Chi ha un account Facebook si sarà imbattuto, nell’ultima settimana, nella replicazione ad infinitum dell’ennesima mobilitazione. Oggetto: le nuove efferate abominevoli normative europee in materia di vivisezione. “Si potranno usare i randagi“, “verranno a casa vostra a rapirvi il cane“, “pikkiamoli sbt!!!1!” etc etc. Ribloggaggio e commentaggio sono dilagati ovunque, seguendo la logica che se fa indignare la gente allora sarà vero, quindi si clicca. Se c’è una cosa che ho imparato dall’interwebsz è la magnitudo colossale dell’effetto valanga: se già a cose normali quando hai pestato la merda alla mattina si arriva alla sera che tutto il quartiere sa che hai preso il colera in quel viaggio dell’estate scorsa in India vedrai c’è andato per trombarsi le minorenni quel piedofilo, figuriamoci in rete. In effetti, le voci incontrollate dipingevano un panorama grottesco: possibile che nelle città europee scorrazzeranno camionette, guidate da muti colossi in uniforme, calvi e mascelluti, reclutati magari in qualche disastrato sobborgo di Bratislava, in cerca di randagi per i laboratori Big Pharma più vicini?

In effetti andando a cercare con un po’ di attenzione si scopre la verità. E cioè che la nuova normativa, pur non ponendo fine al problema (ci mancherebbe), inserisce una serie di restrizioni e obblighi di notevole entità. Leggendo il link testè riportato, potrete rendervi conto facilmente della cosa. Riguardo ai randagi, prima se ne vietava l’uso, ora si ammettono deroghe in casi “eccezionali e documentabili”, e da questo punto di vista c’è un peggioramento, ma credo si debba considerare l’insieme per giudicare. Tra l’altro la nuova normativa impone le norme e restrizioni che ogni stato europeo deve rispettare, ma poi ogni singolo stato può aggiungerne di più severe. Morale: nel complesso, più un passo avanti che indietro.

Personalmente trovo che la vivisezione sia una pratica orribile, e più si va avanti nel limitarla meglio è. Qualcuno che mi conoscesse in real life, al momento, potrebbe pure darmi dell’ipocrita. Ma come, proprio tu che lavori nel campo della ricerca, settore chimico farmaceutico sbroc sbroc? Ebbene sì, la chemoinformatica spacca il culo e lo spaccherà sempre di più. In parole povere, si tratta di elaborare modelli matematici predittivi capaci di correlare la struttura fisica della molecola con la sua attività farmaceutica, la sua capacità di formare legami o altre proprietà – il QSAR. Fondamentali nelle fasi di drug design, nella predittività dell’ADMET, del clinico, questi metodi consentono di restringere la ricerca alla molecole potenzialmente più attive, risparmiando così un sacco di risorse. Da lì uno potrebbe dire, ok, bello, una figata, ma poi mica posso pigliare un farmaco che sulla carta è ganzo ma poi mi fa venire una cresta versicolore e bargigli da gallo! E infatti. Dalla progettazione in silico (per usare termini che garbano tanto nell’ambiente) normalmente si passerebbe alla sintesi, al test sugli animali e solo molto più in là al test su pazienti. Ma le metodologie scientifiche di laboratorio che non sfiorano gli animali nemmeno con un fiorellino ci sono eccome, sul piano biologico e chimico (qui e qui delle buone panoramiche con descrizioni corrette, qui un articolo con tanto di fonti accurate valide per i due precedenti). E chissà i prossimi sviluppi della genetica…

Quindi, io sono dalla parte dei buoni e non rompete il cazzo se non posto roba contro la wywysezzione a cazzo di cane. La ratio ultima del test su animali è la possibilità di pararsi il culo: ok ritiro il farmaco ma io i test previsti per legge li ho fatti, mi dispiace che come effetto collaterale escano murene dall’esofago. Una ratio che, si spera, un giorno o l’altro si rivelerà antieconomica perché gli altri sistemi si saranno rivelati più economici (sul piano scientifico, sono migliori già adesso). A quel punto, probabilmente, potrà cambiare la mentalità e di conseguenza la legge che ancora obbliga i test su animali.