Archive for febbraio, 2013


Con questo post rinverdisco, probabilmente, un’antica tradizione di questo blogbs che ormai era passata un po’ in sordina: dire quanto il PD sia il Partito Deficiente e quanto sia ovvia la vittoria di Abberlusconi dato il carattere, fondamentalmente cazzone ed irresponsabile, degli italiani. Oddio, in realtà su quest’ultima parte ci sarebbe già un post dell’ottobre 2009 che vi rivogo, gli aggiustamenti di traiettoria li saprete fare da voi e in caso contrario siete dei coglioni. Bene, torniamo a noi, ma brevemente che non ho poi così voglia. Insomma, no, c’è un accrocchio di spastici che non riuscità a governare e quindi vedrai che di qui a fine estate arriva un governo tennico, che speriamo sia obbligato ad esistere e impossibilitato a cadere, un governo che deve solo dire sì ad una serie di riforme necessarie per europeizzare questo posto di merda, w la Merkel già che ci siamo, speriamo mandi Ser Gregor Clegane a raddrizzare qualche schiena. Dicevo, a parte questo: possiamo notare alcune cose molto divertenti.

1) E’ Abberlusconi cambiato, in questa campagna elettorale? Assolutamente no, il suo stile è sempre quello che tanta fortuna gli ha portato negli anni. Nemmeno aveva dato avvisaglie di cambiare alcunché nel suo modo di fare, giusto solo una mezza idea di non candidarsi e lasciare il suo partito nelle mani di, boh, non so, uno dei suoi sgherri più fidati. Semmai, Abberlusconi ha trovato subito il tasto da picchiare, ovvero l’IMU e di riflesso Ammariomonti e più in generale le tasse. Vecchi sistemi che funzionano sempre, in una nazione incivile dove è sempre colpa di qualcun altro.

2) Il Partito Deficiente aveva già scritto il suo destino nel granito quando ha fatto fuori Matteo Renzi alle primarie. Perché era un figura sia giovane che carismatica, con in più esperienza politica (critcata da molti, elogiata da altrettanti, ma qui non importa) di prima mano. Non che voglia dire molto, eh,  pure Weltroni è stato sindaco… Comunque, ci scommetto il culo (vostro) che Abberlusconi ha messo da parte i piani di ritiro solo quando Bersani ha vinto le primarie. Non so se abbiate mai sentito le tipiche frasi degli anti-Renzi, roba tipo che eh, dio bestia, Renzi è uno stronzo perché ho sentito che tanti delusi dal PDL voterebbero PD se il candidato premier fosse lui, quindi meglio votare gente con un lungo curriculum di sconfitte tipo Bersani o Vendola! Ah! Coglioni di merda.

3) Appeppecrillo. Anche su di lui ho già scritto e non ripeto. Anche lui, come Abberlusconi, è un mezzo vate e un completo cazzaro, e anche lui va a toccare il portafogli con boiate epiche: se Abberlusconi restituisce l’IMU, Appeppecrillo istituisce il reddito di cittadinanza di 1000 euro garantiti al limone. Il che significa: gli italiani amano grufolare nella merda finché la barca tiene, poi quando il loro grufolìo comincia a far affondare la barca vogliono l’uomo della provvidenza e il capro espiatorio. Di conseguenza, come prima premier donna d’Italia ci vedrei benissimo Wanna Marchi.

Appare abbastanza evidente, ormai, che l’Italia non abbia alcun desiderio di pensare a lungo termine. Che voglia solo difendere uno status quo che bene o male permette il vivacchiamento, tanto poi si può sempre cucinare la pasta alla pomarola. Insomma, l’Italia è una tossica che mente a sè stessa e agli altri, e ogni volta che gli si presenta una via di uscita ci prova ma poi ci ricasca subito appena vede uno con l’aria da spaccino che gli dà le dosi. Come dicono i sempre amabili Lamb Of God, a quick fix for all that you think that you need.

Certamente possiamo trovare, in tutto questo macello, un aspetto positivo: Antonio (Di Pietro & Ingroia), Paola Binetti e Gianfranco Fini fuori dalla cazza. Anche queste sono, pur mediocri, soddisfazioni.

Bene, adesso ha vinto le elezioni. Cosa si può pensare di un soggetto che, entrato ormai in politica con tutti e due i piedi, è arrivato fino alla vittoria? E una vittoria di questo tipo? Beh, trarre conclusione, ad essere onesti, sarebbe prematuro, perché i giuochi si sono appena fatti. Eppure, se tanto ci dà tanto l’esperienza passata, simili eventi non arrivano mai da soli, non sgorgano come Pallade Atena dal cervello di Zeus. No, si inseriscono in un contesto più ampio ove ogni cosa è legata alle altre, e la nuova realtà sistemica post-crisi dell’eurozona dovrà necessariamente tenerne conto. Dunque, nessun uomo è un’isola, e il nostro uomo non potrà isolarsi, neppure se volesse. Il nostro uomo come metafora di un governo chiamato a VAFFANCULO BASTA MI SONO GIA’ ROTTO IL CAZZO.

Mario Monti ha fatto dimettere Oscar Giannino che in realtà è Ratzinger, visto che si sono dimessi lo stesso mese e nessuno li aveva mai visti insieme. Ci avevate mai pensato? Io sì, perché c’era un precedente importante: nel 2007, a due giorni di distanza, morirono Luciano Pavarotti e Gigi Sabani. Li avevate mai visti insieme? No, vero? Ecco, avete capito. Comunque, eh sì, ci sono le elezioni. Chi votare? Son dilemmi. Qui dentro siamo fermamente convinti (io e quello trasparente qui accanto) che ci siano poche cose essenziali per spingerci a mettere una X qua o là: l’economia, i calzini e i mercati azionari dei tappi di cerume di negro. Vediamoli nei dettagli.

1) Le trappole per nani.

Si tratta di una questione annosa e difficile da dirimere. Praticamente, no, stando ad uno studio comparato effettuato dall’OPSCA, tutti i possessori di bercellatori, dal 2002 al 2010, hanno dimostrato un tasso di accise sulla disoccupazione pari a 2/3 dell’IRPEF. Tradotto, significa che il reato di bancarotta fraudolenta in usocapione è stato praticato dal 22,5% dei nostri politici che a loro volta trasducevano con funzioni monotone (non monotòne, eh, intendo proprio monòtone, come i Sigur Ros) il PIL in Sexpistols (e giù a ridere). Questo malcostume diffuso è stato ripetutamente sanzionato dalla Merkel e da Silvio Abberlusconi, che però al momento di firmare si è ritirato a vita privata adducendo scuse implausibili come l’osteoporosi di alcuni negri in usocapione che dovevano sistemargli lo spread sui titoli guatemaltechi di comprarietà di Mediaset, Brudersbanke e Peppecrillo. I risultati sono sotto gli occhi di tutti: la merda d’ora in avanti sarà venduta in appositi merdatori con un’iva del 75%, e questa sanguinosa mossa serverà per ripagare IL DEBITO PUBBLICO.

2) Welfare per il sostegno dei consorzi storionifici

Nei paesi civili, le talpe di questura costituiscono un investimento a lungo termine. Sono il sale e l’aceto di ogni democrazia, per usare le celebri parole di Wayne Dentarelli. Eppure, com’é possibile che una persona priva di qualsiasi certificazione possa svolgere il mestiere dello spostatore di gamelli di piombo pavimentizio? E’ un modo irresponsabile di gestire la cosa pubblica di cui stiamo pagando il prezzo orrendamente, e l’Europa ce lo farà pagare: la crisi della Grecia è cominciata quando il prezzo congiunturale dei calzini e quello della pasta d’acciuga ha superato il rendimento dei derivati (scoperti, bada bene) sul nerching. Da lì all’effetto spirale discendente negativa il passo è breve, e infatti s’è visto: nessuno ha più cittadinanza jugoslava. L’Italia deve fare tutto ciò che è in suo potere per rientrare nei parametri e riconquistare la coppa del mondo di pilates, altrimenti il benchmark non verrà rispettato e non potremo nemmeno dare più la colpa ai negri.

3) Tassazione progressiva delle ossa di giaguaro

Altro problema di cruciale importanza, di cui ben pochi fanno menzione in campagna elettorale, è la riduzione delle emissioni di lompo bicubico. Già Federico Di Prussia (non lo zar, eh) si era occupato della questione, ma con una manovra a sorpresa fu scalzato dalla Legge Zorro, che impediva di fatto lo scioglimento delle camere e la riduzione dei bicchieri assegnati ad ogni membro del consiglio dei dieci assenti. Stando così le cose, alla vigilia delle elezioni ci troviamo un numero spropositato di club della ciabatta in giro per la penisola, con un costo del tutto insostenibile, soprattutto sociale: fin troppi giovani perdigiorno passano le giornate attorno ai club, mendicando pitali da svuotare per un tozzo di pane, e a volte vivono proprio di escrementi, perché non vogliono impiegare le loro energie nel lavoro produttivo e nell’attivismo contro la feuglia adriana. I risultati sono sotto gli occhi di tutti, a partire da tassi di robeusi da capogiro e assenza di lestospirosi al 24%.

Stando così le cose, la situazione alla vigilia del voto si presenta molto complicata. La scelta è decisiva. Il futuro è nelle nostre mani. Le mani sono nel vostro futuro. Le mani sono in manette. E mi avete rotto i coglioni, basta, vi spacco la testa, brutte teste di cazzo impazienti, volgari e violente che non siete altro!!!

“Nel 1972, Richard Forthrast, fuggito nella Columbia Britannica per evitare rogne giudiziarie, lavora come guida da caccia specializzata, poi accumula una fortuna contrabbandando marijuana attraverso il confine tra Canada e Idaho. Passano gli anni, Richard torna negli Stati Uniti dopo l’amnistia concessa dal governo e investe la sua ricchezza in un vero e proprio impero. Crea anche T’Rain, un gioco di ruolo online di ambientazione fantasy con milioni di fan in tutto il mondo. Ma T’Rain è diverso dagli altri giochi del genere, perché l’oro virtuale che qui si scava e si conquista può essere trasformato in soldi nel mondo reale. Un gruppo di fanatici dell’informatica cerca di colpirlo creando Reamde, un virus che codifica tutti gli archivi elettronici e li conserva fino al pagamento di un riscatto. Si tratterebbe solo dell’ennesima truffa virtuale, se il virus non colpisse però le persone sbagliate: il ragazzo di Zula Forthrast, nipote di Richard, ha un passato da hacker, e ha appena concluso una transazione illegale vendendo dei numeri di carte di credito alla mafia russa. Quei dati sono stati resi inaccessibili da Reamde, perciò Zula e Peter vengono rapiti dai russi e portati nell’Estremo Oriente per aiutarli a rintracciare e colpire il fantomatico creatore di Reamde. Per la prima volta, il mondo virtuale rischia di scatenare una guerra senza esclusione di colpi: in palio c’è il destino del mondo reale.”

Questa la synossi italiana di Reamde, il nuovo, colossale libro di Neal Stephenson uscito e letto (da me) lo scorso anno. Si tratta di un’opera ciclopia, gigantesca, a tratti umoristica, a tratti delirante, assolutamente esplosiva e… beh, lasciate perdere questa aggettivazione idiota da parte mia, e partite dal presupposto che il buon Neal abbia fatto l’ennesimo centro che distrugge il bersaglio e lo pone più che mai nel novero degli scrittori realmente importanti di quest’epoca. Già, io lo sostengo da una vita e mezzo, ma il barbuto ragazzone di Fort Meade ce la mette tutta per confermare, libro dopo libro, quanto sarebbe meritato un riconoscimento pubblico della sua grandezza. Reamde contiene tutte le caratteristiche che rendono grande Stephenson: una storia di amplissimo respiro in cui brancolano personaggi improbabili che le provano di tutte per uscirne interi, con una fantozziana serie di coincidenze a unire mondi lontanissimi in una polveriera che, pagina dopo pagina, è sempre più pericolosa. La scrittura di Stephenson è, al solito, impareggiabile nel dettagliare un mondo dove natura e tecnologia si fondono senza alcuna soluzione di continuità: sa descrivere con verve, ritmo e naturalezza paradisi tropicali ricoperti di urbanizzazione incontrollata, strade ipertrafficate, ragnatele di cavi e tecnologia onnipervasiva così come se niente fosse, con un ritmo perfetto. Da tempo Stephenson ha fatto dell’infodump una forma d’arte a sè stante: addentrasi nel libro non è molto diverso da una bella navigazione internet, in cui flashback e dialoghi introducono e dettagliano argomenti dei più complessi e disparati per poi ritornare al normale flusso della narrazione. Un po’ come quando si clicca un link per approfondire e si trova una pagina bella quanto quella che leggevamo prima, ce la scorriamo tutta e siamo in grado di ritornare indietro arricchiti da informazione senza rumore di fondo. Non credo che il testo sia mai stato così vicino all’ipertesto, è probabile che mi dimentichi di qualche scrittore , e comunque pochissimi possono vantare una simile maestria. Neal tesse una trama complessa in cui si intersecano molte tematiche e molti sottotesti. Una volta stabilita ambientazione e personaggi, sembra quasi che faccia partire la simulazione lungo binari paralleli. Scrittori poco abili, o semplicemente meno abili, avrebbero fatto ricorso a pesanti deus ex machina per farli convergere. Stephenson si avvale del più semplice, realistico, ockamistico: l’errore, la sbadataggine, l’approssimazione, con le sue impreviste conseguenze che possono essere colte e fatte fruttare se si è particolarmente in gamba. Allo stesso tempo, sono molti i temi tipici di questo tempo che ribollono sotto la superficie: il terrorismo e l’intelligence, la Cina gigante dai piedi d’argilla, la compenetrazione fra mondo reale e virtuale anche oltre il predetto, l’enorme complessità tecnologica, culturale, economica che si agita dietro ad un MMORPG, il geeokdom e la diatriba sulla legittimità del “genere”, il reazionariato provinciale più profondo e pericoloso. E altro ancora: Stephenson maneggia tutto con disinvoltura e lo fa scivolare lungo la narrazione così, come se niente fosse. Sta al lettore soffermarsi a riflettere o lasciarsi trasportare dal turbine degli eventi. Il mondo è tutto interconnesso a portata di click, ogni singolo click può avere inavvertite conseguenze a chilometri di distanza, e poche cose come questo enorme affresco di thriller e azione a rotta di collo nel vecchio medium del libro possono farcelo capire, nei risvolti comici come in quelli drammatici.

      

Adesso, immaginatevi di girare, non so, per il Parco dei Mostri di Bomarzo. Vi aspettate, dietro una curva, di trovarci un qualche bestio pietrificato tipo quello che avete visto cento metri fa, e invece c’è un negro che gioca a Monopoli da solo tutto pensieroso. Ci restate per lo meno sbalestrati, no? Ecco, così mi sono sentito io quando ho saputo che Reamde era stato tradotto in italiano. Cioè, proprio non me l’aspettavo. La maniera in cui è stata realizzata la versione italiana è stata la molla per scrivere questo post, visto che sono secoli che non parlo di libri. Perché vedete, la Fanucci l’ha diviso in due libri, uno di 752 pagine e un altro di 704, venduti a 17.50 euri ciascuno, per un totale di 35 euri. Nel primo non c’è scritto assolutamente che si tratta di una prima parte. Il titolo sembra quello di un qualsiasi film di Steven Seagal. La copertina generica e sgommonissima. La traduzione non so. Sapete quanto vi costa, in inglese? Oggi c’è l’edizione cartonata, comprandolo da Amazon.com appena 12.51 più spedizione, e quindi ve lo ritrovate in casa spendendo meno della metà. Appena 7,50 dollari invece per l’edizione Kindle. Il succo della questione, insomma?

Beh, è presto detto: se siete di quelle persone a cui piace leggere, che ci si tuffano, amano stare dietro all’attualità letteraria e a sporcarvi le mani, prendendovi la briga di conoscere e valutare in prima persona senza l’imbeccata del quotidiano puzzone di turno, se insomma per parafrasare Quirino Principe siete “lettori forti”, dovreste fare un bel favore a voi stessi: abituatevi a leggere in inglese. Potrete disporre di una tavola imbandita 365 giorni l’anno a prezzi convenientissimi, e non vi farete più fregare da un panorama editoriale sempre più dilettantesco e scrauso che toglie dalla circolazione qualsiasi libro una volta esaurita la prima tiratura. Fatelo per voi stessi. Contribuirete pure alla percentuale degli “italiani che non leggono”, per il semplice fatto che non comprate nei soliti punti vendita. In realtà sarete troppo evoluti per cattive edizioni a prezzi da rapina, e vi rifornirete altrove. Certo, se tutti facessero così le bovere biggole libbbrerie fallirebbero. E allora? Lo faranno comunque, perché sono obsolete, è solo questione di tempo. Voi armatevi per fare a meno di loro e del pessimo sistema editoriale nostrano.

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