Archive for dicembre, 2010


Buon Majale, Dio Natale!

E ricordate, a Natale siamo tutti più negri.

E’ inutile girarci intorno, i videogiochi oggi costituiscono il principale fatturato dell’industria dell’intrattenimento. Grazie alle mostruose capacità hardware delle macchine da gioco odierne, sono paragonabili ad esperienze cinematografiche vere e proprie, a narrazioni i cui snodi sono affidati all’abilità (quando non alle scelte) del giocatore, che investe una considerevole quantità del suo tempo-vita e dei suoi soldi per godere dell’esperienza videoludica. I tempi di PacMan ci appaiono lontani ere geologiche. Ad ogni narrazione corrisponde un universo di simboli, significati e significanti, prova ne siano fumetto, letteratura, cinema, musica e i rispettivi codici linguistici; alla luce della complessità media di un gioco odierno, ci chiediamo, noi di Sei Un Idiota Ignorante, sempre attenti come nostro solito ai mutamenti del mondo moderno, e dio cane lasciateci aggiungere con un pizzico d’orgoglio, quale lettura possiamo dare all’universo simbolico che ribolle sotto le colate di pixel e poligoni? E’ quindi con un pizzico d’orgoglio che accogliamo volentieri lo scritto che Gianni Costrutti Fulcro (già autore di Il Fascismo Nei Fumetti, Il Fascismo Nella Pubblicità, Il Fascismo Geografico: Soprusi Del Capitale Ad Un Territorio Sconvolto e Cucù, Dov’é Finito il Fascismo?) ha preparato per il nuovo numero di Studi Bidisciplinari, Reificazioni Oggettive e Complessità. In questo testo si analizza uno dei maggiori successi della passata stagione, ovvero Bayonetta di Platinum Games/SEGA, per poi generalizzare e giungere a conclusioni illuminanti. La parola a Fulcro.

Bayonetta è stato uno dei giochi più apprezzati e venduti del 2010. Un titolo a base d’azione rapida ed incalzante, senza pause, con abbondanti dosi di humor e sensualità a condire gigantesche scazzotate fra demoni, mostri e streghe. Innocuo e sano divertimento di altissimo spessore tecnico, giusto? Parrebbe di sì. Ma avendo già sperimentato sulla nostra pelle gli effetti nefasti delle sottoculture devianti,  abbiamo imparato a drizzare le antenne qualora se ne abbia il sentore. E Bayonetta, nella sua apparente ludica trivialità, di quel sentore è colmo. Seducente latore di un’ideologia per lo meno sospetta, quando non apertamente ripugnante, eppure così abilmente travestita e dunque facilmente inoculabile, Bayonetta merita un approfondito esame critico. La trama che fa da sfondo al gioco (certo, niente per cui Tolstoj o Flaubert debbano impensierirsi) è la seguente, come possiamo apprendere da Wikipedia:

“Bayonetta è l’ultima discendente rimasta dell’antico clan delle Streghe di Umbra che non ha ricordo della propria giovinezza; decide così di intraprendere un viaggio alla ricerca dei suoi ricordi durante il quale verrà a contatto con lo scontro tra angeli e demoni in cui la parte dei cattivi sembra ricoperta dai primi.”

Val la pena di iniziare la nostra disanima proprio con Bayonetta, la protagonista del gioco. Sarà anche una strega, ma è ben lontana dall’immagine classica della vecchia nasona con la mela avvelenata e lo sguardo diabolico. Affatto. Slanciata e curvilinea, viso da segretaria sexy, movenze a metà strada fra la modella e la stripper, fasciata dai suoi stessi capelli in guisa di latex, Bayonetta appare innanzitutto come succulento oggetto erotico.

Particolare risalto viene dato al posteriore di Bayonetta:

E’ interessante, da questo punto di vista, paragonare Bayonetta alla Venere Callipigia. La celeberrima scultura di età adrianea è una rappresentazione della morbida sensualità femminile, colta nell’attimo di immergersi nelle acque. Bayonetta, strega demonessa dell’era tecnologica, si presenta con un fisico scolpito nella galleria del vento e certo non avrebbe alcun bisogno di denudarsi per entrare nell’acqua: probabilmente farebbe un car-wash in bikini, o userebbe un incantesimo. L’atto naturale di lavarsi diventa denaturante nel contesto di una natura denaturalizzata, quindi sostituito dalla sua reificazione pornografica, qualora Bayonetta voglia lavarsi il sangue dei suoi nemici di dosso (non lo vediamo, ma possiamo sempre fantasticare per restare sulle spine e desiderare in una spirale infinita, secondo modalità di riproduzione del bisogno artificiale indotto mcdonaldiano). La nudità, Bayonetta, ce la offre a brandelli: quando effettua i suoi demoni, essi si incarnano nei suoi lunghissimi capelli che si staccano dal corpo lasciandola nuda, tranne nei punti strategici:

Lo possiamo ben vedere in questa immagine, dove Bayonetta ha appena eseguito un calcio saltato ed appare seminuda e scosciata come una stripper esperta, mentre un’incarnazione diabolica dei suoi capelli prende forma di una piede femminile con tacchi a spillo e strazia le carni dell’avversario. L’immagine successiva è ancora più esplicita:

Il nudo è quasi integrale e si evoca un demonio in foggia di bombardiere. Si celebra l’accoppiata sesso e violenza (suggerita dalle armi) che tanta presa ha sull’immaginario maschilista occidentale plasmato dai modelli culturali sciovinisti americani in maniera diretta, volgare, laida, disgustosa. Se prendiamo le altre due presenze femminili del gioco, Cereza e Jeanne, vediamo che la prima è Bayonetta da bambina, la seconda un’altra strega di Umbra, fisicamente molto simile a Bayonetta. Il messaggio è lampante: le donne devono essere disinibite e aggressive stripper dal fisico mozzafiato (Bayonetta e Jeanne, il cui rapporto è per lo meno ambiguo e dà adito a fantasie criptolesbiche in chiave maschilista), o devono diventarlo (Cereza), altrimenti non c’è posto per loro sulla terra. A fine gioco si uccide la Dea Femmina, e Bayonetta si lancia in una (divertentissima, va detto) coreografia: se questo non significa che la donna debba essere plasmata solo ed esclusivamente ad immagine dei desideri dell’uomo, vuol dire che abbiamo perso ogni capacità di decodifica di texta multimediali e quindi tanto varrebbe  sederci sul divano, goderci le botte e i nudi con una bella birra in mano e ruttando ferocemente, cosa che appunto riconferma quanto detto, quindi non se ne esce. Dovrebbe essere evidente, a questo punto, che il gioco non è solo un gioco ma nasconda qualcosa, un fine eterodirettorio malevolo pur se indiretto.

Non abbiamo ancora parlato dei nemici di Bayonetta: si tratta di angeli, ed infatti prendono i nomi e parte delle sembianze dalla terminologia dantesca (Serafini, Cherubini ecc.). Le loro sembianze hanno un che di angelico nella misura in cui esibiscono ali, colori dorati e argentei, e volti da statua classica. Per il resto si tratta di mostri tecnoorganici degni del più dozzinale dei manga.

L’appropriazione di un patrimonio culturale estraneo da parte di un giapponese (Hideki Kamiya, l’ideatore del gioco) per farne fondale cartapestico di pittoresche scazzottate, piene di ammiccamenti volgare al sesso e al potere delle armi, grida vendetta, eppure è essa stessa sintomo di vendetta: vendetta da parte di un popolo che in piena guerra subisce la ferita del bombardamento atomico e in seguito l’invasione della cultura occidentale, inevitabile conseguenza di una resa senza condizione al potere del più forte. Nella mente di un teenager troppo cresciuto e imbottito di sushi stile McDonald come Kamiya, ovviamente incapace di comprendere tradizioni a lui estranee e sicuramente privo di qualsiasi tipo di istruzione superiore, questo atto deve apparire come sovversivo e irriverente, un atto di manipolazione e rifunzionalizzazione appiattente che livella tutto verso il basso, angeli e dei come personaggi dei fumetti che vengono irrisi e umiliati da una strega sexy. Kamiya avrebbe potuto utilizzare il suo innegabile talento grafico per un fine più nobile, per risolvere diversamente il conflitto e trasfomarlo in dialettica dei sessi e pacificazione fra il fisico e il metafisico, individuo e società, società e stato, ma probabilmente, attore-vettore in un mercato plutocratico, non se ne rende nemmeno conto.

Infine dobbiamo considerare pure l’aspetto dell’avere, del possesso, delle armi e del Capitale, perché è forse l’aspetto più importante che ci permette di capire la vera natura di questo gioco. Bayonetta può potenziare le proprie capacità offensive comprando nuove tecniche corpo a corpo, nuove armi, nuovi potenziamenti e via discorrendo. Per comprare occorre moneta, che otteniamo uccidendo nemici. Più nemici uccisi, più soldi. Soldi che possiamo spendere in una sorta di night club infernale gestito da un individuo che pare uscito da un video gangsta rap e che dialoga in maniera lasciva con Bayonetta. Possiamo a questo punto delineare una serie di elementi chiave di Bayonetta:

– La donna reificata in oggetto sessuale;
– La donna forte che in realtà è la materializzazione della fantasia maschile della dominatrix bsdm;
– La violenza del più forte sul più debole;
– L’annullamento di qualsiasi cultura e tradizione in nome dell’edonismo sfrenato;
– L’uccisione e la morte come mezzi di affermazione del proprio potere, che aumenta ad ogni uccisione.

Bayonetta a questo punto getta la maschera, e si svela per quello che è: un subdolo vettore infetto di un’ideologia riprovevole, orrenda, disgustosa, reazionaria e fascista che rafforza tutti i circuiti e le connessioni con l’ideologia dominante ed unica ammessa nel mondo occidentale. Considerato che SEGA è un colosso informatico che ha bisogno del perdurare dello status quo per prosperare, veicolare prodotti infami e diseducativi come Bayonetta non può che esser di giovamento. Ma soprattutto, la compagna con cui condivido il mio percorso di vita, qualora decidesse di vestirsi come la strafica dello stand della SEGA (v. documentazione acclusa)

farebbe vomitare il culo ai negri e io non posso realizzare i miei giochini erotici perché anch’io poi mascherato da Kratos non è che sia ‘sta bellezza e ci censurerebbero perfino su YouPorn dio merdoso cazzo vaffanculo madonna impestata troja negra!!!1!!1!!

Ed è: come mai, ogni volta che durante manifestazioni pacifiche scoppiano dei tumulti perché una parte dei dimostranti inizia a spaccare roba e a fare casino, e quindi devono intervenire le forze dell’ordine sciagattandoli di colpi, ecco, dicevo, perché gli innescatori dei disordini devono essere sempre infiltrati delle forze reazionarie sbroc sbroc e mai teste di cazzo autoctone? Perché, dio rapanello, si guarda sempre un agente di pula capello per capello, e mai i cento vandali che lo randellano?

Un ilare aggiornaggio, per cortesia dell’amico Nahum. Su Facebook gira questa sbroc-pic:

Il titolo della foto è qualcosa tipo “Ma che incredibile coincidenza, black block e celerini indossano le stesse scarpe”. Due considerazioni:

1) Perché se le forze dell’ordine/i servizi deviati/il Mossad/la CIA dovessero inscenare qualcosa, si lascerebbero scappare (sempre) simili particolari? Che tipo erano tutti partiti dalla caserma poi alcuni si sono vestiti da facinorosi ma per la fretta si sono scordati di cambiarsi le scarpe?
2) Non ci avete fatto caso che quei caschi e quelle divise NON SONO ITALIANE? La foto è stata scattata chissà dove e chissà quando, forse ieri, ma non certo a Roma. Coglioni.

E lo sbroc s’impenna!

Oggidì le dimissioni

Ebbene sì, mi tocca ammetterlo. E’ scoppiato lo scandalo, l’increscioso scandalo del Merdagate, e io in qualità di Presidente vi sono coinvolto fino in fondo e non posso più tacere. In questi mesi sono stato accusato più d’una volta di collusione, corruzione e contusione, purtuttavia ho tirato avanti per la mia strada conscio di fare, in certa misura e secondo misurazioni fallibili, in quanto umane, e noi sappiamo che la perfezione non è di questo umano mondo, del bene. Bene che, stando ai beninformati, ai cerberi della stampa e agli avvoltoj dei magistrati, sarebbe stato esclusivamente vantaggio personale.

Oggi 14 dicembre 2010 io, Negrodeath, ammetto pubblicamente oggi di aver effettivamente abusato di una posizione di potere, quella di Presidente, per trarne vantaggio & profytto. Le cave di merda naturale rinvenute nelle viscere dei Monti Zibellini erano un piatto ghiotto. Certe aziende di cui la Nostra Avgvstyssima Persona è azionista per interposta persona hanno avuto il piatto servito. E tutto andava a gonfie vele, ahimè, poi c’ha pensato il noto giornalista d’indagine nonché ammaestratore di serpenti part time seppur diplomato Gianni Fulcro a seguire le tracce dei sospetti movimenti di danaro che andavano di pari passo con le cisterne di merda naturale su cui proliferavano le azioni di Engrofant, Zobboront, Bli.A.Bli.O., Nerchiatron che attiravano quindi il ratingsz delle varie agenzie di ratingsz e quindi vai a tutto bordone. Da lì, coi ratingsz e la pioggia di capitali esteri, è stato facile comprarsi un paio di deputati giù al discount, al fine di scrivere e promulgare la legge che ha dato il via allo scandalo, la 231.ter.bis.caz. Tale legge, in base ai poteri conferitimi dalla legge 31.ctrl.alt.canc. da me personalmente stesa e approvata in precedenza, consente a chi occupa posizioni di potere la facoltà di incamerare bitume cronomantico, purché regolarmente condonato dalla Nike di Samotracia (la marca, non la statua) e vidimato dal Presidente, che dunque essendo in quel momento io stesso Presidente, nonché maggior azionista della Nike di Samotracia, ero pure esclusivo titolare per procura dei terreni comprendenti i Monti Zibellini. Ah, purtroppo lo scaltro e astvto Fulcro mi ha rotto le uova nel paniere (nonché i coglioni, a dirla tutta, ma per educazione non lo dirò), e dunque tradito fui dalla mia stessa ingordigia. Ora son saltati fuori i nomi di tutte le persone coinvolte nel Merdagate, e quindi essendo io l’unica persona contemporaneamente dotata dei poteri di avviare e fermare il Merdagate stesso, scrive il Fulcro sul suo voluminoso dossier allegato a Il Groenlandese di questa settimana, non posso che esserne causa ultima e motore primo.

Ebbene, darò le dimissioni per confermare le mie doti di integrità, rettitudine, virtù, fortezza e moralità, quelle doti che mi hanno reso vostro Presidente. Però non posso tacere su come la contrapposizione fra gli articoli di legge là sopra citati risponda ad un principio dualistico su cui si regge, almeno in parte, la struttura stessa dello spazio-tempo. Le due leggi da me promulgate sono inconoscibili ad essere umano nello stesso momento, perché conoscere l’una comporta l’impossibilità logica di conoscere l’altra, dunque sono state promulgate l’una all’oscuro dell’altra, pur se dalla stessa persona il qui presente Presidente Negrodeath, e dunque la volontà di far del male e di approfittare delle cave di merda naturale scoperte nei Monti Zibellini è fatto puramente accessorio ed indimostrabile sulla semplice base del possesso delle principali aziende che fanno affari sulla merda e all’estensione e promulgazione delle leggi. Detta volontà si configura quindi, è evidente, come mero accadimento accessorio, laterale, quasi insignificante, soprattutto di fronte alla vastità del Cosmo.

Queste dimissioni sono, seguendo la logica testé esposta per spiegare la non-sussistenza dell’ipotesi di volontà e protervia nel reato, del tutto immotivate. Ma sappiamo che la Vita è Ingiusta, ed è stata definita tale anche nei verbali del processo, in cui si dice che “per svolgere il lavoro all’interno delle cave venivano reclutati negri extracomunitari al nero in regime di inadempienza fiscale volontaria, sottoposti loro malgrado ad una vita ingiusta e grama con la speranza di un permesso di soggiorno. Una vita ingiusta, perché il semplice fatto che il Presidente si goda i proventi della merda mentre questi poveri negri extracomunitari debbano piallarsi il culo, scusate, per lui è la dimostrazione dell’ingiustizia della vita. E dunque sia messo a verbale: la Vita è Ingiusta!”

Per riparare in parte alle ingiustizie della vita, siccome è appurato dunque che la Vita è Ingiusta, ho deciso come ultimo atto di contribuire alla giustizia (inversamente proporzionale alla vita, come il verbale stesso sancisce) mediante l’esecuzione arbitraria ed immediata di tutti i miei colleghi, rivali, accusatori e fiancheggiatori. Il che mi rende l’unico possibile Presidente, visto che tutti gli altri candidati sono, ahimè, deceduti per lasciar spazio ad una maggiore Giustizia. Sono commosso delle mie superbe e virtuose azioni. Vi saluto con rinnovato impegno.

Il vs.
Presidente Negrodeath.

La storia, già noiosissima, di Julian Assange e Wikileaks ha preso la piega di quella, prevedibile, dell’Eroe Martire che disturba il Bieco Potere. Una sorta di figura messianica che i Potenti vorrebbero crocifiggere perché mostra, con Wikileaks, le loro sordide trame al pubblico, insozzandone l’immagine immacolata necessaria a mantenere il controllo, e quindi è stato incastrato sbroc sbroc solidarietà no pasaràn. Lo sbroc factor è già oltre i livelli di guardia. Urge ricapitolazione.

1) Wikileaks è un sito dove si pubblicano documenti, nelle intenzioni degli estensori segreti, diffondendoli al mondo intero.
2) Wikileaks funziona come una casella postale anonima.
3) Wikileaks è stata fondata da Julian Assange.

In conseguenza delle chiacchiere da portinaio fuoriuscite dagli uffici dell’ambasciata italiana è scoppiato un piccolo parapiglia. Di per sè, le informazioni wikileakate sono irrilevanti.Su come siano fuoriuscite, posso fare alcune ipotesi:

1) Si trovavano su un qualche archivio d’ambasciata, uno le ha prese e puff, via, spediti – il che testimonierebbe un livello di attenzione e sicurezza imperdonabilmente basso, anche se si trattasse dei punteggi col solitario di Windows.
2) Le info sono state fatte uscire di proposito. Qualcuno, all’interno del governo americano, è ostile al governo attualmente in carica e ha facilitato, favorito, innescato il wikileakaggio allo scopo di buttare ulteriore benzina sul fuoco di un’amministrazione la cui popolarità è in calo netto (e, aggiungo, meritato). Secondo Uriel, l’obiettivo sarebbe ancora più specifico: Hillary Clinton.
3) E’ stato il negro.

Dando per buona la più probabile (la 3), vediamo come butta per Assange. Lo vogliono incarcerare per questioni che non ho ben capito, ma che ha tipo trombato una svedese senza poi fare i test da malattia venerea e lì è un reato o qualcosa di simile, insomma ci sarebbe un capo d’accusa pronto, oltre alle dita puntate di politicame versicolore che grida “terrorista terrorista sei il primo della lista!!1!!!” Il mondo dello sbroc naturalmente si è subito sollevato per sostenere Assange e la libertà, e ha preso la reazione dei governi come un gioco a carte scoperte che svela la natura prevaricatoria dei palazzi del Potere ecc ecc. E’ vero che l’accusa appare pretestuosa, tuttavia per me va benissimo prendere Assange, sbatterlo in galera e piallare il culo a Wikileaks. L’arresto è di fatto un’intimidazione per future, irresponsabili teste di minchia come lui.

E qui si entra nel cuore del problema: Wikileaks deve andarsene a fare in culo. Non solo non esiste alcun diritto all’informazione, tranne che nella testa dei giornalisti, ma esistono pure informazioni che sono segrete e riservate per motivi molto importanti. Informazioni che, una volta divulgate, possono compromettere la segretezza di operazioni militari, di trattative diplomatiche, di accordi nascosti. Vulgata sbroc vuole che se l’accordo è taciuto al popolo, è sicuramente qualcosa di malvagio. Palle. Il segreto può essere tale nell’ottica della ragion di stato. E ragion di stato e realpolitik possono essere, nel medio e lungo termine, fondamentali per assicurare un futuro ad una nazione. E se per farlo è meglio che nessuno sappia dei termini esatti di quell’operazione in Merdonia, ufficialmente diplomazia di routine, che ha spazzato via la truppaglia di Quirakat Zubbalpat e tutta la sua discendenza per ripulire l’area su cui costruire strade e impianti per l’estrazione del merdanio dai giacimenti appena scoperti sul Monte Nerchio (in Kazzistan), merdanio essenziale per ricavare lo stronzonio con cui fabbricare chip adatti al quantum computing e boccini di nuova generazione, grazie a cui lo stato che ha condotto l’operazione diventerebbe prima fornitrice di merdanio al mondo, con tutte le ricadute del caso… beh, tutto questo vale una dozzina di Assange in galera e di Wikileaks brasate. Con buona pace dello sbrocworld.

Oggi Facebook mi ha portato questo articolo. Si tratta di un appello scritto da Franco Mussida, chitarrista della PFM nonché titolare di una scuola di musica di ottima reputazione, per la salvaguardia di quella musica popolare dai grandi valori che oggi stenterebbe un bel po’. L’articolo contiene anche cose condivisibili, condite però da un forte senso di o tempora o mores!, e soprattutto denuncia l’assoluta e totale incomprensione di come sia cambiato il mondo (musicale e non) negli ultimi vent’anni. Ma proprio zero. Ho scritto qualche tempo fa un post sulla natura di questi cambiamenti, e non starò a riperli qui. Le considerazioni le facevo per il jazz, ma sono facilmente generalizzabili.

Mussida rileva giustamente che il mercato discografico è in supercrisi, che per arrivare in cima alla classifica basti ormai il freakazoide fresco di X Factor con duemila copie vendute nella prima settimana e successivo (nonché meritato) inabissamento, e che l’industria miope e attenta solo al profitto alla fine ha rotto tutto. Tutte cose vere, ma che dimostrano una prospettiva limitatissima e poco legata all’attualità – fare i nomi di Elton John, Sting e Peter Gabriel del resto non ti fa partire col piede giusto. Sostenere che gli ultimi scampoli di vitalità nella musica popolare li abbia dati Gabriel (comunque un grande musicista, eh) significa aver ignorato sistematicamente roba tipo Tool, Alice In Chains, Pantera, Rage Against The Machine, Massive Attack, DJ Shadow, Deftones, giusto per citare entità di grande successo artisticommerciale partita negli anni ’90 e ben nota pure da noi. Mussida sembra nostalgico dei grandi movimenti e delle rappresentazioni generazionali, ma è destinato a conficcarsi stalagmiti nel baugigi: non è più possibile. Le condizioni socioeconomiche sono troppo diverse e i costumi troppo cambiati. Se il rock ha inciso profondamente sull’evoluzione del costume e del sentire, oggi le spinte oltraggiose sono state completamente riassorbite. La linea che da Chuck Berry passa per Rolling Stones, Alice Cooper e New York Dolls fino a Rob Zombie e Marilyn Manson ormai si è interrotta per l’impossibilità di spingere i confini del rappresentabile ancora più in là senza perdere visibilità mainstream: oggi ci si scandalizza per finta di fronte agli oltraggi calcolatissimi di Lady GaGa (da queste parti apprezzatissima, a proposito, come ogni cosa spettacolare e divertente). L’ascolto si è frantumato in nicchie che nessuna forza può ricomporre, visto che gli interessi e gli stimoli di un singolo sono oggi moltissimi quando prima c’era la musica e basta.

Le case discografiche, major in primis, naturalmente sono colpevolissime: rivolta ogni attenzione alla massimizzazione del profitto per soddisfare gli azionisti, prive ormai di figure come Ahmet Ertegun, hanno scelto di non investire più a lungo termine sulle carriere ma di buttare subito via a calci con non fa il botto al primo disco. Continua così per dieci anni (diciamo dal ’95 al ’05), e vedi che succede, soprattutto in concomitanza con l’esplosione del p2p? Desertificazione, merda che straborda dalle classifiche, nessuno che compra più i dischi, mega investimenti pubblicitari ormai a perdere perché le vendite non li ripagano. E concerti, in proporzione, sempre più affollati, soprattutto in America dove la cultura della musica dal vivo è molto forte e molto sentita. E qui affiora tutta l’altra metà del cielo, la trasformazione che il mercato ha subito e che ha dato molto più potere e responsabilità al singolo musicista. Che ora può e deve innanzitutto maturare il più possibile, magari suonando live un casino, poi incidere e distribuirsi un cd ai concerti e via internet (v. il benemerito CdBaby), bypassando la distribuzione normale. Molti musicisti in America vanno avanti così, perché lì il mercato e la mentalità lo consentono. Questo porta ad una particolare sinergia fra artisti e pubblico, e quindi si formano le comunità (anche vastissime) di appassionati di musica e concerti, autosufficienti e indipendenti, estranee ed impermeabili alle mode, incuranti del successo usa e getta, capaci di proliferare al di fuori delle grosse etichette, le più colpite dalla crisi. Il modello di business musicale di cui i Grateful Dead furono indiscussi pionieri si è rivelato vincente. Mussida non sa niente di tutto questo, è evidente, perché in caso contrario cercherebbe di capire se e come una cosa del genere potrebbe prendere piede anche da noi. No, la sua conclusione è talmente allucinante che merita di essere riportata qui sotto in bella calligrafia:

“Le istituzioni dovrebbero metterci lo zampino, offrire ai ragazzi occasioni per sperimentare a prescindere dal mercato. Si dovrebbero incentivare i locali a riconvertirsi in luoghi per ascoltare e ascoltarsi. Mi riferisco ai salotti e agli assessorati che continuano a considerare la Musica popolare come sottocultura… E’ giusto continuare a puntare sui-mega concerti da centinaia di migliaia, da milioni di persone? Non sarebbe più sensato ripensare alla costruzione di un rapporto più «ravvicinato», ripartendo proprio dai piccoli locali delle nostre città? Se si affievolisce il valore della Musica popolare, che è poi quella più ascoltata, cantata, partecipata, rappresentata, si affievolisce il nostro «sentire comune», diventiamo tutti un po’ più deboli. Un po’ più soli.”

Oh certo, che gran soluzione, lo stato che interviene a favore di svantaggiati d’ogni tipo col pallino della musica. Come se non fosse bastata la catastrofica lezione del cinema. A Mussida consiglio di svegliarsi e guardare prima oltreoceano e poi farsi qualche domanda. E ancor prima, documentarsi su quanta bella musica ci sia in giro, di quella che in classifica magari non ci arriva, non incarna movimenti e ribellioni, ma spacca veramente il culo. Sting, Elton John, Peter Gabriel… bah, con questi presupposti si va poco avanti! E’ già tanto che non abbia parlato di Woodstock. E siccome si riesce solo a rimpiangere le Eldorado di turno, l’impasse durerà ancora a lungo, e continuerete a sentire cover band nei locali perché tanto al pubblico in media la musica nuova interessa poco, e il cane continua mordersi la coda pure se è un boxer.

Questo post è sofisticatissimo, perché arriva dopo una settimana di esperimenti, e rivela che un sito se non viene aggiornato riceva ancora più visite perché la gente si connette di continuo nella speranza di un aggiornamento, e dunque dimostra che la società è drogata d’informazione e quindi chi detiene i rubinetti della società è il più grande spacciatore del mondo e quindi, in poche parole, ho dimostrato che Rupert Murdoch vive in Colombia e tira di coca dal culo delle negre assieme al subcomandante Marcos. QED.

Per il resto, aggiungo qualche buzzword strategica per attirare gente.

Wikileaks.

Finiani voto fiducia 14 dicembre.

Proteste studenti decreto Gelmini.

Tredicenne scomparsa Bergamo.

Sarah Scazzi Avetrana (è stato il negro, lo ripetiamo).

Assange.

Bene, direi che siamo arrivati in fondo bene e dunque potete anche andarvene tutti quanti a fare in culo (a meno che non siate fan dei Valient Thorr).