Scena n.1.
Pausa pranzo al lavoro, nella settimana del Festival di Sanremo. La sera prima c’è stato il discorso di Benigni, che il qui presente non ha cagato di striscio. I discorsi, sommati insieme, vanno tutti verso questa direzione: che bella la cultura guarda Benigni che ci spiega la rava e la fava dell’Inno di Mameli e poi in Italia abbiamo fatto delle cose strafighe guarda qui le opere di Puccini e la Divina Commedia e il Botticelli e la Torre di Pisa oggi non si fa più un cazzo, ma anche nel resto del mondo eh, oddio lì si fanno delle costruzioni e delle robe che magari fra due o trecento anni saranno considerate opere d’arte chi lo sa.
Scena n.2
Pochi giorni dopo la scena n.1, cena a casa dei miei, c’erano pure amici loro. Un commensale, solitamente ostile a tutto ciò che è nazionalpopolare, mi fa ad un certo punto: l’hai visto Benigni l’altra sera? E io, no, non ho guardato Sanremo. E allora: eh, vedessi che spettacolo, ha fatto una lezione di storia e di cultura, la metrica dell’Inno di Mameli, una roba incredibile, e la celebrazione dell’Unità d’Italia, e me lo scarichi dall’interwebs che me lo riguardo?
Scena n.3
Più recentemente, Riccardo Muti protesta per i tagli ai teatri, che senza soldi non possono andare avanti. Riccardo Muti è un direttore di stampo conservatore, fa esclusivamente repertorio consolidato e la sua protesta (comunque condivisibile) trova immediata eco presso chiunque faccia fatica a distinguere la cultura con l’erudizione, il che non significa Muti stesso ovviamente, ma parecchi commensali che erano presenti alla scena n.2 sì.
Appendice A: sarebbe meglio che in tv ci fossero le ballerine che fanno il Lago dei Cigni al posto di Belen. Io leggo Kant/Sartre/Balzac prima di andare a dormire. Oppure lo leggerei. La musica è morta. La letteratura è morta. La morte è morta.
Appendice B: i protagonisti delle scene 1 e 2 sono tutti quanti professionisti laureati di età variabile dai 30 ai 70 e oltre. Nessuno di loro ha proferito le frasi dell’appendice A, ma ciascuno di loro potrebbe dirle con convinzione in qualsiasi momento.
Le tre scene, con relative appendici, sono statisticamente poco rappresentative di una tendenza nazionale. Però si accordano mirabilmente con una teoria che vado formulando da tempo: la mancanza di cultura in Italia, fra la gggggente, è tale per colpa della cultura stessa. Autogol, ma è proprio così. Fateci caso, il concetto di cultura, in Italia, comprende solo ed esclusivamente il consolidato: il classico, che te lo insegna la scuola, e ciò che al momento si ritiene culturale (oggi per es. Camilleri o Saviano). Basta. Indagare sui perché e sui percome di questo squallore non è facile, ma credo che gli indiziati siano in realtà pochi: secoli di cristian-cattolicesimo, ansia da distinzione, intellettuali che ci sguazzano, poche risorse.

E' Leanne Crowe, così non me lo chiedete nei commenti.
La cultura cattolica si innesta su un meccanismo altamente perverso avviato, credo, da Platone, almeno in occidente. Un meccanismo secondo cui il corpo e la fisicità sono ignoranza e dimonio, mentre la mente e l’anima sono sempre più vicini alla verità e a dio cane. E’ autolesionista, è demenziale, è stupido, è totalmente idiota nonché crudele: la nostra vita la viviamo nel corpo. Sospendiamo per un attimo l’incredulità e ammettiamo pure che ci sia dio, la vita dopo la morte etc etc. In ogni caso, la nostra vita terrena la viviamo nel corpo, tramite esso la cultura si crea e si fruisce… e lo dovremmo rinnegare, aborrire?!? In breve, l’orizzonte del piacere è bandito. Se l’esperienza estetica comporta del piacere, del “divertimento”, un condizionamento culturale vecchio di secoli e scemo come l’acqua ci obbliga ritenerlo qualcosa di deteriore, da mettere in secondo piano rispetto ad una Vera Arte fatta di ascesi e contemplazione e memento mori. Adorno, Horkeneimer e Benjamin hanno buttato, nel ‘900, ulteriore benzina sul fuoco: nella famosa era della riproducibilità tecnica dell’opera d’arte che diventa subito fruibile, capace di muovere un sacco di sterco del dimonio (= danaro) e quindi diventare merce come tutte le altre senza alcunché di Sacro, il prodotto culturale per essere tale deve… tradurre il memento mori in termini laici! Ovvero, se non riesce ad educare ed allargare le percezioni del fruitore (ovviamente stolto), né ad avere rilevanza sul piano sociale, a “diffondere consapevolezza”, allora è robaccia per ottundere le istanze rivoluzionarie. Per molti versi questi signori hanno fallito a capire quel che succedeva loro intorno.
L’ansia da distinzione moltiplica i danni. C’è chi ama distinguersi ostentando ville e macchinone, chi invece ostentando cultura. Tuttavia per ostentare cultura bisogna che la cultura sia riconoscibile da tutti come tale, altrimenti niente. E quindi i classici, almeno dalla scuola dell’obbligo, sono nomi che hanno effetto sicuro, mentre gli esponenti della cultura à la page sono famosi e polarizzano il dialogo sulle posizioni sì/no, e quindi di nuovo li si può citare. Questo al di là del valore in sé: un autore può essere di moda in quel momento e a tutti gli effetti essere pure meritevole (non sto parlando di Paulo Coelho né di Michael Nyman, quindi, per tirare in ballo ex novità di moda). Le persone che ho citato nelle due scene, e i loro equivalenti sparsi per la penisola, hanno deferenza assoluta verso il Classico (che è sempre meglio, non siamo degni, siamo cacchette) e generale stima per il Di Moda (specie se in sintonia con le proprie convinzioni politiche), senza sapere assolutamente niente di tutto il resto. Allo stesso tempo si lamentano che una volta qui era tutta campagna ed è sparita la cultura assieme alle mezze stagioni. In realtà, non saprebbero riconoscere la cultura nemmeno se li investisse. Perché sono al massimo eruditi, ma mai realmente colti; hanno paura di esprimere giudizi che li possano mettere in cattiva luce, così provano dubbio o al limite condiscendenza per tutto ciò che non è ancora stato accuratamente tassonomizzato nel Museo, solo e unico certificatore dell’avvenuto ingresso nel mondo di una Cultura intesa come passato.
Sintomatico come nei più prestigiosi teatri nazionali (la Scala, la Fenice, l’Arena di Verona per es.) i cartelloni, anno dopo anno, siano sempre incentrati sul repertorio consolidato con poche, pochissime eccezioni. Non c’è alcun desiderio di provare ad uscire dal noto, e qui entrano in gioco pure le poche risorse: una spirale fatta di prezzi alti, la paura che un cartellone “rischioso” (= che vada oltre i tardoromantici) non richiami pubblico, la necessità di andarci per lo meno pari. Del resto molto pubblico ha un’irragionevole paura di non capirci un cazzo, perché memento mori. E quindi, se per caso scoprissero musica contemporanea E bella, con serenità e senza pungoli e lezioni da parte di dotti ed eruditi, penserebbero automaticamente che si tratta di roba di seconda scelta che insomma mica può competere col Museo, eddiocane.
L’abisso che c’è con gli Stati Uniti, da questo punto di vista, è pauroso, basta vedere figure come Michael Tilson Thomas o John Axelrod, o istituzioni come il Lincoln Center o la NWS. E senza figure e istituzioni simili (ci sono parecchie orchestre che commissionano opere nuove, laggiù), non c’è alcuna speranza per giovani compositori. Questo per tacere di come, alla resa dei conti, la musica non accademica sia ancora disprezzata: tante belle parole, ma il rock è sempre la robaccia per casinari e al massimo si salva ciò che più approssima il memento mori, tipo le tronfie palloserie dei Pink Floyd, mentre quello originale, creativo e riuscito MA casinoso no e no. E il jazz pure lui non se la passa tanto bene, può andare per spararsi pose, ma se non si è del giro viene difficilmente tollerato a meno che non faccia da sottofondo ad una degustazione di prodotti bio.
Gli intellettuali, che dovrebbero in teoria sondare e cartografare l’ignoto, fornire chiavi di lettura inedite e stimoli interessanti, fanno l’esatto contrario e sono ormai perfettamente integrati nello sterile dibattito mongoloidico di sopra, forse perché consente di campare più facilmente reiterando a livello mediatico le chiacchiere di tutti noi giù al bar (o sul blog). Il loro ruolo è ormai diventato quello della reazione più ottusa, visto che sembrano tutti ormai pronti a giurare pasolinianamente che il mondo antico era una figata e ormai siamo schiavi della merda e dell’assenza di valori voluta dal mondo capitalista e sarebbe meglio tornare all’antico che c’avevamo pure l’Ariosto e Vivaldi e Leonardo Da Vinci e Giuseppe Verdi e gli altri no, tiè! Chiaro che, quando devono valutare produzioni artistiche nostrane, privilegeranno tutte quelle intrise di memento mori. Del resto, libri, film, musica italiana vanno tutte in quella direzione, perché il serpente si morde la coda dopo averci avvelenato i coglioni. Stando così le cose, intellettuali e colti assortiti non potevano che versare lagrime di gommozzzione per Benigni a Sanremo: Benigni, quello che recita Dante, che va a Sanremo, a discettare di testo e musica di quell’inno che fino a due secondi prima faceva venire la merda al culo a chiunque non fosse della Folgore!!1!! Questa è la cultura! Ewwywa!!1!!1!
Non vedo molte uscite da questo panorama desolante, visto che ci sono anche fin troppi feudi politicizzati da difendere. Esistono pugni di valorosi, ma sono casi fin troppo isolati. Vedi la programmazione del Teatro Manzoni di Milano per la sempre eccellente rassegna Aperitivo in Concerto, vedi musicisti di talento come Mauro Ottolini o Caterina Palazzi o Giovanni Falzone, vedi formazioni rock come gli Zeus!. Tuttavia finiscono per disperdersi nel mucchio, li conoscono solo gli appassionati, e nel caso arrivassero altrove si beccano il muro di diffidenza in quanto estranei al Museo. Lo stesso si potrebbe fare, credo, per qualsiasi altro ambito (tranne forse il cinema che è ai minimi storici mondiali).
Concludo con un tentativo andato a male. Due anni e mezzo fa fu organizzato un concerto al Senato. Un’occasione importante. Con un certo criterio e amor proprio, si sarebbe potuto commissionare un nuovo lavoro da presentare per l’occasione; non so, magari al Mauro Ottolini di cui sopra, che è in gamba e avrebbe saputo tirar fuori qualcosa di interessante, o volendo il marchio d’autorevolezza a Ennio Morricone. Invece, come ben sappiamo, l’ha spuntata l’orrido Allevi. Fraggaboom!
Bellissimo post.
Chapeau.
Anche perchè c’hai messo gli Zeus, che se agli eruditi gli fai notare che dentro agli Zeus c’è Stravijnski quelli iniziano a smandibolare e poi perdono i sensi
Bel post; anche se comunque con l’allargamento dell’interwebszs il malcontento lo vedo montare su ben bene, e ciò mi rende moderatamente ottimista.
Aperitivo in Concerto è praticamente l’unica cosa buona di Milano. E lo è assai.
Grazie per la didascalia sotto la Ciornia n.1, ma a me interesserebbe la n°2.
Wenn ich Kultur hore, entsichere ich meinen Browning….
G.
Ahimè, non lo so neppur io.
Basta guardare la newsletter che mi invia il prof di musicologia dall’università, sui concerti e sui convegni riguardanti l’argomento. È oro colato se si va oltre il secondo dopoguerra, per quanto riguarda repertori e/o autori discussi.
la cultura italiana annega nella sua stessa diarrea.
benissimo, chissenenfrega. abbiamo il resto del mondo che supplisce a qualsivoglia nostra carenza artistica, mi spiace solo per gli eroi solitari che cercano di proporre roba non-sbrocconica QUI. siete nati nel posto sbagliato, pace, potete cmq andare altrove!!!
siccome “la storia è circolare”, come dice CatoCiceroPlat-one, classyco dei classyci, e secondo me c’ha ragione a tutto foco, non resta che aspettare che i fiori in fiore risorgano dalla coltre di merda; noi forse non ci saremo più. molto bene!
chistracazzosenefrega!
io sto mese che viene mi vedo Waters e i Van Der Graaf Generator quindi ad Allevi (e pure al Negrodett) ci piscio in faccia! :D
Nuovo.
Ma sbaglio o stavi facendo un post sui pink floyd tempo fa? Mi era apparso nel feed e poi nulla più. C’era anche una foto di syd barrett.
In realtà no. Era un post vecchio che mi ero ri-trovato sott’occhio. Siccome era sparita l’immagine (imageshack dimmerda) ce n’ho aggiunta un’altra e già che c’ero ci ho fatto il titolo, e chissà come mai è ricomparso nei feed.
Che li scrivo a fare io i post quando tu scrivi questi capolavori?
Soprattutto la frase “ll serpente si morde la coda dopo averci avvelenato i coglioni”, che scolpirò su una parete di casa a perenne memoria facendone il mio motto di famiglia.
Spero tu non c’abbia le bodde, ma soprattutto le bisce, attorno casa! :)
grazie per Ottolini, nollo conoscevo e adesso mene pascio a manetta…. fichissimo…
che poi, l’eterna bojata (boyata?) del contrasto corpo/anima, spirito/materia…. ‘nzomma Platone continua a sfrancicare la ciola anche da morto, è più ancora che da vivo.
perché la cosa non sta in piedi, o siamo una grumo di cellule aggregate gerarchicamente e comandate da impulsi elettrobiochimici che ci danno anche l’illusione di essere vivi e di vedere e toccare il mondo con l’ochio umido e inocente del fanciullino (siamo materia bruta che crede di sapere di esserlo)…..
o invece scendiamo di livello, e vediamo che siam fatti (come il resto de l’universo) di molecole, che son fatte di atomi, che son fatti di elettroniprotonineutroni che a sua volta, come dice il maestro Gabriel, sono fatti di spuzzulini piccoli ma piccoli di materia spersi nel vuoto interatomico e insomma, stringi stringi siamo forma vuota tenuta insieme da interazioni deboli, poco più che guscio sotile che racchiude il vuoto cosmico (siamo spirito di scoreggia tenuto insieme dalla sua stessa turbolenza, che crede di essere materiale)…..
e il kulturame non è che lo specchio di questa falsa dicotomia, perché in realtà ciasquno di noi (e non solo, ogni oggetto del cosmo) è entrambe le cose, e lo sa benissimo, e non apprezza Bach se ha la panza vuota da tre giorni, ma resta inquieto e insoddisfatto se dopo averla riempita non trova Bach come digestivo..
oh, Bach inteso come Ur-kulturenz di ‘sta minchia fradicia, bifolchi imparati, che può essere Bach come Raul Casadei come Ora Verità, nel senso di tutto l’inutile che ci accarezza i sensi e ci fa sentire l’onda dell’infinito o almeno i suoi risciacqui.
chiaro che se ti ci devi annojare (annoyare?) e non lo vuoi ammettere hai perso in partenza e ti meriti come minimo un laogai in Mongolia interna, la qultura con la H majuscola è solo quella che ti fa godere ogni volta che la prendi in mano e sì, può anche essere la tua stessa minchia, intesa come protesi cultural popolare.
non so se ho reso la dea
Perfettamente. E’ il motivo per cui accludo l’arte figurativa ai miei post.
Dissento sul giudizio che dai dei Francofortesi (anche se so bene che rispecchia il modo in cui vengono spesso citati). Per il resto, accordo completo.
Anche se ti consiglierei, qualora ti trovassi con mezz’ora di tempo che non sai come sprecare, di dare un’occhiata allo spettacolo di Benigni a Sanremo.
Le battute sono scontate e sono le stesse che, aggiornate ai fatti del giorno, ricicla da anni; come monologhista, è imbarazzante vederlo sghignazzare prima delle battute per segnalare al pubblico che quello che sta per dire farà ridere; e per quanto riguarda la trattazione dell’inno nazionale, può essere stata interessante solo per chi non ne ha mai sentito parlare.
Il monologo sull’inno è stato lungo e pieno di ripetizioni (ad es. i riferimenti alla giovane età dei patrioti), costantemente annacquato da un abuso indecente di aggettivi superlativi (dopo pochi minuti ho perso il conto delle volte che ha ripetuto aggettivi come “memorabile” e “meraviglioso”), e sul piano tecnico non è stata altro che una parafrasi (proprio come quelle che si fanno al liceo sulla Divina Commedia), anche qui condita da un impressionante abuso di superlativi.
Il monologo di Benigni a Sanremo merita di essere visto per avere un’ulteriore conferma dell’ignoranza ovina di chi lo cita come esempio di cultura in televisione.
Per dirne una….
Paolo Fresu era direttore artistico di Bergamo Jazz…. l’incarico triennale e’ terminato e chi e’ il nuovo direttore artistico?????
Enrico Rava!
Largo ai giovani!!!
La tua email mi è familiare… se ti dico “LOL sisicerto sbroc sbroc carrettata all’uscita” ti viene in mente nulla? :)
No, nulla…..
Faccio meno l’ermetico: scrivevi sul newsgroup it.arti.musica.metal, tipo cinque-sei anni fa?
Imho Allevi is the key. Il personaggio riesce difatti a rendere evidente anche una divisione tra due tipologie di ervdyty: la prima quella che giustamente riassumi in soloculturaclassicadicuinoncapisconulla+culturametrendypolitik, la seconda quella di soloculturaclassicadicuinoncapisconulla e stop (quest’ultima si sente superiore alla prima, al contrario suo deride e insulta Allevi, ma poi se gli si chiede qualche nome contemporaneo che possa essere citato assieme ai classici non ne trova manco mezzo perché nessuno è degno). Debbo dunque ringraziare l’Allevi, non certo per la musica ma per la sua utile funzione di rapido smascheramento di tali due schieramenti.
Poi fa sempre piacere leggere degli USA come esempio di humus culturale positivo, non c’è cosa che faccia più andar fuori di sé gli sbroccotronici, ergo va detta e ripetuta ad ogni occasione.
Vero, Allevi è il perfetto ritratto di Dorian Grey della situescion. E certamente, repetita iuvant et sbroccantes sbroccant!
A me l’arte classica e la poca innovazione va benissimo e no non ho mai trovato piacere nel rock, il jazz lo sopporto finche’ sto nell’ascensore. Sono culturalmente situato nell’ottocento come buona parte dei miei connazionali. Non so se lo sono per un complotto che ha proibito la musica nuova, se lo sono sostengo i complottatori.
E’ ok, son gusti. A me non piace il meccanismo e la situazione che ne deriva (dal meccanismo, non dai tuoi gusti).
Si, ma l’arte classica non e’ tutta incomprensibile. La vedova allegra e’ una telenovela e La Boheme e’ un drammone si ma facilmente comprensibile, eppure sono arte classica. E’ piu’ che altro nostalgia per un periodo di cui non possiamo avere nostalgia non avendolo vissuto e che non potendo piu’ vivere non ci potra’ mai deludere.
Non è affatto incomprensibile, è incomprensibile (o meglio, deleterio) l’atteggiamento di fantozziana riverenza con cui la si avvicina. “E’ piu’ che altro nostalgia per un periodo di cui non possiamo avere nostalgia non avendolo vissuto e che non potendo piu’ vivere non ci potra’ mai deludere.” Perfetto!
Ma come si fa a mistiare le puppe con Giovanni “diolostianti collo tsunami, tanto la merda di De Mattei ci crede” Allevi? No, dimmelo te come si fa, perche’ secondo me e’ anche bùho.
Barney
No, peta, tutto bello, però Animals e Dark Side of the Moon non sono tronfie palloserie.
Condivido assolutamente il discorso generale, e mi permetto anche di allargarlo anche al Cinema, é una balla che siamo ai minimi storici mondiali, é la Critica Accademica che é ai minimi storici ed ormai non é più in grado di valutare, leggere, raccontare le opere contemporanee.
Nel Cinema, come in tutte le arti, nascono tutti gli anni nuovi capolavori.. ma se il parametro di valutazione resta il neorealismo italiano…
tenete presente che persino Enrico Ghezzi, ha dei parametri di valutazione cinematografica che, pur rivoluzionari negli anni ’80, oggi sono già vecchi di almeno una ventina d’anni.