Category: narratyva


Il mio primo impatto con Guerre Stellari fu, banalmente, al cinema. Avevo sette anni o giù di lì, usciva Il Ritorno dello Jedi e mio cugino, più grande di me, mi aveva parlato di questo film pieno di mostri e robot e spade, mettendomi addosso una gran voglia di vederlo. Ero già appassionato di mostri, astronavi e tutto quello che ci potesse essere di simile, quindi convinsi mia madre a portarmici. Non ricordo bene le impressioni all’uscita dal cinema, se non di aver visto la cosa più incredibilmente bella del mondo, con la paura che mi faceva il rancor, il gran numero di creature aliene e la simpatia per i due droidi in prima fila. Particolare divertente, mia madre uscì angosciatissima e ancora ricorda con particolare schifo quella specie di Riff-Raff che apre a Luke le porte del palazzo di Jabba. Da allora ho rivisto innumerevoli volte la trilogia originaria, ho visto l’orrida nuova trilogia una volta sola per una sorta di dovere autoimposto (tornassi indietro aspetterei la messa in onda televisiva) e ho da molto tempo individuato in L’Impero Colpisce Ancora il miglior film della serie.

L’attaccamento a Guerre Stellari negli anni è rimasto, si tratta di film che rivedo sempre con grandissimo piacere. Sono fra i miei film preferiti? Direi di sì. Sono film perfetti, i migliori di tutto e tutti, intoccabili, inamovibili, inderogabili etc? No. Anzi, soprattutto il primo e il terzo di difetti sono pieni, la mano di Lucas è quantomeno approssimativa nel modo in cui fa accadere e smettere di accadere le cose – se pensiamo che, nello stesso anno di Guerre Stellari, usciva Incontri Ravvicinati del Terzo Tipo, abbiamo un istantaneo confronto impari e sbilanciatissimo. E nel corso degli anni sono usciti parecchi film migliori, anche di recente. Ma la forza di Guerre Stellari è che, grazie ad un riuscitissimo universo narrativo, per quanto lasciato appena intuire come qualcosa di più grande sullo sfondo grazie a dialoghi fra i personaggi, a trovate visive bellissime, non ultima la caratterizzazione visiva dell’Impero e delle sue truppe, e l’ascesa della Forza fra le due fazioni (Darth Vader diventa comandante militare dopo la morte di Tarkin e con la neonata consapevolezza jedi di Luke Skywalker), riesce a portare la barca pari gettando i semi per tanto cinema avventuroso che verrà. Inoltre la commistione fra i generi è estremamente moderna e svolta con la massima leggerezza: la storia ha tutti gli elementi del fantasy, lo sviluppo quello tipico della fiaba, partecipano western e commedia slapstick, e i riferimenti (Edgar Rice Burroughs, Alfred Van Vogt, JRR Tolkien, Frank Herbert, Doc Smith, Jack Vance, Edmond Hamilton…) sono evidenti ma pure ben armonizzati e il risultato complessivo è una ganzata.

Alla luce di tutto questo, sono molto curioso di vedere i nuovi film, e per molti motivi. Il primo è che se ne occupa JJ Abrams, persona di indubbio talento, capace di ragionare in grande e fan lui stesso dei film originali. Il che comporta, volendo, il rischio dell’omaggio troppo deferente… ma qualcosa mi dice che non sarà così. Già con Star Trek, infatti, Abrams ha dimostrato sufficiente spregiudicatezza per riscriverne il mito e realizzare i migliori film della serie. Poi conosco gente che si lamenta già perché la spada laser con elsa laser è implausibile (!?!?) e perché il fatto che i protagonisti sono una donna e un negro è chiaro sintomo del fatto che si tratti di “un film gender fino al midollo, mentre la vecchia trilogia era improntata ai valori di una cultura bianca, cristiana e tradizionale”. Giuro, non mi sto inventando un cazzo. Se uno odia già il film sulla base di questi presupposti, io parto molto ben disposto per reazione. Per tirare giù giudizi etc, ovviamente, aspetterò la visione. Se prendiamo l’immagine lì sopra, è come aspettare un nuovo disco dei Metallica sapendo che verrà coprodotto da Roy Z e Josh Wilbur, durerà cinquanta minuti e Lars Ulrich non suonerà più la batteria per fare il manager! Non una cattiva premessa, quindi, tranne che per gli inguaribili nostalgici, che in quanto tali vaffanculo senza nemmeno passare dal via.

Era notte fonda quando, a casa dell’ispettore Camogli, squillò il telefono.
“Pronto?”
“Jack, sono Fransi. Sei sveglio?”
“Ora sì, mortacci tua. Dimmi.”
“La contessa de Molibdenis. L’hanno trovata morta un’ora fa. Una dose letale di Autan (o veleno di cobra). Corri subito!”
“Ma perché proprio io? Non ci poteva andare Cacace? O Palinsesti?”
“No, tu. Ricordi il caso Volscro?”
Già, il caso Volscro. E chi se lo scorda più? Lenny Volscro, il più pericoloso sicario della Trinacria, aveva rapito tre bagnanti per farsi consegnare un motoscafo con cui violare le acque internazionali e fuggire al sicuro nei Caraibi. Sfortuna volle che sua figlia Adelina se ne invaghì e scappò con lui, e ad oggi nessuno ne sa più niente.
“Me lo ricordo sì. E’ vero, quella volta potevo fare qualcosa ma ho preferito di no, e tutto per fare uno spregio a quel pezzo dimmmerda di Lampredotti che mi batteva sempre a calcio balilla. D’accordo, vado.”

Villa Molibdenis dominava una vasta area dalla cima di un colle fortificato. Era difficile introdurvisi senza far scattare allarmi, guardiacaccia o trappole di vario tipo e misura, ma non impossibile per un esperto killer – ripensò per un attimo a Paolo Gronchio, suo compagno d’Accademia che poi si votò al crimine. Divenne un virtuoso dell’omicidio su commissione, talmente bravo che quasi gli dispiacque doverlo insufflare di piombo durante la rapina alla Central Bank Of San Guiduglio. Questi pensieri lo accompagnarono fino al cancello della villa, già affollata per il via vai di poliziotti, paramedici e giornalisti. Raggiunse l’ingresso dopo aver aggirato la piscina. “Salve ispettore, me segua, uè chi scta pizz’ c’aa muzzariell’ ce scta a fa na pumarol’en gopp’!” gli disse l’appuntato Esposito, accompagnandolo sulla scena del delitto. Ebbe un mancamento: la contessa era come esplosa dall’interno e tutte le viscere sparpagliate in giro per la stanza. “Un’ovvia conseguenza di morso da gufo marino che qualcuno deve aver introdotto furtivamente nella magione”, pensò fra sé, quando una voce lo interruppe: “Volere gualgosa da bere, zignore?”

Era il maggiordomo Magombo, tutto livrea, guanti bianchi, sorriso discreto, che gli porgeva una coppa di Orloff Gran Riserva 1812. Lo osservò meglio. Un maggiordomo. Una scena del delitto. C’era qualche legame che però gli sfuggiva. Ma cosa? Ma mentre stava per rispondere la molla nella sua mente scattò ancora una volta e capì.
L’ispettore Camogli estrasse il distintivo, puntò la pistola in direzione del maggiordomo ed esclamò: “Arrestate quest’uomo!”

Tutti i suoi colleghi, la scientifica e i paramedici intenti nel loro duro lavoro di raccolta delle prove si girarono di scatto. Già, come avevano fatto a basta dio bestia che palle tanto lo sappiamo, dio cane, è stato il negro, bastava scriverlo in copertina.

"Ho visto tutti i tuoi filmi!"

Una questione che da sempre mi rompe i coglioni è quella dei messaggi nei libri/film/cassonetti. Cioè mi fa proprio vorticare i coglioni a forza 11, anche e soprattutto se la questione viene affrontata da persone che ritengo stimevolissime e letture ancor più piacevoli oltre che frequenti – mi riferisco, nello specifico, ad Elvezio e a Davide, che in tempi recenti hanno posto indirettamente la domanda, rispondendo: quest’opera non va bene e puzza di capra marcia in quanto ideologicamente sospetta. Segue rumore di cristalleria in frantumi, ma in realtà mi s’è rotto qualcosa all’interno dello scroto. La storia è sempre la stessa: oh, questo è il libro X, è fatto così e cosà, ma però che bella morale e che bel messaggio di merda! Siamo sicuri che i giovani debbano leggerlo? E i bambini? Chi ci pensa ai bambini?

Io dico: chi stracazzo se ne frega, dio rospo. Quando valuto un’opera letteraria, ne soppeso pregi e difetti, chiaro, ma sempre valutandola in sé stessa: l’alchimia fra storia, tono, adeguatezza della scrittura, personaggi, svolgimento, in varie e diverse dosi, volta per volta. Ne uscirà un capolavoro, una merda o tutte le sfumature intermedie, è ovvio. E si può criticare, dibattere e argomentare all’infinito su questo, anzi, ci sono legioni di discussioni accademico-fanzinare su praticamente tutto. Trovo sommamente disdicevole, però, quando entra in gioco l’autopsia ideologica. Qui non ci siamo più. E’ vero che un autore non può separarsi al 100% da quel che scrive, chi dice il contrario mente o compila elenchi del telefono. Ma se anche ne traggo “messaggi” o “morali” che non condivido…

Perché trovo che l’importante sia la storia e la sua messa in pratica, non l’insegnamento che se ne possa trarre. Che si tratti di riflusso paranoico da assemblea studentesca anni ’70 o seria convinzione personale di alcuni, dal mio punto di vista è niente più che una stronzata colossale.

L’esempio classico fra i classici è la diatriba su Tolkien, le sue posizione politiche e ideologiche e quanto ne traspaia dal Signore Degli Anelli. Apro, già che ci sono, una parentesi su Tolkien: ci sono molto affezionato per via dell’enorme investimento emotivo fatto ai tempi (1987), con la scoperta de Lo Hobbit prima e del SDA, inevitabile, dopo (“C’è un seguito! Ganzissimo!”). Come dice Davide qui, si tratta sempre di un libro da leggere per via dell’impressionante lavoro di world building, di cui è una sorta di manuale – solo Frank Herbert è riuscito a pareggiare la poderosa creazione della Terra di Mezzo. O almeno, fra quelli che conosco. Da quel 1987 a oggi ho letto quei due libri più volte (dei vari Silmarillion, Racconti Ritrovati, Racconti Scalcagnati etc me ne frego perché sono pallosissimi e superflui). Ogni volta mi sono immerso nel mondo tolkieniano con immutato piacere. Ma al di là del valore affettivo ed effettivo, che considero molto alto, se dovessi portarmi un solo libro fantasy sull’isola deserta mi ci porterei qualcosa di R.E. Howard, Jack Vance o Fritz Leiber. Questo per mettere in chiaro che non sono un fanboyz.

Apriamo la sessione Q&A:

Tolkien è conservatore?
Ok, ma non me ne importa un cazzo.
Mancano figure femminile rilevanti mentre i maschi si riempiono di virili mazzate?
Francamente mi ci pulisco il culo.
Modello di società feudale basato sul sangue e la predestinazione dell’eroe?
1) Non è vero (v. Tolkien sì, Tolkien no);
2) Anche se fosse? E’ un libro, non un partito cui affidare le sorti del tuo paese, dio zoccolo!

Se vogliamo criticare ISDA, facciamolo sulla base del libro. Non su quanto si distanzi dalla nostra utopia preferita e, soprattutto, da quanti messaggi sbagliati invia.

Nel penultimo (ad oggi) post elveziano si parla di Harry Potter, di cui ho visto e gradito quattro film, ma di cui non ho letto ancora nulla. Se scorriamo i commenti, c’è pure lì la questione del messaggio e della morale e del cattivo insegnamento e di qui e di là e il ruolo femminile. La discussione in sé è divertente ma mi fa incazzare, perché al solito si arriva a parlare di libri ideologicamente sospetti, che mi sa di indice dei libri proibiti. Sarebbe interessante fare una statistica, fra qualche anno: quanti lettori di Harry Potter, una volta diventati adulti, picchiano la moglie e votano per i Nazisti dell’Illinois di turno? Sospetto la minoranza risibile di quelli che l’avrebbero fatto comunque.

Insomma avevo incontrato la Yushiko quando lavoravo sotto il ponte di Londra lei mi aveva colpito perché era mezza negra mezza orientale e si guadagnava da vivere trafficando nei mille affari illeciti che come veleno sono in circolo nel sistema arterioso di una grande città un veleno che alla fine ci piace perché ci fa sentire tutti fighi e maledetti e comunque la Yushiko aveva un fisico statuario anche se un po abbondante e troppo in salute per essere una vera dura ma comunque non le mancavano le cose importanti come i dreadlocks e i piercing e i tatuaggi e poi se la facevi arrabbiare ti sganasciava di botte io infatti 1) la conobbi 2) facendola arrabbiare 3) perché avevo cercato di venderle quattro dosi di farina gabellandole per syntho-speedcrack (un metilpropidato del benzenodriponuro di senape che tutta la Londra della bassa consumava) insomma io ero una dilettante al tempo e la Yushi scafata si accorse al volo che la volevo infinocchiare e quindi iniziò subito a praticarmi una complessa presa per spezzarmi braccio destro, spalla destra e orecchio sinistro in un solo movimento però rimase colpita dai riflessi della luna che dardeggiavano sulla curva del mio seno come riflettori sulle cromature in un salone hi-tech che le evocava ricordi teneri di sua madre giapponese e quindi ebbe un ripensamento mi chiese scusa disse se volevo passare un po di tempo con lei perché le ricordavo il Giappone e finì che si finì a casa mia a rotolarci prima sul letto lurido e poi sul pavimento dove peraltro mi si era versato un intero flacone da quattro litri di sangue di gruppo rarissimo molto richiesto e quindi un affare buttato via anche se non redditizio come lo smercio via internet degli strap-on fatti con pezzi di merda congelata e comunque sarebbe stato lo stesso sordido come la mia anyma però ormai ero troppo presa e insomma no si andò avanti io avevo acceso lo stereo mettendo su un disco dei Cramps pensando fosse di Marvin Gaye perché sapete io sono trasgressiva ma per certe cose sono sempre tradizionale, allantica e però. Lei si muoveva a tuttaltro ritmo quello della musica che aveva nelle orecchie "Corporal Jigsore Quandray" e laritmia impossibile del suo movimento digitale e del mio sussultare pelvico ci univa in un solo essere pansessuale perché lei aveva assunto il ruolo maschile e io quello femminile e poi le onde sonore ci bruciavano gli assoni del lobo parietale e tutto il mondo e il lercio scomparvero ed eravamo contente o forse solo io lo ero perché Yushi poi si addormentò secca e basta mi sono anche frantumata le palle tanto i maschi che leggono si saranno già arrapati e i perbenisti disgustati e chi cerca idoli trasgressivi a buon mercato sarà bello che a posto merda fanculo cazzo topa scureggia.

*questo é vero
**questo non é vero <!– –>

Una storia nuàr (forse)


LHotel Girmo era un edificio malridotto e antiestetico, figlio della più selvaggia speculazione edilizia. Era stato edificato sul finire degli anni 90 utilizzando maestranze negre, messicane, portoricane e pellerossa, disperate e sottopagate, che a fine lavori sparirono misteriosamente dalla circolazione. I loro resti sono ancora lì, cementificati da qualche parte nelle fondamenta; limpresario Kenny Calogero (legato ai think-tank neocon da una lunga catena di bustarelle) potè costruire lintero stabile senza spendere un dollaro e lo rivendette subito, con guadagni spropositati. Adesso, il Girmo è un lucroso alberghino a ore, frequentato da tutti gli uomini daffari della zona per le loro sveltine in pausa pranzo. A questo porta il capitalismo.

In una squallida stanzucola dellultimo piano, una stanza che dava sulla Main Street, Harvey Spappolax aveva montato il fucile di precisione sul cavalletto già da unora e stava ripensando distrattamente alle circostanze che lavevano condotto lì. La sua carriera era iniziata nei piani bassi della CIA, dove svolgeva inizialmente il compito di addetto alle caldaie, per poi decollare quando inchiodò il senatore Kruger per il famoso "Scandalo delle Biglie di Cerume", come lo aveva battezzato audacemente il New York Times Square. Da lì in poi la sua vita professionale fu tutta in crescendo: spia di questura, infiltrato nel Partito Nazicomunista Panamericano, contatto a Valdicastrozza per delicatissime operazioni di intelligence (o approvvigionamento di skipass),  hacker personale di Karl Rove, campione rionale di biliardo. Ora lo avevano incastrato: nelle indagini in corso durante lOperazione Lontra Assassina aveva pestato alcuni piedi di troppo, che in un paio di telefonate lo misero alle strette. O uccideva il presidente Alan P. Quatermass-Rebaudengo, oppure era finito – avevano volutamente omesso i dettagli per rendere i suoi orizzonti più incerti e le sue paure più angosciose. A questo porta il capitalismo, si sa. Il suo sguardo annoiato ripercorse per lennesima volta la stanza: la moquette scadente e macchiata di schifezze, quei mozziconi di sigaretta spenti ogni dove, la pila di mutande sporche lasciate in quellangolo da chissà quanti clienti nel corso degli anni, le lampadine che penzolavano dal soffitto ingiallito e sudicio come bulbi oculari di gufo, i due iguana che si litigavano un pezzo di ananas nel bagno (umido e muffito). Accese lennesima sigaretta, tracannò del whiskey da discount, indispensabile per calcare il tono da antieroe maledetto, ed estrasse dal taschino della giacca la sua pallottola preferita. Gliela regalò Chèrol ai tempi della missione in Kamchatka, quel posto che se non fosse per il tabellone di Risiko nessuno conoscerebbe, e Harvey aveva deciso di tenersela come portafortuna personale. In quel momento aveva un disperato bisogno di fortuna, si trovava alle prese col più drammatico "o la va o la spacca" della sua vita: quale migliore occasione per usarla? Si rese conto allimprovviso che la sua grottesca e disperata situazione era ricca di risvolti simbolici. Era il sistema a cui non si scappava, che si feriva coscientemente per ridarsi la forza come un masochistico nastro di Moebius. In un hotel, figlio del più bieco sistema capitalista, si trovava un assassino che aveva fatto una rapida scalata nel dietro le quinte del sistema stesso, e che doveva sparare con la pallottola di Chèrol ("simboleggia affetti e occasioni sacrificate", pensò – chissà che brutta fine ha fatto, Chèrol, dopo che la persi a rubamazzo indagando sul caso Acme) contro il presidente, il simbolo universale delloccidente capitalista neocon globalizzante. E che nome, il presidente: "Alan P." come Alan Parsons, rinomato musicista e compositore, grande esponente della cultura musicale; Quatermass, come il dottore omonimo del celebre film, che dava un che di popolano e ruspante; infine Rebaudengo, genetliaco piementose che declina il tutto in chiave italica, signorile, borghese. Ah, il sistema. Incredibile come la dialettica fra il proprio vissuto personale e laltro da sè fosse una rappresentazione perfetta dello spaccato di quei teNpi disumani. In quel denso tessuto epiteliale metanarrativo, si disse Harvey, nessuno scavo linguistico sarebbe mai stato avvilito! Sulla parola "avvilito", la parete alle sua spalle esplose fragorosamente e una grossa palla di cannone lo centrò in mezzo alle scapole, sparpagliando la metà superiore del suo corpo in tutta la stanza.

"Avanti, corpo di mille trichechi!" tuonò la voce di Capitan Storione mentre si faceva largo attraverso la breccia che il colpo di cannone aveva aperto nel muro. Fece eco un coro di incitamenti, risate, rutti, scorregge camuffate da assoli di oboe. Col passo deciso della sua gamba di legno, frutto di una eroica fuga da Ginko Blec e la sua tribù di cannibali nel cuore del Borneo, quellomone alto e corpulento entrò nellagognata stanza che gli riservò solo delusione e un cospicuo travaso di bile. Il suo occhio buono (quello senza benda, sopravvissuto ad un micidiale combattimento con i pirati fantasmi della Lama del Terrore) gettava faville sul pavimento pieno di gore di sangue, profumo da quattro soldi, pezzi di sterco congelati e ragù; vide le gambe di un uomo e uno strano fucile giacere disordinatamente in terra, lungo la traiettoria della cannonata. Fremente di stizza, menò col suo braccio destro (quello che finiva con un robusto uncino, grazie al letale morso di Gorgo il Drago degli Abissi che per poco non se lo portava allinferno)  un fendente che avrebbe decapitato il primo timoniere Rollo se questultimo non si fosse abbassato di un soffio, come del resto succede ogni volta che il prode Capitano perde la pazienza. "Ma questo non é Fort Gion! Non cé il tesoro della Legione Nera! E dai tempi di Tortuga Bay che lo inseguo… per tutti i sargassi, che il diavolo mi porti, sangue di balena!" sbraitò il vecchio, ormai fuori di sé e con la lunga barba grigia scarmigliata e resa elettrica dalla rabbia. "Telavevodetto, telavevodetto, craaaaaak!" fu il commento di Polly, il pappagallo che Capitan Storione si portava in spalla da quando sconfisse a braccio di ferro il Pyrata Eustachio.Fu compito del minuto mozzo Ruoppolo, come al solito, placare quella montagna duomo.  "Capitano, credo di aver capito… siamo finiti in una storia post-moderna," disse con voce flebile, "torniamo indietro." Capitan Storione si fermò, tese lo sguardo ardimentoso verso il futuro (coincidente col tramonto), inspirò profondamente ed esclamò "Sì, corpo di mille chiodi rampini! Io sono un vero pirata, e mai mi arrenderò di fronte a queste scemenze radical chic!", guidando la sua fedele ciurma verso nuove mirabolanti salmastrose imprese.
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