Non ho niente contro la visione di un concerto jazz al Pocacabana di Saltinculo, però devo dire che il Ronnie Scott’s, cioè il più venerabile club d’Europa, fa la sua differenza. Già solo perché è un locale storico con le pareti tappezzate di foto di vari colossi che si sono esibiti lì e quindi sa di Mito, poi perché il personale ci sta dentro veramente e sembra che gli garbi la musica e se non è vero sono bravissimi a fartelo credere, e insomma perché c’è uno stile tutto particolare e tutta questa serie di cose, indubbiamente accessorie, che però fanno la differenza e controbilanciano la scomodità di tavoli e panche, che però sono comodissime per scolarti una bottiglia di prosecco senza perdere di vista il palco. Poi nel menu c’è un coctkail chiamato Ellington, quindi la partita è già vinta.

Detto questo per fare il figo, occorre anche dire che il concerto di Christian Mc Bride e del suono quintetto, gli Inside Straight, ha veramente nuclearizzato il culo agli asini. Della formazione che ha inciso il bellissimo Kind Of Brown sono rimasti solo il vibrafono di Warren Wolf e ovviamente il contrabbasso del leader; le altre posizione sono occupate da Jaleel Shaw al sax contralto, fenomenale giovine che già ha dato prove maiuscole con Roy Haynes e nei due album da leader, dal giovanissimo batterista Ulysses Owens e dal pianista Peter Martin. L’intento di Mc Bride, quando mise insieme questa band, era chiaro: suonare jazz aggressivo e potente, ricco di improvvisazioni e di bei temi di matrice blues e gospel, con il giusto spazio per l’esplorazione ma senza mai trascurare lo swing e la fisicità. Un suono robusto e coinvolgente, figlio dei Jazz Messengers di Art Blakey nel tiro, nell’immediatezza e nell’esaltazione delle radici negramericane, e dei dischi del quintetto di Bobby Hutcherson e Harold Land, per l’importanza del vibrafono nel suono complessivo, il fortissimo retrogusto soul del lato melodico e la complessità della scrittura. Il sax di Shaw alterna fraseggi melodici legati al tema a svolazzi più “out” e astratti, senza mai perdere di vista l’equilibrio complessivo o uscire fuori posto. Warren Wolf, soprannominato “il Mike Tyson del vibrafono” (immagino per il collo taurino, le spalle e le braccia), tesse i suoi millemila arabeschi ora sfiorando ora picchiando lo strumento, con frasi blueseggianti che riecheggiano lo stile di Milt Jackson, ma aggiornato al 2011 – forse Wolf è il solo vibrafonista controcoglionuto fra i giovani, assieme al più famoso e navigato Stefon Harris, rispetto al quale sa essere meno cerebrale senza perdere in inventiva. Peter Martin sfodera un pianismo percussivo e bluesy figlio di McCoy Tyner e Kenny Kirkland; il suo gioco di tira e molla con la potentissima sezione ritmica, formata dall’impeccabile contrabbasso di Mc Bride, così elastico ed incredibilmente espressivo nei due assolo che si ritaglia in serata, e dall’ipercinetica batteria di Owens, dà vita ad un magma di accenti fluido e imprevedibile che fornisce una marea di spunti ai solisti. L’insieme è davvero fluido e trascinante, impossibile non goderselo. Vengono eseguiti diversi brani da Kind Of Brown, come le bellissime Used ‘Ta Could, Stick & Move e Brother Mister che apre la serata. Lo standard East Of The Sun viene sottoposto al trattamento hardboppante con grande successo, così come una composizione di Mc Bride, Shade Of Cedar Tree, suonata con un pianista ospite (un ex allievo del contrabbassista, se non ho capito male).

Mc Bride è il tipico leader comunicativo e carismatico, con grande senso dell’umorismo e la risata sempre pronta. A fine set, Christian chiede al pubblico di dirgli cosa suonare. Una signora, invero piuttosto petulante e fastidiosa, richiede Mercy, Mercy, Mercy per rendere omaggio a Cannonball Adderley. “No”, dice Mc Bride, “avremmo bisogno di un sacco di amplificatori e verrebbe male, però cercheremo di fare qualcosina in stile Cannonball”. Cosa, è presto detto: una magnifica versione di Work Song e, subito dopo, Mercy, Mercy, Mercy, accolta con applausi e risate di gusto.

Già che ci siamo, questo disco è un bellissimo concentrato di jazz moderno con salde radici classiche, e chi dice il contrario c’ha la cicca in culo, oppure è un norvegese che incide dischi pallosissimi per la ECM.