospetto che a fianco di questo vecchiettismo ci sia una bella dose di elitismo. Ci sono persone che ascoltano la musica non solo per piacere personale ed interesse, ma anche per estremo bisogno di affermazione sociale. Sovraccaricano la musica di una dimensione etica e fanno miriadi di castelli in area prima di poter dire se tal disco/artista è ok o fa cagare iguana impagliati. La musica, per queste persone, serve per tracciare una linea: da un lato NOI, dall’altro LORO. E se la musica X piace a LORO, allora SequelaDiCastelliInAria è eticamente sbagliata e la critichiamo con violenza. In questa forma mentis, rientra anche l’acquisto al km zero nei cari vecchi negozi di una volta. Io, guarda un po’, ho sempre pensato che Nick Hornsby sia una merda e Alta Fedeltà un libro del cazzo.

Kekko di Bastonate fa spesso ragionamenti simili. Io in tutta onestà faccio una fatica boia a capirlo, quando si perde nell’assurda dimensione dell’etica per una roba che suona e stimola maggiore o minore secrezione di endorfine a seconda della sensibilità individuale. Lo leggo, perché mi fa vedere le cose secondo una prospettiva per me inconcepibile. Feticismo per il negozio di dischi di una volta sbroc sbroc compreso. Bah. Sia come sia, se a qualcuno piace andare in giro con una macchina del 1943, faccia pure. Solo non si metta a moralisteggiare perché noialtri preferiamo auto più sicure ed economiche e che a voler vedere inquinano pure un botto meno. Io continuerò ad accrescere la mia cultura musicale (ma lo stesso discorso si può fare paro paro coi libbbri) con Amazon, Play, CDWOW e compagnia bella, pulendomi allegramente il culo con la consapevolezza degli antichi gesti. E dio maiala di dio! Ma c’è una via con cui un negozio dischi oggi, può vivere e prosperare, cioè internet e specializzazione. L’intervista che ho fatto ai tipi di JazzMessengers (Barcellona) rivela una success story notevolissima. Ma l’Italia è troppo provinciale per queste cose… minimo, il tizio del thread di Mucchio Selvaggio non comprerebbe mai da un negozio che vende molto su internet, perché sarebbe poco etico.

Ancora una volta le forze restaurative remano contro all’Arte e alla Cvltura. E’ successo di nuovo a Caltagruate, dove Ermenio Sbrenna, pittore e performatore, si è visto negato il permesso della sua nuova installazione “Circomene Derelicta” in quanto, a detta degli inquirenti, oltremodo oltraggiosa nei confronti di quella morale del Signore Iddio Gesù (cane, aggiungeremmo in un secondo tempo) che tanto bene ha fatto all’arte, vedasi i dipinti lì di coso, Giotto e Michelangelo, ma tuttavia non possiamo in nessun modo far sì che tutto ciò, lo scembio, diventi un’abitudine, perché ne va della nostra buona nomea, ed dovrebbe essere chiaro a tutti, ma in un paese deficitario di culture e attenzioni, in cui i valori sono in crisi e si mandano in pensione giornalisti preparati come Salvatore Gualla e critici d’arte di fama internazionale come Alybrando Siraghi, ecco, in questo paese per forza poi che scende il PIL, per forza poi che le agenzie di ratingsz declassano tutto e mandano in malora le piccole aziende che lavorano sul chilometro zero mentre arroganti calciatori come Balotelli danno un cattivo messaggio ai giovani, cioè che è bello essere negri e trombare le vedettes, che poi che cultura ci viene fuori se non quella dell’ignoranza e della plebe che non capisce un cazzo, proprio di questa gente qui che sarebbe l’anima del paese insomma il grande processo restaurativo spinge le spinte centrifughe dell’arte a coalizzarsi in un groviglio liquamoso di rizomi e sterco, di incrostazioni del linguaggio e della semantica dell’ovvio per cui al giorno d’oggi

un giovane uscito dal liceo non è in grado di estemporarizzare su due piedi i molteplici dislivelli di lettura della Vita Nova di dantesca memoria, ma allo stesso tempo sa dirvi tutte le formazioni dell’Atalanta dal 1979 a oggi e per di più crede che furbescamente agendo per conto terzi con attività di basso conio morale e intellettuale sia possibile costruirsi non già un futuro, ma quantomeno un presente coincidente con l’acquisto dell’iPhone con cui andare in giro e fare le foto ai negri, oppure da ricaricare mediante l’estrinsecazione di performance sessuali dietro pagamento, che secondo alcuni è pur sempre un’instradazione alla via dell’imprenditoria personale, secondo altri però e io mi ci schiero altro non è che la deriva ultima della corporeità post-meretriciale in cui ormai l’intelletto è totalmente staccato dal corpo e lo utilizza con disinvoltura come mezzo per ottenere qualche osso di gabbiano, qualche enfisema nei kiwi, qualche lavanda gastrica gratis dal reumatologo della mutua

che stando ad alcune voci di corridoio, tuttavia piuttosto affidabili, è pure manfruito e lo acciuffa a chilometri nel tabarén ogni sabato sera per modico prezzo dietro il Mercato Ortofrutticolo, dimmi un po’ te ora se un mestiere onorato come quello del medico oggi dev’essere pure infestato da’ finocchi, sono veramente tempacci di crisi che si rifrangono come un’onda malsana e miasmatica nella vita di tutta la società, al punto che ormai fra un Presidente della Repubblica e uno sbozzascalini non v’è più alcun possibile distinguo, e anzi è ancor più rimarcata l’uguaglianza fra le due parti e si ritiene ormai giusto e scontato asserire che chi dice il contrario sia un negro

che si chiama pure Billi ed è bravo a basket, questa disciplina sportiva che allena i muscoli senza aguzzare l’ingegno e quindi è tutta una deriva entropica questa qui che prende la società dove i tracciati individuali si atomizzano in un brodo primordiale inconcludente reificato dalla pertecipazione agli Europei di Calcio ove si uccidono cani per permettere ai milionari di tirare calci al pallone, tutto questo uccide l’intelletto dei nostri giovani che troveranno più interesse ad andare in giro sulla spiaggia a vendere gli accendini perché è così che ha iniziato Balotelli, che se magari si fosse dedicato ad uno sport di grandi valori morali tipo il rugby avrebbe smesso già in giovane età di essere negro e oggi occuperebbe un palazzo a Milano con le sue installazioni artistiche che mettono in crisi la società dei consumi e basta che mi sono rotto il cazzo dio merda, oh.

(ps: post n. 666!)

Venerdì 18 maggio. In quel giorno è uscito il post Roba Perentoria, dove venivano enunciate alcune semplici verità sul nadir della musica, Lo Stato Sociale, e il loro album Turisti Della Democrazia. Le visite, quel giorno, sono state 1595, uno dei picchi da quando questo sblogs è su WordPress, e quindi uno dei picchi di sempre. Di questi 1595, un terzo abbondante veniva da Facebook, segno che il post è stato ribloggato in giro e, immagino, abbia suscitato un sacco “vaffanculo nn cpsc un cz!!11!uno!1” fra gli indiboiz e/o sfighè che non provano istantanei moti peristaltici a sentire LSS. Del resto, qualche commentatore svantaggiato & pieno d’odio ha scritto pure qui, ma l’ho cassato. Solo ora mostro qualcosa, così, per ridere:

N.1: “Solo un decerebrato senza pensiero autonomo puo’ formulare un giudizio basandosi su dieci secondi di ascolto.almeno non scriverlo. Pero’ non temo di essere altrettanto in torto per averti giudicato in 4sec di lettura…”

Oppure un genio? Oppure, semplicemente, LSS fan talmente smerdo che basta davvero così poco? Era un commento di risposta a un commento di Berserker, fra parentesi, ma chissene.

N.2: “Ho letto i vostri commenti e noto che concordate sul fatto che vi fanno cagare. Ma, curiosità personale, posso sapere che artisti ritenete degni di nota?”

Un classico, la sbirresca richiesta di titoli. Mi faccia vedere se lei può permettersi di giudicare. Dall’alto di cosa giudica? Beh, è un po’ che ascolto Justin Bieber, Emma Marrone e Nina Zilli, sono eclettico, dio cane.

Mi sovviene un’altra cosa, ovvero che la sera del 18 Maggio sono andato a vedermi dal vivo i 3 Inches Of Blood. A riguardo Kekko di Bastonate potrebbe, probabilmente, scrivere una bella analisi sociologica secondo cui 3IOB e LSS sono mutualmente esclusivi e chi dice il contrario è un negro. O almeno lo spero, perché mi diverte quando scrive quella roba che poi magari non sono d’accordo un cazzo ma mi garba leggerla lo stesso.

Algebricamente parlando:

3 Inches Of Blood = Judas Priest + Slayer + Accept + At The Gates.

Lo Stato Sociale = Offlaga Disco Pax + Lunapop.

Dal momento che Judas Priest, Slayer, Accept e At The Gates sono tutti quanti fichi, la loro somma è fica. Allo stesso modo, siccome Offlaga Disco Pax e Lunapop sono merda di cammello morto di vaiolo su un marciapiede di Calcutta, la loro somma sarà merda di cammello morto di vaiolo etc etc. Insomma, immaginate un po’ la composizione di funzioni continue, magari con i gruppi della prima equazione che sono funzioni continue, quelli della seconda no, e fate che la non continuità corrisponda a far venire la merda al culo e ci siamo. QED.

“Ma Lo Stato Sociale, no, quanto farà caa’?”
“Abbestia!”

Quindi, la discussione è chiusa. E ora che ci penso non l’avevo mai iniziata, mi ero limitato a proferire verità, solo che stavolta ho deciso di dimostrarle e basta mi sono rotto. Ora vediamo se pure questo post fa un bordello di visite.

C’è un mio vicino di casa, ci tengo a precisare simpaticissimo, che è un vero e proprio Vecchio Rocker. Sapete di quelli che solo i gruppi che si ascoltavano quando erano giovani loro erano ganzi e tutto quello che è venuto dopo fa schifo? Quelli che i Pink Floyd e i Clash e i Deep Purple ma che vuoi che siano quelle merde degli Slayer e dei Dead Kennedys etc etc? Ecco, paro paro. Il nostalgismo del Vecchio Rocker, archetipo di cui il mio vicino è un’incarnazione, è ciò che tiene in piedi la grande baracca del rrrrrrruock prima dell’inevitabile schianto finale che, mi auguro, avvenga il prima possibile. Certo, perché succeda devono prima sparire di giro tutti i gruppi storici, ma trattandosi di biologia dobbiamo solo pazientare – quando anche le band degli anni ’90, tipo Soundgarden o Dream Theater o Radiohead o Tool o Nine Inch Nails o Rage Against The Machine (cito a caso gruppi simbolo dal grande numero di fan) saranno troppo decrepiti per tirare la carretta e le loro 130esime ristampe andranno ad affiancare le 2700esime dei Rolling Stones, il ciclo sarà ultimato. Questo non perché di gruppi bravi non ne siano usciti, è palesamente falso, ma perché il mondo è cambiato. Intanto, siamo subissati dal fenomeno del Classic Rock, ovvero dai gruppi di ventenni che si ispirano a quelli di quarant’anni fa, a volte imitandone persino il look – The Answer, Gentleman Pistols, Wolfmother e milioni di altri. Il fenomeno lo posso spiegare da due versanti: quello tecnologico (i giovini) e quello anagrafico (i vecchi).

Per il versante tecnologico ci vogliono due sottocapitoli:

Il primo è Guiter Hero: la diffusione amplissima raggiunta dal celeberrimo videogioco nel corso degli anni ’00 ha avuto l’effetto non trascurabile di avvicinare ai classici del rock una quantità esorbitante di giovanissimi, che hanno cominciato a scoprire, e a comprare in massa, le discografie dei vari Mostri del Rock. Molti di loro si sono pure messi a suonare davvero, per dire. Magari ispirandosi proprio a quei Grandi Vecchi.

Il secondo è più recente e si tratta del binomio YouTube+Facebook. Per un adolescente che si affaccia oggi sull’interwebs, non c’è poi così tanta differenza fra il 2012 e il 1962, in termini di immediata offerta musicale: basta che legga qualcosa sui Sonics o Rolling Stones o Hendrix o Van Halen o Death o Slipknot o XXX di turno per poter trovare fior di roba su YouTube da condividere immediatamente su Facebook con millemila amici fra cui, si suppone, altri sufficientemente appassionati di musica per scatenare il classico ardore & voglia di scoperta del teenager. Un gruppo appena formato di teenagersz ha le stesse probabilità, oggi, di suonare come i Cream che di suonare come i Muse, e di trovare in entrambi i casi un’industria discografica disastrata ma ancora capace di dargli qualche chance.

Come prova numerica di questa tendenza, il gran numero di ristampe uscite negli anni ’00 (la Sony/Legacy è stata attivissima, forse perché è quella col catalogo più ampio) parla chiaro, e tutt’oggi si continua a batter cassa, anche se con maggior difficoltà, su questo terreno.

Per quello anagrafico, dobbiamo prendere in esame la critica rock, quella fatta di riviste e libri. Quelli che erano ragazzini ai tempi degli XXX e li vedevano sputazzati e derisi dai critici del tempo sono diventati i critici di oggi e, avendo la penna dalla parte del manico, possono finalmente dire al mondo intero quanto fossero fichi i Judas Priest e i Ramones e i Lynyrd Skynyrd, scriverci retrospettive, libri e speciali tv, e celebrarli nella Hall Of Fame. Non per niente tutti questi gruppi, un tempo feccia disprezzatissima dalla critica e dunque davvero rock in quanto eversivi e pericolosi e ai margini, sono oggi tranquilli senatori del megawatt. La spirale innescata da questi due fenomeni è al momento dominante, e stritola qualunque altra scena. Ma si tratta, incredibili dictu, della punta dell’iceberg.

Perché l’era mitologica del rock è giunta al termine, e bene o male l’avevo già scritto, ma manca l’ultimo tassello: come già il blues e il jazz prima di lui, il rock sparirà dai riflettori per diventare un acquired taste, musica per intenditori con un pubblico di nicchia. Lo dico perché osservando la parabola del jazz, il percorso è evidente. Oggi siamo alla fase che quella musica ha attraversato nei primi anni ’80, quando Wynton Marsalis riuscì a ravvivare l’interesse e a diventare un nome-simbolo anche per chi il jazz non lo conosceva. Oggi, di jazzisti in gamba e giovani ce n’è pure tanti, e il panorama è tanto vasto quanto frammentato in una marea di nomi e tendenze contraddittorie. Suona familiare? Perché oggi se fermi uno per strada e gli dici “fammi il nome di un gruppo rock di ora, subito!” è probabile che ti citi un po’ di brit-shit tipo Muse, quindi comunque roba attuale, ma siamo agli sgoccioli. Anche il rock, in tutte le sue millemila tendenze contraddittorie, si dimensionerà su affluenze da max 2000 persone o giù di lì. Anche il rock verrà identificato genericamente come tutto ciò che ha una chitarra elettrica, come il jazz come tutto ciò che ha un sassofono. Future pop star annoiate faranno il loro disco rock come oggi vecchi rocker in pensione fanno il loro disco jazz per uscire dalla routine. Suona triste? Non per me. Più che mai conterà la musica e basta, che smetterà di diventare una religione o un’ideologia.

Quando David Guetta dice di voler rendere la house più grande del rock, sta solo dipingendo il futuro prossimo venturo, inevitabile quando le ultime rockstar andranno in pensione e i dj ne prenderanno il posto a fianco delle popstar. E’ inevitabile. E, per quanto mi riguarda, non è un male. Altrimenti sarei un vegliardo stile Assante/Bertoncelli che si lamenta che nessuna canzone rock rappresenta Occupy Wall Street e quindi il rock è morto bei tempi quelli di Woodstock sbroc sbroc.

Ma il succo del discorso è uno: il nuovo disco degli Offlaga Disco Pax è una merda come al solito e se vi piacciono andate a fare in culo.

Avevo in mente un post più spesso ma non c’ho voglia e lo rimando alla settimana prossima, sempre che mi vada.

Allora no, fra poco inizia, puntuale come scuregge dopo le lenticchie, il festival di Sanremo. Chi ci suona, chi non ci suona, non me ne frega niente: il semplice fatto di andare lì vuol dire fare schifo, e non ditemi che a volte ci sono stati degli ospiti bravi perché non vale. Tradizione vuole che ci siano un paio di fìe decorative/interattive a fianco del presentatore, che stavolta è l’odioso ma insopportabile Gianni Morandi. E le due? Si tratta di Belen Rodriguez ed Elisabetta Canalis, le due fighe più hhhhhhhotsz e chiacchierate degli ultimi anni. Personalmente, non vedo il problema: non seguirò Sanremo come ho fatto negli ultimi 34 anni, e qualora volessi vedere le nudità della Canalis o di Belen c’è sempre l’interwebs.

Nazi-commie-emo: l'assoluta pessimizazione dell'essere umano.

Quindi qualcuno potrebbe dirmi, che scrivi a fare? Sanremo non è forse la quintessenza totale termonucleare nel nazionalpopolare, cosa te ne sbatti la minchia a fare quando puoi giocare ad Assassin’s Creed II o succhiare un bel pezzo di ragù congelato? Bene, difendo le due donzelle. Perché c’è un sacco di gente che dice “Mpff, Sanremuoo, che scuifuoooo, robba da pezzzuentii, megliuo il Festival della Tarantaaa!” oppure “Tzè, Sanruoemmo, robba da ‘gnoranti rincoglioniti dalla tivvù, fa parte del suistuemaaa!”, ma all’annunzio della presenza di Belen e della Canalis hanno levato al cielo un coro unanime: “Ma come, quelle due troje, quelle baldracche, quelle scostumate, a Sanremo, non è decoroso, ma che schifo, ormai basta darla ai negri per finire in prima serata, che sapranno fare quelle lì, ma via, e anche Morandi, al suo posto mi sarei rifiutato di condurre insieme a quelle puttane…”

La questione è semplice. Chi vomita su Sanremo, e fa bene, non dovrebbe poi scandalizzarsi per due (molto decorativi) budelli sul palco dell’Ariston. Perché invocare il decoro per una manifestazione della peggio merda nazionalpopolare, piena di cantantacci schifosi, di falliti, di vecchi decrepiti che hanno i loro riflettori annuali solo lì, di vippame di serie z e di ospiti stranieri imbarazzatissimi? Cioè, ci si preoccupa del decoro di una cosa indecorosa e ributtante per natura? Ma via! Personalmente ci godrei a vedere gente ripugnante e schifosa che trascina nella merda e nell’improponibilità la baracca sanremese, non so, la Bertè fuori di crapa presenta bestemmiando e vomitando sul pianoforte, i Gwar ospiti, gente di Amici e X Factor fra i Big a tutto bordone, di tutto di più. E invece no. Si pretende buona creanza e rappresentazione positiva della nazione da parte del peggior festival musicale del pianeta, anziché auspicarne l’estinzione. Roba da matti.

Quindi, speriamo che l’anno prossimo lo conduca Fabrizio Corona accompagnato da qualche troia del bungabunga-gate, e l’anno dopo Lele Mora, e poi Sgarbi etc etc. Più Sanremo si affossa, più l’Italia progredisce.

Oggi Facebook mi ha portato questo articolo. Si tratta di un appello scritto da Franco Mussida, chitarrista della PFM nonché titolare di una scuola di musica di ottima reputazione, per la salvaguardia di quella musica popolare dai grandi valori che oggi stenterebbe un bel po’. L’articolo contiene anche cose condivisibili, condite però da un forte senso di o tempora o mores!, e soprattutto denuncia l’assoluta e totale incomprensione di come sia cambiato il mondo (musicale e non) negli ultimi vent’anni. Ma proprio zero. Ho scritto qualche tempo fa un post sulla natura di questi cambiamenti, e non starò a riperli qui. Le considerazioni le facevo per il jazz, ma sono facilmente generalizzabili.

Mussida rileva giustamente che il mercato discografico è in supercrisi, che per arrivare in cima alla classifica basti ormai il freakazoide fresco di X Factor con duemila copie vendute nella prima settimana e successivo (nonché meritato) inabissamento, e che l’industria miope e attenta solo al profitto alla fine ha rotto tutto. Tutte cose vere, ma che dimostrano una prospettiva limitatissima e poco legata all’attualità – fare i nomi di Elton John, Sting e Peter Gabriel del resto non ti fa partire col piede giusto. Sostenere che gli ultimi scampoli di vitalità nella musica popolare li abbia dati Gabriel (comunque un grande musicista, eh) significa aver ignorato sistematicamente roba tipo Tool, Alice In Chains, Pantera, Rage Against The Machine, Massive Attack, DJ Shadow, Deftones, giusto per citare entità di grande successo artisticommerciale partita negli anni ’90 e ben nota pure da noi. Mussida sembra nostalgico dei grandi movimenti e delle rappresentazioni generazionali, ma è destinato a conficcarsi stalagmiti nel baugigi: non è più possibile. Le condizioni socioeconomiche sono troppo diverse e i costumi troppo cambiati. Se il rock ha inciso profondamente sull’evoluzione del costume e del sentire, oggi le spinte oltraggiose sono state completamente riassorbite. La linea che da Chuck Berry passa per Rolling Stones, Alice Cooper e New York Dolls fino a Rob Zombie e Marilyn Manson ormai si è interrotta per l’impossibilità di spingere i confini del rappresentabile ancora più in là senza perdere visibilità mainstream: oggi ci si scandalizza per finta di fronte agli oltraggi calcolatissimi di Lady GaGa (da queste parti apprezzatissima, a proposito, come ogni cosa spettacolare e divertente). L’ascolto si è frantumato in nicchie che nessuna forza può ricomporre, visto che gli interessi e gli stimoli di un singolo sono oggi moltissimi quando prima c’era la musica e basta.

Le case discografiche, major in primis, naturalmente sono colpevolissime: rivolta ogni attenzione alla massimizzazione del profitto per soddisfare gli azionisti, prive ormai di figure come Ahmet Ertegun, hanno scelto di non investire più a lungo termine sulle carriere ma di buttare subito via a calci con non fa il botto al primo disco. Continua così per dieci anni (diciamo dal ’95 al ’05), e vedi che succede, soprattutto in concomitanza con l’esplosione del p2p? Desertificazione, merda che straborda dalle classifiche, nessuno che compra più i dischi, mega investimenti pubblicitari ormai a perdere perché le vendite non li ripagano. E concerti, in proporzione, sempre più affollati, soprattutto in America dove la cultura della musica dal vivo è molto forte e molto sentita. E qui affiora tutta l’altra metà del cielo, la trasformazione che il mercato ha subito e che ha dato molto più potere e responsabilità al singolo musicista. Che ora può e deve innanzitutto maturare il più possibile, magari suonando live un casino, poi incidere e distribuirsi un cd ai concerti e via internet (v. il benemerito CdBaby), bypassando la distribuzione normale. Molti musicisti in America vanno avanti così, perché lì il mercato e la mentalità lo consentono. Questo porta ad una particolare sinergia fra artisti e pubblico, e quindi si formano le comunità (anche vastissime) di appassionati di musica e concerti, autosufficienti e indipendenti, estranee ed impermeabili alle mode, incuranti del successo usa e getta, capaci di proliferare al di fuori delle grosse etichette, le più colpite dalla crisi. Il modello di business musicale di cui i Grateful Dead furono indiscussi pionieri si è rivelato vincente. Mussida non sa niente di tutto questo, è evidente, perché in caso contrario cercherebbe di capire se e come una cosa del genere potrebbe prendere piede anche da noi. No, la sua conclusione è talmente allucinante che merita di essere riportata qui sotto in bella calligrafia:

“Le istituzioni dovrebbero metterci lo zampino, offrire ai ragazzi occasioni per sperimentare a prescindere dal mercato. Si dovrebbero incentivare i locali a riconvertirsi in luoghi per ascoltare e ascoltarsi. Mi riferisco ai salotti e agli assessorati che continuano a considerare la Musica popolare come sottocultura… E’ giusto continuare a puntare sui-mega concerti da centinaia di migliaia, da milioni di persone? Non sarebbe più sensato ripensare alla costruzione di un rapporto più «ravvicinato», ripartendo proprio dai piccoli locali delle nostre città? Se si affievolisce il valore della Musica popolare, che è poi quella più ascoltata, cantata, partecipata, rappresentata, si affievolisce il nostro «sentire comune», diventiamo tutti un po’ più deboli. Un po’ più soli.”

Oh certo, che gran soluzione, lo stato che interviene a favore di svantaggiati d’ogni tipo col pallino della musica. Come se non fosse bastata la catastrofica lezione del cinema. A Mussida consiglio di svegliarsi e guardare prima oltreoceano e poi farsi qualche domanda. E ancor prima, documentarsi su quanta bella musica ci sia in giro, di quella che in classifica magari non ci arriva, non incarna movimenti e ribellioni, ma spacca veramente il culo. Sting, Elton John, Peter Gabriel… bah, con questi presupposti si va poco avanti! E’ già tanto che non abbia parlato di Woodstock. E siccome si riesce solo a rimpiangere le Eldorado di turno, l’impasse durerà ancora a lungo, e continuerete a sentire cover band nei locali perché tanto al pubblico in media la musica nuova interessa poco, e il cane continua mordersi la coda pure se è un boxer.

Foto che non ho scattato io, e che viene da un altro concerto ma dello stesso tour

Sonny Rollins oggi ha ottant’anni, e li dimostra tutti – curvo, claudicante, sembra che il peso del sax tenore possa spezzarlo a metà da un momento all’altro. Attacca a suonare verso le nove e mezzo, in un Europauditorium gremito, e andrà avanti per ben due ore. La band è, grosso modo, la stessa che lo accompagna da tempo: il fedelissimo Bon Cranshaw al basso, Russell Malone alla guitarra (personalmente lo preferisco a Peter Bernstein), Kobie Watkins alla batteria e Mardoqueo Figueroa alle percussioni. L’avvio in realtà non è dei migliori, lo show è aperto da un calypso (che non riconosco ma poco importa), Sonny a volte appare incerto, emette note traballanti e quando prova a squarciare i fraseggi più lenti con sventagliate ad alta velocità sembra a corto di fiato. Speriamo bene, mi dico, e credo che molti dei presenti abbiano avuto pensieri dello stesso tipo. Dieci minuti dopo, a fine brano, gli applausi sono comunque scroscianti, perché vogliamo tutti bene a Sonny. E tutte le speranze si riveleranno ben riposte, perché dal secondo brano, un torrenziale blues tinto di Caraibi dalle pennellate della chitarra di Malone e dal reticolo di percussioni, il Colosso si rivitalizza, il suo fraseggio si fa robusto e sicuro su tutta l’estensione, quei bassi da vaporiera e quegli attacchi taglienti si combinano in mille modi con glissandi e un vibrato quasi subliminale, come un’evocazione del maestro Coleman Hawkins. E’ fatta, ora Sonny si è scaldato e può cominciare a sbriciolare culi con grande generosità e ammirevole scioltezza. La band si coagula in un’onda ribollente di ritmi afrocaraibici su cui il leader può volteggiare a proprio piacimento, libero di prendere i temi e trasformarli, scomporli e modificarli con la sua classe inimitabile, come se li passasse attraverso una serie di specchi deformanti che alla fine restituiscono un’immagine chiara, nitida e bellissima. C’è spazio per una ballad, You don’t know what love is, anch’essa latinizzata e carica di atmosfera, in cui Sonny ad un certo punto suona senza accompagnamento e vola in un uragano di lick e brevissime citazioni che si susseguono senza pause. Ad un certo punto si ferma, si rivolge al pubblico ed esclama “What the fuck am I doing? I don’t know!” e lo dice in maniera tanto spontanea e buffa che ci mettiamo tutti a ridere, così come nel “Oh, whatever!” di pochi secondi dopo. Due i bis, una lunghissima St Thomas e un’ancora più lunga Don’t Stop The Carnival, super funky e trascinante, con Rollins a suonare di fronte al pubblico che nel frattempo aveva lasciato i sedili e si era accalcato a ballare sotto al palco (me incluso ovviamente). Sicuramente il modo migliore per concludere una serata meravigliosa, e la conferma di come una musica tanto complessa, ok, ma anche tanto ritmata e vitale la si goda molto meglio in piedi e liberi di muoversi.

Nel 2010, Sonny Rollins è certo vecchio nel corpo, ma lo si nota solo quando cammina e si muove. La sua mente è ancora lucida, però, ed è capace di dar vita a spettacoli di livello siderale ancora oggi. Sonny Rollins è uno degli ultimi titani di un’era ormai tramontata. Tornasse fra un mese ci riandrei. E chi non ci va, il budello di su’ ma’.

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