Qualche tempo fa l’orrendo Giovanni Allevi ha fatto l’ennesima sparata delle sue, che Beethoven non ha ritmo, Jovanotti sì, è per questo che i bambini apprezzano il secondo e non il primo, ecco musica classica sbroc sbroc vecchia rinnovamento sbroc sbroc. Allevi ha (consapevolmente, ne sono sicuro) sparato una megacazzata totale termonuclare totalmente sbagliata su qualsiasi livello, ma che riattiva la dialettica delle tifoserie pro/contro, portando al solito il nome del merda al centro dei riflettori. Cosa che è successa, ma meno del previsto, sarà perché la gente s’è un po’ stufata, sarà perché qualche anno fa Uto Ughi ha aperto la breccia istituzionale dell’anti-Allevamento, sarà perché boh. Sulla centesima sparata dell’acaro ascolano c’è poco da dire. Tanto per iniziare, il confronto fra musica accademica europea e musica pop italiana nata quasi duecento anni dopo da tutt’altri presupposti è, semplicemente, insensato e folle – il modo stesso di pensare e concepire ritmo e percussione, nonché il nostro modo di sentirli, è irrimediabilmente cambiato con il cambiare della musica e l’irruzione della musica (afro)americana (di cui Jovanotti è deforme discendente). E già solo questo taglierebbe la testa al toro. Poi, c’è l’aspetto puramente retorico, di contrapposizione alto-vs-basso. La solita roba trita e meschina per cui Allevi per tramite di Jovanotti che gasa la gente sarebbe anche lui stesso più meglio di Beethoven che garba ai parrucconi che osteggiano Allevi e dunque pure Jovanotti. Zac. Allevi avrebbe potuto citare l’Histoire Du Soldat di Stravinsky o Rodeo di Aaron Copland per dar corpo ad un’affermazione tipo “la musica contemporanea è più vicina all’orecchio medio moderno rispetto a quella di Beethoven, almeno per quanto riguarda l’aspetto ritmico e percussivo”? Certo, ma una frase del genere avrebbe contraddetto brutalmente il nocciolo del suo misero pensierino, cioè che TUTTA la musica accademica dell’ultimo secolo sia rumore incomprensibile che non piace a nessuno tranne a chi la compone e qualche professorone spocchioso. Insomma, si sarebbe sparato in culo da solo, dando per scontata la memoria a medio termine del pubblico.

Prendo questo esempio di Allevi non solo per parlar male di Allevi, che è sempre cosa buona e giusta, ma perché mi rendo conto che ormai nessuno vuol più rimettere al suo posto l’imbecille. In generale, dico. Dev’essere una distorsione del concetto di “democrazia”, quella per cui la libertà è discorporata dalla responsabilità. E’ vero, ovviamente, che ognuno può dire e pensare quello che vuole; allo stesso tempo, se dici una stronzata, può succedere che qualcuno si alzi e dica “ma sei mongoloide, dio cane?” Sì, pure in pubblico, e sì, pure se sei una celebrità. Credo sia questo, alla fine, il grosso danno culturale dell’ultimo quarantennio o giù di lì, l’eredità peggiore del ’68 che si è legata in maniera inestricabile e perniciosa al politicamente corretto. Un bel continuum di merdismo, lasciatemi dire. Se le proteste del ’68 erano contro l’aumento delle tasse universitarie, che avrebbero tagliato fuori le fasce meno danarose, e dunque sacrosante, gli esiti nel lungo termine sono stati distorti in modo catastrofico: hanno prodotto la situazione del tutti laureati, nessuno laureato. Ovvero, quella del “mi laureo per il pezzo di carta e faccio il concorso”. Ovvero dell’ingigantimento a dismisura del pubblico. Ovvero della lauree facilitate e squalificate, quando non totalmente mongole. A monte, quel modello di educazione in cui il figliuolo non viene mai redarguito col ceffone o messo di fronte alle cazzate che ha combinato, ma blandito per “evitare traumi”. Non è colpa tua che non studi e/o non capisci un cazzo, sono gli altri che non ti apprezzano. Questo modo di ragionare solletica molto il narcisismo medio e prende piede molto rapidamente; i risultati costituiscono il cosiddetto “sfascio culturale contemporaneo”, cui si è arrivati procedendo un passo alla volta nella direzione sbagliata. Nel’idea lodevole di permettere a tutti, indipendentemente dal censo, di laurearsi, ad un certo punto si è perso per strada il “a patto di studiare il necessario”, che coincideva pure con la parte sgradevole dell’affare: il politicame è andato fin troppo incontro a quel che la gente voleva. Per forza che poi arrivano i parlamentari analfabeti e le trasmissioni condotte da gorilla che non sanno parlare italiano (ma pure certi dottorandi all’università, giuro).

Non so bene cosa aggiungere, a questo punto. Non sono certo per Il Modello Di Virtù che tutti devono seguire, nè per l’acritica adorazione del proprio orticello. Non sono per gli estremi e le verità rivelate, preferisco gli equilibri ragionevoli. E una situazione di ragionevole equilibrio sarebbe quella in cui uno che fa solo dei modesti plìn plìn al piano spacciandosi per grande della musica contemporanea, facendo leva sul fatto che (purtroppo) la musica contemporanea in Italia è paurosamente negletta e l’educazione musicale vetusta, e sui relativi complessi che germinano in questa situazione, venisse rimesso a posto a suon di schiaffoni. Le argomentazioni per farlo non sono affatto difficili, eppure si preferisce l’alzata di spalle e “ognuno ha diritto alla sua opinione”, oppure “alla gente piace”: due frasi fatte che sono vere, ma che annullano ogni possibilità di argomentazione. E qui si arriva all’altro punto, l’anti-intellettualismo-perché-sì, che è pernicioso e dannoso quanto l’intellettualismo-perché-sì. E’ la morte completa di qualsiasi spirito critico e discussione. Oh lo so, ci sono cascato pure io qualche volta, per la mediocrità degli intellettuali italiani e l’insopportabile supponenza delle teste d’orango che pendono dalle loro labbra, incapaci di formarsi uno spirito critico e un’estetica individuali. Ma bisognerebbe anche fermarsi quando ci si rende conto di aver oltrepassato la soglia dell’onestà. Ieri sera, per dire, mi sono guardato DOA: Dead Or Alive, che è una sgommata di film termonucleare. Divertentissimo, lo riguarderei pure domani. Ma è brutto e fallimentare da qualsiasi punto di vista. A me Truffaut non piace, eh, ma indubbiamente è uno che ha il suo perché e il suo percome e cinematograficamente parlando vince a mani basse su DOA, indipendentemente dal fatto che io, dovendo scegliere, preferisca guardarmi quest’ultimo. Se confrontassi Truffaut con John McTiernan, allora ecco due autori diversissimi, ok, ma capaci di guardarsi negli occhi sul piano della riuscita estetica del proprio lavoro.

Il succo. Eh, il succo quale sarà, a questo punto, che mi sono perso & rotto i coglioni… Che gli esseri umani sono tutti uguali, nel senso che hanno tutti diritto alle stesse cose, e però sono tutti diversi, nel senso che non tutti sono capaci di fare le stesse cose. Quando il sistema educativo è arrivato, passo dopo a negare la seconda parte della congiunzione, dando ad ogni testa di cazzo la sensazione di essere unico e speciale e chi dice il contrario ti sta discriminando, ecco, quando succede ci scappa il FAIL. Uscirne sarà graduale quanto lo è stato entrarci, sempre che lo si voglia fare. E no, questo non è uno sbotto vecchiarile per cui ora mi metto a pontificare stile Castaldo/Assante che gli Slayer sono inutili perché tanto i Beatles avevano già detto tutto con Helter Skelter o fregnacce simili. E’ solo un tentativo di fare chiarezza su argomenti, in qualche modo, già trattati prima. Perché allo spettatore di X-Factor convinto di vedere nuovi talenti contrapposti a quella troja di Miley Cyrus, occorre ricordare che se Miley Cyrus non sarà Janelle Monae, è comunque una cantante sulla cresta da anni che fa concerti su concerti, balla, canta e vende dischi. Ha già dimostrato di essere superiore alla media. Capito, coglioni? Ora vi rimetto a posto a zoccolate.