Tipo la morte del grande, immenso Jack Vance. Scrittore che ho sempre amato alla follia, autore di una serie di classici intramontabili (Linguaggi di Pao? Tschai? I Principi Demoni? La Terra Morente? Lyonesse? Tutti quei meravigliosi racconti? Fate voi! Avesse mai scritto qualcosa di brutto…), quasi sempre incentrati sul viaggio attraverso mondi esotici e culture stravaganti da conoscere se si vuole uscirne vivi. Uno spirito avventuroso con un gusto tutto particolare per l’ironia e la satira, con una prosa sensuale e infiorettata che immergeva nei colori, odori e sapori dei suoi coloratissimi universi, insomma ce ne fossero. Ci vorrebbe un monumento in ogni piazza, ci.
Tristezza, anche se Jack stava male da parecchi anni. E non posso nemmeno dirgli “vai Jack!”, altrimenti penso a Pino Scotto.
E salutiamo pure il grande Mulgrew Miller, colpito da ictus pochi giorni fa. Aveva suonato con una marea di musicisti, ed era un pianista della razza più black, influenzato da McCoy Tyner, Bud Powell, Oscar Peterson, Cedar Walton e Kenny Barron (suo alter ego più anziano). Un pilastro.
Ed era pure assai più giovane di Vance. Peccatissimo.