Durante il mio percorso universitario, all’interno della facoltà di informatica, mi sono scelto come percorso quello relativo all’AI (in senso molto blando, niente Skynet), dove figuravano tre esami di indirizzo obbligatori e altri due a scelta in una rosa di papabili. I primi tre erano intelligenza artificiale, apprendimento automatico e reti neurali, dei secondi scelsi bioinformatica e percezione robotica. Si trattava di un insieme di discipline, per me, estremamente interessante – quelle cose che, una volta finito, ti dici “wow, forte, chissà se sarò tanto fortunato da lavorare con queste robe”. Flash forward di qualche anno, la fortuna mi capita: entro nello staff di una professoressa della facoltà di farmacia che si occupa, fra le altre cose, di chemoinformatica, o chemioinformatica, ovvero
«la combinazione di quelle risorse informative per la trasformazione dei dati in informazioni, e le informazioni in conoscenze, con l’intento di prendere il più velocemente possibile le decisioni ottimali nel campo della costruzione e dell’ottimizzazione dei modelli di farmaci. »
La definizione viene da qui, ed è molto efficace. Quelli come me cercano, mediante vari metodi di data mining, machine learning e vari modelli di calcolo, di costruire modelli predittivi. L’idea è quella di indirizzare al meglio il lavoro dei colleghi farmacologi: lavorando sulle strutture dei composti chimici, è possibile stabilire con buona probabilità quelli su cui è opportuno proseguire lo studio, e quali scartare. E’ il QSAR (ma faccio anche altre cose). Visto che il ciclo che porta alla nascita di un farmaco commerciabile, o anche solo al miglioramento di uno esistente, è estremamente lungo e costoso, la chemoinformatica è una ganzata perché permette di risparmiare tempo e risorse. Immaginate di avere ventordicimila composti che rappresentano le possibili combinazioni di smerdocazzina e cazzopininfarina: una volta avreste dovuto sintetizzarli e provarli tutti. Dopo uno studio chemoinformatica, potreste sapere che solo un centinaio sono potenzialmente attivi, e quali, e la ricerca successiva procederà solo su quelli. Un gran bel risparmio di tempo e risorse. Anche di vite animali, certo: dovendo sviluppare meno farmaci, sperimenti su meno animali. Migliori saranno, via via, gli strumenti della chemoinformatica, meno animali si dovranno utilizzare.
Tutto quello che ho scritto là sopra non l’ho scritto per vantarmi. Il fatto è che io stesso lavoro attivamente, per studio e per scelta, a quelle cose che una senatrice non particolarmente sveglia, ma incredibilmente fanatica e persino un tantinello ottusa, chiama “metodi alternativi”. A cosa? Secondo lei, alla sperimentazione animale. In realtà alternativi un cazzo, perché la definizione è fuorviante, quando non del tutto sbagliata: sono metodi COMPLEMENTARI. Noi chemoinformatici aiutiamo i farmacologi ad ottimizzare la ricerca, che ad un certo punto continua a prevedere la sperimentazione animale. Questo perché ad oggi è l’unico modo, per tutta una serie di motivi perfettamente logici che non sto a ripetere qui. Quando sento l’ottusa senatrice che, bella tronfia, afferma di aver ristretto la sperimentazione animale, avrei voglia di schiaffeggiarla con uno stoccafisso. Ma su questo non posso dire niente che Elena Cattaneo non abbia già detto. Posso aggiungere che i metodi alternativi non esistono, al momento, se non in via moooolto limitata, perché la complessità di un organismo non è riproducibile in ogni sua parte nemmeno dal cluster dei più potenti computer della terra. Che questo tipo di studio debba andare avanti sono d’accordo, che possa sostituire nel giro di poco la sperimentazione animale PURTROPPO NON E’ POSSIBILE. Del resto non esiste mezzo studio sulla messa a punto di un farmaco mediante metodi alternativi.
E quindi no, niente riflettori inutili per noi dei metodi COMPLEMENTARI. Facciamo il nostro e lo facciamo per migliorare la ricerca farmaceutica, che rispetta il metodo scientifico e la realtà. Se ci vogliono dare più soldi, sarò l’ultimo che si lamenta. Ma con questi soldi aiuteremo i colleghi farmacologi, perché il nostro compito è al loro fianco. Tutto il resto sono stronzate da grillini. Ah già, grillini, chi l’avrebbe mai detto…