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Una volta, quando avevo dieci anni o giù di lì, trovai un manifesto impressionante ad accogliermi subito fuori dal catechismo. Rappresentava una specie di treno mostruoso, con una faccia da teschio demoniaco e due zanne gigantesche; sembrava correre ad alta velocità, quasi sul punto di deragliare. C’era scritto Motörhead, sopra: cosa voleva dire? Boh! Io e due miei amici (uno dei due oggi non c’è più – ciao Omar!) in particolare pensavamo fosse il cartellone di un film horror di prossima uscita e quindi eravamo tutti esaltati. Eravamo fissati coi film horror e facevamo anche un po’ a gara a chi ne aveva visti di peggiori, quindi iniziammo a inventarci cosa doveva essere questo film Motörhead, inventammo la storia del treno che porta i demoni dall’inferno, ricordo che lo disegnammo pure a fumetti, ne parlavamo, come se l’avessimo visto scena per scena, agli altri di classe nostra, che poi a loro volta replicavano con altri film inventati o le scene che avevano visto nella versione che ha visto il fratello più grande al cinema mio cuggino mio cuggino – insomma, tutti ci inventavamo tutto, era divertente. Musica pesa? Baffi a manubrio? Zero. In realtà mi sa che i Motörhead avrebbero suonato di lì a poco a Firenze per il tour di Orgasmatron, il disco del 1986, e quindi c’era il manifesto in città. Fine.

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Questa è la mia storiellina persona sui Motörhead. Non molto, però mi è rivenuta in mente all’improvviso, dopo essermene dimenticato per secoli, appena ho saputo della morte di Lemmy. Una morte che a voler vedere era ormai nell’aria – negli ultimi due anni la salute di questo pilastro del rock era andata deteriorandosi non poco, e nell’ultimo poi non ne parliamo. E nonostante ciò, era pure uscito un disco, Bad Magic, davvero bello – un degno, e a questo punto commovente, modo per uscire di scena. I Motörhead poi li ho scoperti ben dopo le elementari: si parla delle superiori all’inizio degli anni ’90, iniziazione alla musica pesa. Del pugno di primissimi gruppi che sentivo al tempo, i Motörhead sono rimasti ai vertici delle mie preferenze fino ad oggi. Ascoltarli negli anni ’90 aveva, almeno per me, un sapore particolare: erano considerati vetusti e fuori moda, le riviste ne parlavano quasi con fastidio. Eppure fecero un sacco di gran dischi in quel periodo. Ed è vero che i Motörhead hanno sempre tirato avanti per la loro via, fedeli al proprio stile, ma è anche vero che la qualità è stata mediamente molto alta e che nel tempo hanno creato via via piccole sorprese e nuovi archetipi sonori all’interno della propria discografia – in questo, si rivelò di importanza capitale l’album Sacrifice del 1995 e, più in generale, il ventaglio di possibilità aperto dall’arrivo di un batterista come Mikkey Dee.

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Lemmy. Era considerato un simbolo del metal, musica che però non gli è mai piaciuta – e non ha mai perso occasione per ribadirlo, senza per questo mancare di rispetto ai metal fan né ai musicisti che lo suonano (diversi dei quali sono pure stati suoi grandi amici). “Ci chiamano heavy metal per i capelli lunghi, ma noi somigliamo più ai Damned che ai Judas Priest”, disse una volta, ed è difficile dargli torto. La musica dei Motörhead, concisa, assordante e velocissima, rifiutava in maniera netta la magniloquenza dell’hard rock anni ’70. Lemmy, nel metter su la band, aveva come modello di riferimento gli MC5, il che non sorprende affatto – pure gli MC5, e prima ancora gruppi come Sonics, Monks etc, recuperavano l’urgenza primitiva del primo rock’n’roll per ridarle vita in anni di suoni levigati, megaproduzioni e arrangiamenti imponenti. La filosofia di Lemmy fu la stessa, ma l’esito diverso – è riuscito ad andare avanti per quarant’anni, live fast die old, ad altissimi livelli. Volume, velocità e violenza capaci di ispirare legioni di punk e metallari nei secoli dei secoli, un gusto melodico e armonico figlio diretto di Chuck Berry e Little Richard, una inconsueta capacità di infilare groove pure ad altissime velocità, e poi una mano fertile: il talento del Lemmy compositore è sottovalutato quanto quello del Lemmy paroliere, ambito in cui si dimostrava intelligente, arguto, cinico, spiritoso e sensibile. Sempre alla sua maniera, come del resto nel modo di suonare il basso e di cantare, con quella voce limitata e ruvida, ma straordinariamente vissuta ed espressiva.

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Si è molto parlato poi della questione politica, al solito in maniera idiota. Non starò a dire cosa non fosse Lemmy (annoverato fra i “loro”, recentemente, dai microcefali di Casapound, sì, quelli che reclamano come loro i Dropkick Murphys e si fanno picchiare e cacciare via a pedate dalla band stessa al concerto), ma dovessi sintetizzare, era un anarchico individualista, su posizioni non troppo diverse da quelli che animarono l’inizio della cultura dei biker negli anni ’50. Al tempo, gruppi di reduci dalla guerra di Corea, delusi dalle loro istituzioni al ritorno in patria, si chiamarono fuori dal consesso civile, organizzandosi in una società autonoma che viveva secondo un proprio codice etico ed estetico. Lemmy è andato avanti così, assumendosi sempre la responsabilità di errori e fallimenti, senza chiedere altro se non il diritto alla propria libertà personale. Non voleva ingraziarsi nessuno, ma era felice di essere apprezzato… se lo si apprezzava esattamente così com’era, alle sue condizioni. Quando si dice che è l’ultimo di una specie, un pezzo unico etc, è tutto vero. Non stiamo parlando di una figura banale, di un tossico miliardario istituzionale stile Keith Richards – Lemmy ha sempre lavorato durissimo, fra dischi e tour, fino all’ultimo. Anche negli ultimi anni, quando i Motörhead divennero all’improvviso rispettabili nel mondo del rock “che conta” e che li aveva sempre trattati come merda, non si è scomposto minimamente e ha continuato a fare esattamente come prima.

Addio, vecchio bucaniere. Mi mancherai da morire.

And the winner is…

Ok, film visto. Il Risveglio della Forza, intendo. E mi è piaciuto un sacco, alé. JJ Abrams non ha affatto tradito le mie aspettative e ha lavorato con grandissima intelligenza. In modo conservativo, potrebbero dire gli spaccacapellinquattro di professione, perché di fatto ha ricalcato tutta la struttura del primo film. Ma su questa adesione formale ha poi giocato davvero di fino nell’organizzare la rigenerazione del mito di Guerre Stellari. E niente è più importante, in questo senso, dei nuovi personaggi. Con Rey e Finn, la saga si è garantita due volti freschi, carismatici, ben dosati per durare ancora secoli. La prima, una ragazza di una bellezza fresca e da porta accanto, è il vero protagonista n.1. Determinata, simpatica, a tratti insicura, impara via via a maneggiare istintivamente la Forza dimostrando un talento grezzo notevole. Finn, uno stormtrooper disertore, mostra un po’ “dal dentro” cosa significhi far parte del Primo Ordine ed è il personaggio più buffo e divertente, ma non in maniera esagerata.

Apro una parentesi: è vero che il politicamente corretto è una cosa odiosa ed una specie di censura subdola da detestare, ma è altrettanto vero che non se ne può più del contrario, in questo caso tirare in ballo “ah-ah, hanno scelto donne e negri perché-sì political correctness sbroc sbroc!!1” Se conta cosa si fa e non di che colore/sesso si è, allora non si scassi la coglia su sesso e colore di due personaggi splendidamente riusciti. Anche perché a questo punto non si capisce cosa si vorrebbe, in alternativa: protagonista ariano guerriero con donna che dà di matto e si dà all’azione ma alla fine viene ricondotta alla ragione del focolare domestico mentre il promesso sposo ariano di prima diventa nuovo re saggio e giusto, e tutto per dare noia ai jedi della Boldrini sbroc sbroc w Paolo Stopponcelli vero cinema sbroc sbroc? Via, giù, meno idiozia.

E infine Kylo Ren. Ho letto molti frizzi e lazzi su di lui, in giro, del tipo “ma che sfigato, vuoi mettere Darth Vader?!??!?” Bene, siete delle testine di scimmia. Kylo Ren è l’aspetto più sorprendente del film. Già tutti suoi atteggiamenti lo dichiarano metafilmicamente che vorrebbe essere come Darth Vader ma non ce la fa e si sente inferiore. Poi il particolarissimo, drammatico rito di passaggio che affronta ad un certo punto è un momento di “creazione del cattivo” non così comune nelle storie, dove solitamente l’avversario si dà per già formato, pronto e tutto il resto. No, con quel rito di passaggio il turn heel si completa. Al punto che nel prossimo film la posta sarà parecchio più alta e inizieranno le vere sorprese.

Quindi, come valutare questo film? Come un gran ben film, chiaramente girato con tutta una serie di vincoli (la necessità di ricreare il feeling storico per i vecchi fan, di introdurre a quel feeling/mondo i giovani, di cancellare l’ignobile seconda trilogia dalle menti, di introdurre una serie di personaggi e icone nuovi), che riattualizza Guerre Stellari facendo leva sui suoi consolidati punti di forza. E in mezzo a tutti questi vincoli, Abrams si è mosso con l’intelligenza di un maestro, preparando il terreno al futuro della serie. Bella lì JJ!

Il mio primo impatto con Guerre Stellari fu, banalmente, al cinema. Avevo sette anni o giù di lì, usciva Il Ritorno dello Jedi e mio cugino, più grande di me, mi aveva parlato di questo film pieno di mostri e robot e spade, mettendomi addosso una gran voglia di vederlo. Ero già appassionato di mostri, astronavi e tutto quello che ci potesse essere di simile, quindi convinsi mia madre a portarmici. Non ricordo bene le impressioni all’uscita dal cinema, se non di aver visto la cosa più incredibilmente bella del mondo, con la paura che mi faceva il rancor, il gran numero di creature aliene e la simpatia per i due droidi in prima fila. Particolare divertente, mia madre uscì angosciatissima e ancora ricorda con particolare schifo quella specie di Riff-Raff che apre a Luke le porte del palazzo di Jabba. Da allora ho rivisto innumerevoli volte la trilogia originaria, ho visto l’orrida nuova trilogia una volta sola per una sorta di dovere autoimposto (tornassi indietro aspetterei la messa in onda televisiva) e ho da molto tempo individuato in L’Impero Colpisce Ancora il miglior film della serie.

L’attaccamento a Guerre Stellari negli anni è rimasto, si tratta di film che rivedo sempre con grandissimo piacere. Sono fra i miei film preferiti? Direi di sì. Sono film perfetti, i migliori di tutto e tutti, intoccabili, inamovibili, inderogabili etc? No. Anzi, soprattutto il primo e il terzo di difetti sono pieni, la mano di Lucas è quantomeno approssimativa nel modo in cui fa accadere e smettere di accadere le cose – se pensiamo che, nello stesso anno di Guerre Stellari, usciva Incontri Ravvicinati del Terzo Tipo, abbiamo un istantaneo confronto impari e sbilanciatissimo. E nel corso degli anni sono usciti parecchi film migliori, anche di recente. Ma la forza di Guerre Stellari è che, grazie ad un riuscitissimo universo narrativo, per quanto lasciato appena intuire come qualcosa di più grande sullo sfondo grazie a dialoghi fra i personaggi, a trovate visive bellissime, non ultima la caratterizzazione visiva dell’Impero e delle sue truppe, e l’ascesa della Forza fra le due fazioni (Darth Vader diventa comandante militare dopo la morte di Tarkin e con la neonata consapevolezza jedi di Luke Skywalker), riesce a portare la barca pari gettando i semi per tanto cinema avventuroso che verrà. Inoltre la commistione fra i generi è estremamente moderna e svolta con la massima leggerezza: la storia ha tutti gli elementi del fantasy, lo sviluppo quello tipico della fiaba, partecipano western e commedia slapstick, e i riferimenti (Edgar Rice Burroughs, Alfred Van Vogt, JRR Tolkien, Frank Herbert, Doc Smith, Jack Vance, Edmond Hamilton…) sono evidenti ma pure ben armonizzati e il risultato complessivo è una ganzata.

Alla luce di tutto questo, sono molto curioso di vedere i nuovi film, e per molti motivi. Il primo è che se ne occupa JJ Abrams, persona di indubbio talento, capace di ragionare in grande e fan lui stesso dei film originali. Il che comporta, volendo, il rischio dell’omaggio troppo deferente… ma qualcosa mi dice che non sarà così. Già con Star Trek, infatti, Abrams ha dimostrato sufficiente spregiudicatezza per riscriverne il mito e realizzare i migliori film della serie. Poi conosco gente che si lamenta già perché la spada laser con elsa laser è implausibile (!?!?) e perché il fatto che i protagonisti sono una donna e un negro è chiaro sintomo del fatto che si tratti di “un film gender fino al midollo, mentre la vecchia trilogia era improntata ai valori di una cultura bianca, cristiana e tradizionale”. Giuro, non mi sto inventando un cazzo. Se uno odia già il film sulla base di questi presupposti, io parto molto ben disposto per reazione. Per tirare giù giudizi etc, ovviamente, aspetterò la visione. Se prendiamo l’immagine lì sopra, è come aspettare un nuovo disco dei Metallica sapendo che verrà coprodotto da Roy Z e Josh Wilbur, durerà cinquanta minuti e Lars Ulrich non suonerà più la batteria per fare il manager! Non una cattiva premessa, quindi, tranne che per gli inguaribili nostalgici, che in quanto tali vaffanculo senza nemmeno passare dal via.

Qualche tempo fa surfavo YouTube per rivedermi alcuni filmati di Andrea Diprè, quando ad un certo punto l’occhio mi casca su un video dei related. Il video è Pettinero, di Il Pagante. “Ma che nome del cavolo è, Il Pagante? E Pettinero che vuol dire?”, è il nuovo martellante interrogativo, che posso soddisfare solo in un modo: cliccando al volo, ovviamente. E mi si materializza un universo. Uno trio di giovanissimi, quelli fotografati qui sopra, cioè Eddy Virus, Roberta e Federica, milanesissimi, che fanno canzoni da discoteca truzze e scazzone incentrate sulla figura del Pagante, ovvero il tipo di età 16-25 che vive per andare in discoteca il fine settimana, tira a campare a scuola, e spera sempre di entrare in pass, ovvero su qualche guest-list di qualche pr amico di amici che gli permetta così di risparmiare sull’ingresso e avere più soldi per sbocciare, ovvero spaccarsi vodka e superalcolici, ma pure qualche canna non guasta, e magari ci scappa pure un afterhour. Poi il lunedì ricomincia tutto da capo, in attesa del weekend. Tutto ciò su basi electro essenziali e testi in bilico fra celebrazione e presa per il culo dei paganti e del loro universo.

Guardando tutti i clip presenti, si nota la progressiva crescita del progetto. I primi clip, come Entro In Pass o Balza, sono fatti veramente con due lire, o meglio, con gli smartphone. Le canzoni sono molto più grezze e inciospolano fin troppo nei tormentoni, con rime che funzionano per il rotto della cuffia. Ma l’insieme risulta tanto casereccio quanto divertente. E’ con #Sbatti che le cose si fanno molto più professionali, sia nella canzone che nel video. Da lì avviene la crescita, basta confrontare i primi clip con Pettinero o l’ultimissima Faccio After. La diffusione virale dei video ha innescato un processo abbastanza ovvio: i tre ragazzi, chi fa le basi e chi gira i clip hanno deciso di fare le cose più seriamente, complice anche la crescita tecnica. Gli ultimissimi due video potrebbero far parte della programmazione di MTV, ormai. Ci sono pure due ospiti, ovvero il solito Diprè e uno dei Club Dogo. E poi c’è una cosa che mi diverte un sacco: il momento in solitario di Roberta (la ragazza più alta), che getta merda su tutto quello che era stato edificato dal video fino a quel momento, col nonsense del Monclair o con le rime sull’inconcludenza del Pagante. Un giuoco fra amici che si è, insomma, trasformato in qualcosa di più, visto che Il Pagante fa tour lunghissimi in giro per le discoteche italiane.

E’ chiaro come il sole che Il Pagante ha tutto quello che serve per scatenare l’odio di qualsiasi Oplita del Bene nel raggio di 1000km. Ma se ci si riflette, sono l’unica cosa veramente messa di traverso nell’ambito della paralitica musica italiana, che gravita tutta attorno all’imminente Festival di Sanremo. Già, il Festival, l’evento in cui, per una settimana il mondo dei vivi e quello dei morti coesistono. Dove si fanno sempre infinite polemiche sui fiori, le vallette, le presentatrici, il presentatore, gli ospiti, i valori. Dove vecchie glorie hanno l’unica chance annuale di farsi sentire e, anche in caso di vittoria, di sparire subito dopo. Dove nuovi eroi possono vincere ed essere dimenticati subito. Dove gli eroi dell’Italia alternativa hanno l’unica occasione di recuperare popolarità quando il loro pubblico ormai li ha sfanculati.

E Il Pagante, in tutto ciò? Il Pagante, cari i miei fanzi della musica indiependente diqualità, sono l’unica indipendenza che ci sia. Sono, da qualsiasi punto di vista, incompatibili con Sanremo. Le loro canzoni parlano di deboscio alcolico e fancazzismo dall’ottica del mantenuto perdigiorno, sono casiniste e moleste. Non possono andare a Sanremo ora, non ci potranno andare in futuro, nemmeno ad accompagnare in duetto la Berté (o Bertè). Sarebbero fuori luogo quanto gli Slayer o la prima di un concerto per oboe di William Bolcom. Ma non si può dire la stessa cosa di Brunori SAS, Pierpiero Capovilla e Vasco Brondi, quando saranno disperati che nessuno li caga di striscio e vorranno portare MUSICA DIVERSA a Sanremo scompaginando l’asse nostalgia-buoni sentimenti con LA QUALITA’ CHE NON PREMIA perché non si può impostare un discorso sulla qualità in Italia porcoddio, però magari si pigliano il premio della critica e potranno lucidarlo e rimirarlo tutti viscidi e chini protettivamente su di esso a mo’ di Gollum. Loro sì, finiranno a Sanremo ben felici. Il Pagante, no. Il Pagante è alternabbestia e un bel dito nell’occhio al culturame bollito e snob, quello che di sicuro li accusa di degrado e corruzione dei giovani, o di rappresentare il degrado di questo paese, quindi qua dentro sono i benvenuti. Arrendetevi, indiesfiga, che loro sono molto più indie di voi. Oltre che più bravi, vabbeh, ma quello pure io.

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Roma (LP). Sfruttavano il proprio corpo al fine di ottenere vantaggi materiali in usocapione. Questa in sostanza l’orrida notizia che sta flagellando l’aere della Penisola delle ultime 72 ore. La vicenda è saltata fuori quando W. Friellinacci, noto esperto di bon-ton nonché gigolò e gourmet diplomato presso la riviera romagnola, ha influenzato con un twit l’andamento della borsa che ha, giuocoforza, degradato lo spread in maniera tale che undici stabilimenti della Ba.Gon.Ghi. sono stati chiusi nottetempo e gli impiegati in esubro sono stati riqualificati come scrostatori di guano di storno dalle panchine di Piazza Rostro a S. Guiderzio. Purtuttavia, le figlie di questi operai non ci stanno e da alcuni giorni picchettano l’Autogrill di Pontemanitoba Sul Geyser (FSI) per ottenere i loro sacrosanti diritti negati dall’ottusa società paternalista e femminicida. Di conseguenza, lo stato di cose della giovane società più progressista assiepata sugli spalti dei Parioli ha gridato forte duro: “no pasaran!” e quindi ha proceduto con forza alla rimozione degli ultimi vincoli imposti dal patriarcato reazionario. La mossa, per quanto inizialmente inattesa e secondo alcune fonti vicine alla Curia non troppo gradita a Fulgenzio De Frispoli, ha presto data la stura ad un comportamento emulativo che vede giovini scostumate pronte a dar via le proprie grazie (sebbene alcune di loro rientrino nella categoria “boiler”) per spiccioli o beni di prima necessità o ricariche dei telefoni. L’attacco al patriarcato è evidente perché in questo modo la giovane può disporre di proprietà e/o danari senza chiedere alcunché ai genitori, che invece di solito rompano i coglioni perché io ti do i soldi ma te fai tardi la sera e basta dio cane che qui non è mica Omini e Donne, insomma, il progresso passa per questo e chi dice il contrario è un negro.

La foto qui sopra ritrae Maila Bertocchi, di anni 12, praticante baby-prostituzione nel corso dell’indagine condotta dal GIP di Frasassi Sui Sassi, Gugliemo Saccarosio. E’ stata lei, pentita, a mettere sull’avviso i genitori, soprattutto quando il di lei padre stava per concludere una contrattazione ma poi si è accorto che era la figlia stessa e quindi a questo punto tanto valeva comprarle subito l’iPhone. Di chi è la colpa di questo sfacelo morale? Gli Inquirenti (purtroppo i Vendicatori non hanno potuto collaborare) hanno tre piste da seguire:

1) Abberlusconi;
2) Miley Cirus;
3) Il negro.

Fonti ufficiose sostengono che la pista del negro sia la più perseguibile, soprattutto alla luce degli ultimi scandali dei batteri di archeopteryx nel Maxibon. La magistratura farà luce e, nel caso della certa colpevolezza del negro, lo passerà per le armi.

Elvirator

Al solito, non è nelle nostra tradizzzzzioni, i’ Ddemogno, Elvira, etc etc. Quindi qui Halloween è fico e andate a fare in culo. Purtroppo su YouTube non si trova Elvira Mistress Of The Dark, ma solo il film del 2001, quindi lo posto uguale che magari lo guardate e vi divertite un pochino, ché siete un po’ grigi e tristi.

Ebbene sì! Nonostante i giornali dicano il contrario, è successo veramente e dal sette agosto 2013 il nostro presidente del consiglio è stato sciolto da ogni prospettiva di passare il resto della sua vita nella galera come un qualsiasi manfruito moderno. Il processo, impugnato saldamente dai suoi nemici e quindi intavoltato nelle discussioni delle corruttele della demograzzia, si è finalmente intabarrato come la merda putribonda e infine i nodi sono venuti al pettine, poiché come diceva Rinulfo Peperoneschi “chi non ha peccato scagli la prima pietra, a meno che non sia negro”, e quindi il buon avvocato Semiflon ha avuto giuoco piuttosto semplice nel convincere i giurati, con documentazione di comprovata autenticità e gran rigore morale, che l’imputato presidente Abberlusconi (non tacciamo i nomi, non tacciamo!) non poteva trovarsi in biblioteca col candeliere, perché quello era infilato nella topa di Ms. Scarlet che si stava rompendo parecchio la coglia a causa della frustonaggine malamente celata del Colonnello Mustard, e dunque non era assolutamente possibile desumerne da ciò la benché minima istanza di colpevolezza nè tantomento l’aggravante di un color di pigmento irregolarmente tendente allo scuro-scuretto, sebbene egli presidente Abberlusconi come i fans assieptati sotto gli spalti sanno bene è un po’ abbronzatello, ma mica troppo, insomma, gli piace la lampada per poter ballare la lambada colle negrette (è demografico lui e non certo come alcuni individui biechi che ti multano se tiri balestrate ai negri, ma poi se in casa ascolti Beyoncè non ti dicono mica niente) e dunque in reato supposto sussistente cominciava in maniera già impercettibile a traballare, ma poi il colpo decisivo è arrivato la mattina del 5 agosto quando è stato chiamato a deporre in aula Oliviero Schiattemuorto, che secondo alcuni era il giudice stesso con la parrucca, e in ogni caso aveva rlasciato un’intervista alla stampa in cui diceva che in alcun modo il nostroi presidente Abberlusconi poteva esser stato lui a lanciare le banane alla ministera Kyghenenge perché il caso Mondadori e il lodo Alfano e le vasione fiscale non lo facevano dormire e quindi proprio gli mancavano le forze e si cibava di flebo, e se aveva le banane se le mangiava, non le avrebbe mai lanciate alla ministra dicendole bottana bottana come tua sorella nana! come invece insisteva l’accusa

cioè talmente che persino il Papa ma quello vecchio palloso tedesco si è indignato e ha preso il telefano e ha chiamato in aula dicendo che non era del tutto possibile e che doveva esser stato qualchedunaltro e quindi tutto il processo era una farsa e che Giuliano Ferrara era pronto a marciare su Roma alla guida del suo pandino del 1984 che non è a norma e  inquina talmente che sarebbero tutti morti di vaiolo in poco, guarda un po’ te che schifo, ma si può, si dice la gente per bene che infatti fa i cartelloni contro lo spread e protesta animatamente sotto il tribunale ascoltando la sentenza che all’inzio pareva sbagliata ma poi infatti lo era e quindi esultavano e giustamente perché tutti quegli errori erano colpa dei comunisti che sono invidiosi delle case in costazzurra che sono bellissime e a tutti garbano e lo stato è merdo e ti ruba i soldi con le tasse e se non te li rubasse tutti potrebbero averci le case in costazzurra (o a Follonica)  però così non è e allora ce le può avere solo al gente come Abberlusconi che anche se viene infiocinato di tasse ha talmente tanti danari frutto di anni di lavoro come imprenditore che può comunque comparsi la casa del dio cane impagliato che vuole, oh, mica stiamo a ragiona’ di ossi di bisonte qui, ma di cose serie che non tutti ci possono avere e solo per colpa dei comunisti

e quindi è inevitabile che la gente per bene si riunisca attorno al presidente contro i comunisti che marciano dalle loro fortezze in Valacchia per rapire i nostri bambini e trasformarli in orrendi ibridi uomo-bitume da comandare con i loro poteri psionici affinché tutto il mondo diventi fatto da replicanti che vanno in giro puntando l’indice e dicendoti ahaha te stronzo che hai guardato il filme con le donnegnude, ahah, non capisci un cazzo, io invece guardo la roba iraniana di Chiarostamy!! e ti fanno girare i coglioni perché te mica gli vai lì a dire che insomma son comunistacci di merda che pisciano guano piccionile e prbabilmente lo acciuffano nel tabarèn e ballano in piazza a Parigi con i pantaloni alla zuava, il basco e le maglietta e righe bianche e rosse, ma quelli forse sono i francesi, però sono pallosi come i comunisti quindi è uguale, via, e comunque il giudice ha assolto Abberlusconi perché il reato non sussiste in quanto lui è bianco e quindi innocente, e ha incolpato (giustamente) il negro.

Ora il mio più grande augurio sarebbe la sparizione del circo di Abberlusconi. Questo comporterebbe la di lui sparizione, ma pure quella del freakshow fatto di Brunetta, Santanché etc che senza la piattaforma abberlusconiana si scioglie come un vampiro sotto il solleone d’agosto a Copacabana. Non solo: improvvisamente, un sacco di comici e intellettuali e giornalisti sbroc si troverebbero d’improvviso senza lavoro. Vi immaginate un mondo purificato da Sabina Guzzanti, Michele Santoro, Luciana Littizzetto e Michele Serra? Forse sto correndo troppo con l’immaginazione, vabbeh. Concedetemi che sognare ogni tanto è bello. In ogni caso, questo accadimento testimonia più di ogni altra cosa la sconfitta, su tutta la linea, del PD e di tutto il suo contorno di culturame da pezzenti. Perché, lo ripeto per la centomiliardesima volta, in vent’anni contro lo stesso avversario che si è sempre comportato nello stesso prevedibilissimo modo, hanno rimediato pugni sul cazzo ripetutamente, con una rara miscela di stupidità e malafede. E quindi, che in vent’anni, ci debba aver pensato una lunga cordata di scandaletti e giudici, la dice lunga sulla mediocrità totale e assoluta della presunta Parte Sana Migliore Colta Sbroc Sbroc Del Paese.

E’ il suono della sconfitta, insomma. Nonostante i tappi di spumante. E quando si parla di “anomalia italiana”, pregherei di vedere non il sintomo, ma la malattia. Tornando al sintomo, non crediate che finisca qui. Abberlusconi ora diverrà quasi sicuramente un martire, e se ne avrà salute/tempo/voglia, potrà dar vita ad un movimento stile Appeppecrillo (nota: entrambi iniziano con la “A”. Coincidence? You decide!!111!). Immaginate la mobilitazione che Abberluscone potrebbe sollevare, potendo contare di un intero impero mediatico tradizionale a sua disposizione, nonché la generale ritrosia italiana a qualsiasi forma di progresso in qualsiasi ambito.

Nel frattempo, è morto Richard Matheson. Addio, grande vecchio. Tu eri importante, a differenza di tutti i nomi e cognomi fatti qui dentro.

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