
Se c’è una cosa davvero strana, ai limiti dell’incomprensibile, è la smodata passione per i Queen che caratterizza moltissimi metallari italiani. I Queen sono un gruppo di enorme popolarità, uno dei più amati al mondo e quindi potrebbe essere lecito aspettarsi un alto numero di Queen-fan pure fra i kid di casa nostra. Eppure i Queen incarnano meglio di chiunque altro tutto ciò che i metallari solitamente detestano, cioè il gruppo più fumo che arrosto, ruffianissimo e sempre pronto a seguire le mode del momento. Sono fatti evidenti a chiunque non abbia occhi e orecchie foderate di biroldo e magari non faccia parte dell’isterico fandom della Regina, eppure molti metallari negano. Non solo: pur essendo solitamente fieri delle conquiste del metal (e a ragione), li vedrete spesso chinare la testa e genuflettersi di fronte alle filastrocche di Mercury e compagnia, che sono così belle che mamma mia (rima)! Del resto pure chi scrive, una volta, apprezzava un sacco i Queen, assieme ad altra robaccia come le produzioni anni ’80 di Sting, Elton John, Rod Stewart, Joe Cocker e altra merda analoga. Nell’estate della terza media (1990) mi prestarono una cassetta registrata dei Queen, con svariati hit degli anni ’80 più qualcosina dei ’70 (di sicuro “We Are The Champions”, “We Will Rock You” e “Bohemian Rhapsody”, forse “Somebody To Love” ma non ci giurerei). Wow, mi parevano davvero troppo superfighi, ma davvero una roba mai sentita. Poi l’anno successivo arriva il metal, e accade che qualsiasi band del nuovo genere appena scoperto suonasse, alle mie orecchie, molto meglio dei Queen, anche se inizialmente magari non me lo volevo ammettere. Poi muore Mercury, grande commozione, aumento smisurato del bimbaminkismo queeniano etc etc, io comunque alla fine avevo da stare dietro al metal, che mi piaceva davvero molto di più. E per forza, vuoi mettere “1916”, “Painkiller”, “Vulgar Display Of Power”, “Badmotorfinger”, “Pump”, “Reign In Blood”, “Somewhere In Time” o “Arise” con “Innuendo”? Durante gli anni non sono mai tornato sui miei passi, anzi, più aumentava la mia conoscenza del rock in generale più i Queen perdevano terreno. Qui però finisce l’excursus biografico-nostalgico, bisogna tornare sul pezzo.

Possiamo prendere la prima fase dei Queen, quella glam-hard, come la più genuina e interessante. Soprattutto in “II”, un album di rock epico ed eccessivo, come se Marc Bolan avesse deciso di suonare con gli Uriah Heep o viceversa, con in più lo spirito della farsa cabarettistica. In quell’album funzionava tutto: i Queen erano maestosi, ma non si prendevano sul serio – pur flirtando con l’orrenda piaga del rock sinfonico, ne tenevano a bada i peggiori eccessi… con l’eccesso di ridicolo. I loro marchi di fabbrica, cioè un certosino lavoro di sovraincisione in studio, essenziale per ottenere i famosi cori da operetta esplosivi come una sezione di fiati e la tediosa chitarra “sinfonica” di Brian May, una teatralità da music-hall che a volte deraglia nel montaggio di demenziali sketch sonori (come definire altrimenti “Ogre Battle”?) e arrangiamenti barocchi erano già ben presenti, l’ispirazione al picco. I dischi immediatamente successivi sono organizzati proprio come spettacoli di music-hall, ogni canzone è un “numero” differente in cui cambia lo stile ma non lo spirito: ritornelli orecchiabili come filastrocche o ninnenanee, cantati con tutti i vezzi di una
Marie Loyd e gran dispiego di arrangiamenti elaborati. In questo senso va interpretato l’apparente eclettismo dei Queen: è come se avessero imparato diversi stili di musica da un’enciclopedia per usarli poi tipo attrezzi di scena. Oppure possiamo pensare ai Queen come ai cicisbei del rock, con tanto di parrucca, cipria e pomata, un fluente eloquio e in testa un sacco di nozioni apprese dal retrocopertina dei libri; quanto basta per intrattenere una dama con galanterie e buone maniere durante una serata mondana.

La barca regge fino a “A Day At The Races” compreso, sebbene ogni nuovo album mostri già un numero di riempitivi maggiore del precedente. A partire da “News Of The World” comincia un processo di normalizzazione che appiattisce la band su un generico sound rock-pop, appena un po’ più affettato e magniloquente della media, in perfetta sincronia con l’estinzione del glam e la crisi dell’hard rock. Il music-hall (tratto distintivo e cifra stilistica originale dei Queen) viene sostituito da un eclettismo facilone e vanesio che si traduce in flirt col gospel (“Somebody To Love”), il r’n’r di Elvis (“Crazy Little Thing Called Love”), le atmosfere da crooner (“My Melancholy Blues”), il recupero dell’hard rock (“Sheer Heart Attack”), il funky (“Another One Bites The Dust”) e in un progressivo inserimento di synth e tastiere, nel vano tentativo di ritrovare l’ispirazione. Nel 1982 “Hot Space” tenta addirittura di saltare sul carrozzone della disco music con appena sei o sette anni di ritardo e a denti strettissimi pure i fan ammettono che non sia esattamente questa bellezza.

Nella seconda metà degli anni ’80 i Queen pubblicano album banalissimi e trascurabili, ma di enorme successo, allineati al pop deluxe del periodo. Solo il timbro di Mercury e il solito gusto melodrammatico li distinguono dal resto della musica da classifica: i Queen sono perfettamente a loro agio con Wham, Culture Club, Tears For Fears, Simply Red etc, tutti gruppi a cui si accodano in termini di suono, produzione e arrangiamento. Il percorso dei criticatissimi Metallica, al paragone, è lineare quanto quello di AC/DC o Iron Maiden. E dunque, come spiegare tutto l’affetto dei metallari italiani per una band che, numeri alla mano, dovrebbe incarnare ai loro occhi tutto ciò che odiano nel music biz? Ci viene in soccorso l’età, perché la Queen-sindrome colpisce soprattutto i metallari dai trentacinque anni in giù, soggiogati in età teenageriale dal mito post mortem di Freddie Mercury. Un grande cantante e showman nonché grandissimo edonista (e qui mi levo il cappello), desideroso di piacere e di intrattenere il suo pubblico che in cambio gli permetteva di fare una sacrosanta bella vita in fantastiche ville a South Kensington. Un nobile fine comprensibile e condivisibile, che però non dovrebbe redimere dozzine di canzoni orrende.
Bah, valli a capire i metalz.
(Post apparso, originariamente, qui. Lo riciclo per pigrizia e per linkare un blog metal diverso dal solito cui partecipo time permitting Frank Sinatra e chi coglie la citazione è un genio.)
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la sigla iniziale di Top Secret, con i surfisti tiratori…sono un genio?!
Esatto! vivissimi complimenti!
non ricordo però come si chiamava il gruppo Surf che suonava da headliner sul manifesto dopo “tempo permettendo Frank sinatra”…bisogna che me lo riguardi per la 351ma volta.
era lo stesso Val Kilmer, aka Nick Rivers, con “Skeet Surfing” …
Mi inchino a tanta conoscenza Queenesca. Sappi che per i Queen-fanz, chi cita My Melancholy blues è un figo perchè conosce le perle nascoste, mica come tutti che si son messi ad ascoltare i Queen dopo che è morto Freddie mercury e non sanno un cazzo tipo che pensano che sono quelli di Radio Ga Ga e basta.
Qui siam profescionalz. Attacchiamo, ma prima si prende la mira. Ogni tanto, eh…
Secondo me per un Italian metal kid i Queen sono il gruppo che sintetizza l’anima lirica e melodica mediterranea insita in tutti noi guaglioni con il rock che invece viene da un’altra cultura e ti prende un po’ dopo, è abbastanza logico che per un certo periodo li si ascolti, anche se è indubbio che la seconda parte della loro produzione sia merdosetta a prescindere.
Poi ognuno ha la sua evoluzione, c’è chi poi passa ai Converge e chi a Gianna Nannini.
Comunque una cosa è innegabile, fra le cover-band (che sono tutte odiose indistintamente) quelle dei Queen sono veramente insopportabili, vedere gente che cerca di imitare Freddy Mercury sul palco è qualcosa di patetico.
http://www.rockon.it/opinioni/caro-gestore-di-locale-con-musica-dal-vivo/
Skippare pure l’articolo e leggere tuuuuuuutti i commenti.
Sbendinel è sempre un passo avanti.
Il mio sogno, fossi un musicista, sarebbe suonare in uno di questi posti da sfigati, e quando dal pubblico s’arzasse il bamboccio a chiedere “Oh, ci fate Albachiara?”, potergli rispondere: “Certo, bimbo”. Per poi attaccare questa qua: https://www.youtube.com/watch?v=_Iw0UFOk1YM
…o magari deliziare in un colpo solo tutti i fanz del Blasco con questo mirabolante medley
a proposito, anche le coverbands di Vasco e del Liga sono da mitragliare alzo zero
A me piacciono i primi due minuti di Princes of the Universe, poi mi annoiano.