Continua prossimamente in un post laborioso che mi scaturisce da tutta una serie di pensieri interconnessi, probabilmente noiosi, ma c’è di mezzo pure Guerre Stellari in certa qual misura quindi non spezzettate troppo la cazza.
Continua prossimamente in un post laborioso che mi scaturisce da tutta una serie di pensieri interconnessi, probabilmente noiosi, ma c’è di mezzo pure Guerre Stellari in certa qual misura quindi non spezzettate troppo la cazza.
L’immagine di cui sopra non l’ho inventata io, l’ho solo ricreata ex novo per l’impossibilità di ritrovare l’originale, perso in qualche meandro dell’interwebbo irraggiungibile da Google. Oppure mi sono stufato troppo presto di cercare. Non sono sicurissimo, ma credo fosse un parto della mente acuminata del buon Tommaso Labranca, altro scomparso del 2016, sebbene meno noto di George Michael o di Carrie Fisher, giusto per citare gli ultimi due. Riguardo a questa cosa delle morti, onestamente, io capisco emotivamente come ci si senta per la perdita di personaggi pubblici che apprezziamo, amiamo, ci ispirano etc. E quelli che “eh ma ci sono cose più importanti…” vanno presi a roncolate nel coccige, non ci piove. Quest’anno mi è dispiaciuto un casinissimo per il grande Prince, per dire, e pure il molto più defilato e infaticabile contrabbassista Bob Cranshaw. Che aveva 84 anni, tra l’altro, quindi nemmeno stupisce troppo, come pure Leonard Cohen, ottantenne o giù di lì. Altri, tipo Prince, Michael o la Fisher, no, sono morti fra i 50 e i 60. Ed essendo, chi più chi meno, persone che hanno avuto i loro eccessi, come tante altre celebrità, il loro fisico era minato e più suscettibile. Questo per dire che nei prossimi anni vedremo sempre più personalità del mondo dello spettacolo andarsene, in particolare quelle nate fra gli anni ’40 e gli anni ’60 – un intero ventennio, quello dei miti (con merito, con usurpazione, non importa) ancora in attività. Sarà forse il caso di mettere da parte nostalgie varie e iniziare a scoprire i talenti di oggi? Io lo faccio da anni e non me ne pento, altri preferiscono piagnucolare tenendosi stretta la loro sedicesima copia deluxe limited quadrisound 3.0 di Dark Side Of The Moon.
Detto questo, mi dispiace per George Michael, per carità: era giovane e come tutti i personaggi giudicati immorali etc mi stava simpatico – anche per come affrontò la questione dell’omosessualità (pochi avrebbero marciato sopra ad uno scandalo facendo un pezzo/video divertente come Outside). Però la sua musica mi ha sempre fatto cacare, e la sua voce, “l’unica ke poteva cantare i Quinz!11!”, due palle. Eppure ora son tutti suoi fanzi e ne chiederanno la beatificazione. Carrie Fisher invece era in pratica una di famiglia, come per tutti i fan di Guerre Stellari. Il dispiacere in questo caso è molto maggiore, anche perché la Fisher purtroppo è rimasta schiava di quel ruolo, come un po’ tutti gli attori della trilogia originale escluso Harrison Ford. Il personaggio di Leia era quello di una donna risoluta e sveglia, ben lontana dalla principessa che attende di essere salvata dall’eroe e si attiene poi alle decisioni di quest’ultimo. Appare naturale che nei due nuovi, bellissimi film della serie vi siano al centro donne in gamba, dalla simpaticissima Rey alla scorbutica Jin. La cosa che mi fa più ridere? Gente che vede nella trilogia originale un’esaltazione dei ruoli cristiani e della civiltà bianca e tradizionale, in opposizione a quelli nuovi infettati dal gender. Chiederei, a questi coglioni, se hanno mai prestato attenzione al personaggio di Leia. Probabilmente, il fatto che fosse Principessa bastava a inquadrarla in un certo modo e a ignorare i fatti. Vabbeh.
E buon anno, perché non so se riscrivo di qui al 31. Anzi, col cazzo proprio.
“Ah-ah, i documenti dell’attentatore!”
“Ma ci credono stupidi? Anche questo attentatore lascia i documenti in vista?”
“Kit dell’attentatore: armi e documenti!”
Un breve campionario di robe lette nelle ultime ore. Posso capire l’iniziale stupore, ma il fatto che succeda ad ogni attentato dovrebbe far riflettere le persone. No, non che gli attentati siano dei folsz flagsz come sostengono i coglioni complottisti vari, ma che forse c’è un motivo ben preciso. Qui si parla di terroristi islamici suicidi, che VOGLIONO far sapere il loro nome. Fa parte della cultura stessa che li produce. Il martire per Allah è un eroe, e gli eroi si celebrano. Non per niente, i terroristi vari sono oggetto di venerazione in certe zone del Merdistan e in tante comunità merdistane all’estero ove si provino simpatie estremiste. In più c’è anche un altro aspetto, più pratico: comunicare, ad eventuali organizzatori o finanziatori, che il piano ha funzionato. Da morti, di solito, è difficile.
Naturalmente, non sempre va tutto liscio, suppongo possa capitare all’ultimo di cacarsi addosso dalla strizza, oppure fughe rocambolesche per evitare di esser presi dalla pula. In ogni caso, il terrorista suicida si chiama così non per figura. E martire nemmeno, proprio anche nel senso etimologico di testimone della propria fede.
E dire che, per scrivere queste cose, non ci vuole una laurea cultura orientale, eh.
Preferire i propri simili e ripudiare i dissimili è un meccanismo difensivo talmente naturale da essere scritto proprio nel nostro firmware, quello che si definisce più correttamente “cervello rettile”. Lo fanno anche tutte le altre specie, e noi che fortunatamente ci siamo elevati al di sopra dell’orrido stato di natura possiamo fare qualcosa in più, tipo tutto ciò che si chiama civilizzazione, nel senso che va dalle prime capanne di merda essiccata al sole alle megalopoli high tech. Accade che gli episodi di inciviltà comunque avvengano sempre e comunque, perché la natura dell’uomo quella è, e il cervello rettile pure. Quindi, nell’attuale marasma di incertezze, il problema dell’immigrazione e dell’arrivo del diverso ai bordi del proprio paese è una bella minaccia, percepita o effettiva che sia. E in ogni caso scatena una reazione preventiva, ancor più esasperata dalla durezza dei tempi. Tutto ciò, visto dall’esterno e al comodo, si presta alle più svariate speculazioni giornalistiche e/o politiche. E ovviamente questo si rifrange nel malefico (ma spassosissimo, meno male che esiste) mondo dei social network. Strepiti e alti lai levati in direzione della gretta gente del piccolo villaggio che non vuole un camion di negri/che fa le barricate antinegro/che non vuole ospitare in un edificio locale i negri si sprecano da un pajo di giorni. Onestamente, sono cose di per sé molto brutte, perché è facile immaginare un contado livoroso che schiuma rabbia all’idea di doversi accollare il sostentamento pure di una manica d’immigrati, come se loro non c’avessero già abbastanza problemi, e che si adopra di prima persona per deviarli altrove. E’ la mentalità dei villici ignoranti, dei paesini piccoli, delle comunità di simili che conoscono solo simili e vogliono preservare tutto com’è, privi come sono della necessaria apertura mentale e della cultura per analizzare il presente e intravedere possibili futuri. La mentalità di piccoli paesi come Goro (3828 abitanti) o Capalbio (4139 abitanti).
Buone abitudini: giovani, carini, rigorosamente bianchi e di varie sfumature biondo/moro/azzurro. Un’immagine di repertorio di almeno tre anni fa, di origine americana.
Cattive abitudini: la droga, il capellone, e, poteva mancare? Il negro, mi sembra ovvio!
Può sembrare una parodia, ma non è: le menti che hanno già partorito il Fertility Day hanno colpito ancora. Il tutto per un opuscolino tranquillino che contrappone vita sana a vita malsana. E in fin dei conti, ovviamente, la droga la spacciano i negri, quindi tanto vale partire subito con l’associazione di idee negri->droga, no?
Un fucile narcotizzante spara una siringa ipodermica (sì, di quelle che vi conficcate nel culo per iniettarvi gli anabolizzanti colla speranza di farvi crescere un po’ di barba e peluria per impressionare le tipe agli afterhour vegani, cari i miei finocchiacci) con una dose di tranquillizzante, anestetico o altre robe del genere. Il bersaglio, una volta colpito, comincia ad avvertire sonnolenza e, dopo un po’, perde i sensi e si addormenta. Dopo un po’ = ENTRO 45 MINUTI. Nei documentari naturalistici abbiamo visto questa scena molte volte, ma per ovvi motivi vediamo l’animale colpito e subito dopo medici/ricercatori/etologi/etc tutti intorno, perché è inutile riprendere e montare il processo di narcosi indotta. Fra colpo e perdita dei sensi, naturalmente, l’animale probabilmente diventerà impaurito ed irritabile, potenzialmente più pericoloso di come lo sia di solito.
Ora, pensate a questa situazione: un bambino finisce nella gabbia di un gorilla di 180 kg, in uno zoo. Voi, personale dello zoo, dovete salvare il bambino. Ok, il gorilla per ora è curioso ma tranquillo, tuttavia non si sa come reagirebbe se entrasse gente nella gabbia per portarlo via – potrebbe considerarlo “suo”, tentare di proteggerlo e di conseguenza diventare aggressivo, mettendolo in grave pericolo. E scartate questa opzione. Narcotizzare il gorilla? Lo abbiamo visto, ci possono volere 45 minuti, e in quel tempo può anche impaurirsi e diventare pericoloso, mettendo di nuovo a rischio la vita del bambino. Resta un’unica via: uccidere il gorilla.
“Aveva un volto umano! Faceva le fusa!” E quel gorilla aveva accarezzato quel bambino come mai nessun umano avrebbe mai potuto fare! A tutta questa gente posso solo dire di andare a fare in culo. Deficienti, imbecilli, cretini e pure stronzi.
Non essendo io, a differenza della stragrande maggioranza dei miei connazionali, un esperto di antiterrorismo, geopolitica, teologia, relazioni internazionali, antropologia, tattica militare e balistica, non vi tedierò su cosa si sarebbe potuto o dovuto fare per sventare i fattacci parigini, né cosa si potrà o dovrà fare da qui in avanti. Volevo però fare qualche ragionamento, spero non del tutto a bischero, su una particolare impasse che da anni è parte dell’armamentario retorico e della cultura in cui viviamo, ed è quel rapporto tanto forte quanto involontario fra jihadismo e politicamente corretto variante “le colpe dell’uomo bianco”. In sostanza, dopo episodi agghiaccianti come quello di Parigi (e di Beirut, del Mali, di Israele… la lista è lunga e non finirà) l’opinione media si divide in due fronti, caratterizzati da un’abbondanza di stupidità: il fronte “ammazziamoli tutti porcodio!” e quello “oh ma il mio kebabbaro Abdul è così bravo non sarete mica islamofobi porcodio?”. Ovvero, sostenitori di Salvini & co. e gente che tenta complesse capriole dialettiche per giustificare in qualsiasi modo la cultura araba pur di non essere accomunata in alcun modo ai sostenitori di Salvini. Fra questi due estremi lo spazio di manovra è ridottissimo, perché nessuna delle due parti è ragionevole, ed entrambe fanno un ottimo servizio agli attentati a venire.
Il cocktail in fin dei conti è letale: fra “fanno gli attentati per colpa nostra che siamo stati cattivi in Medio Oriente”, “fanno gli attentati per colpa nostra che li trattiamo male qui” e “fanno gli attentati perché la società capitalista mette alla porte gli ultimi che reagiscono nel solo modo concessogli”, ci manca solo che qualcuno li ringrazi per gli attentati. Si forma una zona grigia fra atto criminale, paternalismo terzomondista e razzismo spicciolo in cui si possono incuneare cose brutte e schifose – il ritorno di nazionalismi autoritari (le lodi a Putin etc si sprecano e aumentano, come i consensi dei partiti nazionalisti europei) e la mancanza di un’azione risoluta perché non si vede il possibile campo di battaglia. E non dico in senso letterale, ma proprio sul piano culturale. Forse si potrebbe partire dalla definizione di Islam Moderato, che riempie la bocca di tanti con abbondanza di aria fritta. Wikipedia alla mano, l’Islam, in tutte le sue confessioni e interpretazioni varie, conta 1.6 miliardi di fedeli. Come si individua il Moderato, visto che non esistono portavoce ufficiali? Se con “moderato” intendiamo “perfettamente compatibile con la vita del mondo occidentale”, ecco che possiamo già escludere tutto il jihadismo, e fin qui era scontato, ma persino chiunque pratichi o vorrebbe praticare la sharia. Non è una precisazione banale, perché in Europa esistono organizzazioni agghiaccianti come Sharia4Belgium. Da noi una cosa come la sharia è impensabile (anche se a molti probabilmente piacerebbe): in un mondo figlio di illuminismo, rivoluzione americana e rivoluzione francese, religioni e stato sono separati. L’Islam Moderato, tenendo a mente questo, è quell’Islam che lo ha ben chiaro e vive l’Islam come religione personale e basta, senza prendere alla lettera il Corano. Come succede qui con le varie correnti del Cristianesimo, insomma.
Il fail culturale e istituzionale a questo punto si ha quando gli eccessi dei mongoloidi vengono in qualche modo tutelati in nome del relativismo culturale, la tolleranza pietosa e paternalista da senso di colpa, le eccezioni ad hoc per giustificare l’ingiustificabile. Culture diverse, religiose e non, possono pure convivere, ma all’interno di una cornice da condividere senza eccezioni, pena i calci in culo. E la cornice è, o dovrebbe essere, il più possibile laica ed equamente severa con tutti, atei, cristiani, islamici, salafiti, sefarditi e manfruiti che siano. La nascita di cose tipo Sharia4Belgium dovrebbe essere percepita come sbagliata e demenziale dall’islamico medio che vive in occidente, all’organizzazione non dovrebbe essere concesso alcun spazio e sarebbe il caso si sprecassero disprezzo, frizzi e lazzi, come per partiti monarchici, nostalgici del duce e freak assortiti. E non dovrebbero nemmeno esistere fiancheggiatori multi-culti sbroc sbroc a difenderla. Purtroppo, a me sembra che questi anticorpi culturali ancora manchino. Cosa si possa fare, dove andare e così via, onestamente, non lo so, altrimenti sarei un consulente governativo strapagato. So solo che un’eventuale soluzione autoritaria, estremista, deportiamoli tutti, schediamoli qua e là, non la vorrei mai. Abbiamo già dato, e sappiamo cosa succede.
Ultima notarella su ISIS & similari: con una strategia o l’altra, vanno ovviamente uccisi tutti, non è che si possa fare altro. A dialogare a Raqqa ci vadano pure Jeremy Corbyn, Dibba, Vauro e altri mongoloidi di simile infimo livello.
Un ebreo, a Milano, è stato preso a coltellate da un tipo incappucciato di fronte ad una pizzeria kosher (qui la notizia). Scommetto che si sprecheranno i tentativi di giustificare l’attentatore, che “non si accoltella la gente MA…”, nei prossimi giorni. Scommetto che vari imbecilli pontificheranno ovunque su un fatto del genere, magari isolandolo da un contesto europeo di antisemitismo crescente di anno in anno. Questo perché in fondo l’antisemitismo è un tratto talmente condiviso dagli europei che, non appena c’è un periodo di crisi, eccolo che salta fuori. Ma non viene stigmatizzato, anzi, è l’unica forma di razzismo che è perfettamente lecito esibire in pubblico, purché si parli di antisionismo – in realtà, per quanto mi riguarda, si tratta di artifici dialettici, come già scrissi in passato. Non c’è alcuna differenza, visto che l’argomentazione che giustifica qualsiasi attacco è molto simile al “però un po’ se la cercano”, come quando le vittime di stupro sono donne provocanti. E sì, magari pure questo paragone è scorretto, ma non me ne frega un cazzo.
Ah, non so quale politicante vuole far mettere un bollino giallo sui prodotti che provengono dalle aziende israeliane che si trovano nei territori cisgiordani. Bene, in questo modo non dovrò leggere le etichette e potrò comprarli a botta sicura.
Pederastia: imperdonabile per un sacerdote, irrilevante per Pier Paolo Pasolini.