Qui su Sei Un Idiota Ignorante, lo sapete, siamo veri e propri fari della cultura, anzi, della Cvltvra. E’ dunque con un pizzico di orgoglio e malcelata superbia, nonché una certa qual alterygia, che primi in Italia parliamo del nuovo libro di Sven Svensson, La bambina che pettinava i merli, in uscita a settembre per i tipi della Marziglio Editore. Ne parliamo per primi non così tanto per bullarci, o meglio, non solo. E’ che Gianni Melio Fulcro, direttore della Marziglio, ci ha contattati alla Mansion chiedendo la nostra collaborazione per il lancio in grande stile di un libro come questo, il thriller nordico definitivo che è la summa di quel movimento esploso con la famosissima Millennium Trilogy di Stieg Larsson, il testo finale che si fa carico di tutte le suggestioni e i tòpoi letterari del neo-noir del Grande Nord e li transfigura, li eleva, deflagrandone il potenziale che solo nelle migliori pagine degli altri autori si era intravisto – vuoi per imperizia o malizia, vuoi per la febbrile ansia dell’artigiano che prova a farsi artista e lascia ancora le pesanti scalpellate dello sbozzascalini sul suo pur pregevole David di Michelangelo, vuoi per una messa a fuoco non del tutto riuscita della materia monstrum affrontata. Svensson dribbla tutti questi problemi e si pone come Autore vero, autorevole, veramente. La bambina che pettinava i merli, naturalmente, non avrebbe avuto esiti tanto alti se non fosse stato l’ultimo capitolo della monumentale pentalogia iniziata con Il negro privo di gabbia toracica e proseguita con L’occhio del pescatore di Bergen, Il cammino ove incrociano i demoni e La termite che indicava Dio. Una pentalogia che qualcuno si è già affrettato a etichettare “Il Guerra e Pace degli anni ’10”, e forse a ragione. Vediamo la sinossi:

Amir Goran-Petrov ha una vita, apparentemente, felice. Pur essendo negro infatti è comunque svedese, figlio adottivo di una famiglia benestante e quindi abita in una confortevole casetta lontana dai quartieri popolari pieni di tossici, mutanti e in-bred. Un giorno, durante la fika delle 11.34, scorge un particolare stonato nel suo ufficio: in un angolo c’è una bambina che pettina amorevolmente un merlo. Amir prova a rivolgerle la parola, ma senza successo, perché la fika finisce e deve tornare al lavoro. Nessuno dei colleghi pare averla notata, né quel giorno né i successivi. In un’altra parte della città, Helga Cederlund è una donna a pezzi. Fa la babysitter per i figli di Sonja Lindberg, potentissima e volitiva donna politica lesbica che ha fatto quattro figli mediante inseminazione artificiale e ricopre la sua carica per merito personale, senza bisogno di quote rosa. Helga si sente un’inutile babysitter senza futuro visto che, se non cederà alle avances della sua datrice di lavoro, le verrà tolta la casa e sarà costretta a prostituirsi per comprare le ricariche del cellulare. Un giorno, in mezzo ai fratelli Lindberg, Helga nota una bambina mai vista prima: una bambina che pettina amorevolmente un merlo. E’ così che Helga e Amir incroceranno le loro strade, in una vicenda complessa ed emozionante destinata a ricomporre la struttura stessa dell’intero universo (o meglio, di Stoccolma).

Immagino che siate già pisciosi d’ansia per leggere questo capolavoro. Quasi quasi vi invidio perché io ormai l’ ho già letto. E invidio ancora di più chi si appresti a leggere l’intera pentalogia per la prima volta. Finalmente si tirano le fila del discorso, e considerate che gli eventi si dipanano in un arco temporale di circa cinquant’anni. Ritornano alcuni elementi fondanti, anzi, ne ritornano molti – dagli spietati industriali del Gruppo Ostrogoth, fondato anni prima dall’inquietante Verne Stromblad e il cui sinisto Progetto per l’Avanzamento dell’Uomo trova risonanza filigranica nelle vicende di tutti i personaggi coinvolti, al tenero Alex Malmstrom ormai ottantenne e malato di mente ma portatore di segreti importantissimi, passando per la Cuspide, l’organizzazione transnazionale che tiene le fila del discorso e assembra al suo interno esponenti di spicco presi da tutti gli ambiti che contanto (potere politico, militare, metalz). La scrittura di Svensson è, se possibile, ancora più sottile e raffinata di prima. Lui la chiama linearità trans-stilistica, termine eccentrico che in realtà sintetizza in maniera ottimale la sua teoria di “una prosa data dalla somma algebrica di tutti i registri stilistici ed emozionali, equamente dosati”. Solo un occhio superficiale e distratto potrebbe giudicare la prosa di Svensson pedante e piatta, come quella di un geometra del catasto di Fauglia. Prendiamo questo paragrafo:

“Jesper si alzò dal suo letto e, dopo aver sbadigliato ed essersi grattato la nuca con forza ma non troppo, si mise in piedi. Poi andò a fare colazione con i biscotti e la marmellata e il salmone che aveva comprato due giorni fa ma non era riuscito ancora a consumare per l’ansia da documentazione sul caso Ostrogoth. Quindi, dopo una doccia di circa venti minuti, perché gli piaceva stare sotto l’acqua calda, chiamò Helga. Si diedero appuntamento al Bar Sjoskefrund. Ora restava del tempo libero, che Jesper passò mettendo in ordine la sua collezione di aringhe, una delle migliori di Svezia, che gli aveva procurato pure una medaglia di bronzo alla Mostra Reale delle Collezioni di Aringhe.”

Soltanto un improvvido e ottuso potrebbe criticare banalmente questo brano come robetta grigia e amorfa. Eppure la teoria della somma algebrica stilistica ci permette di comprendere la ricchezza lessicale e sintattica di Svensson. Ogni frase definisce, dalla relazione con la precedente e la successiva, il registro stilistico con cui interpretarla. Quindi sommando le molteplicità stilistiche, queste ultime si annullano e lo stile diventa solo apparentemente banale, stupido e bolso. E ritenerlo tale testimonia banale e stupida bolsaggine di chi legge, gente che nemmeno dovrebbe tenere un libro in mano, basta, dio campanaccio, con queste persone di merda che non capiscono un cazzo, e porca troja, e la cultura dove finisce altrimenti, eh? Parlo a voi, sì, belle le mie testine di cazzo, c’è gente come Sven Svensson che scrive capolavori con la stessa facilità con cui si monta un mobile Ikea. Ma è ora di finirla, porca puttana, andate a fare in culo, continuate pure a non capire un cazzo di Qui e Ora sussunti nel dispiegarsi d’una trama complessa che dipinge l’affresco del declino dell’occidente pur all’interno delle mura della socialdemocrazia svedese, vai, continuate, che è già tanto se vivete a nord di Torre del Greco, dio rambaldo!