Archive for Maggio, 2010


Heliofail

Nota: articolo modificato dopo che mi hanno fatto notare uno svarione da terza elementare e qualche altra cosa. Ringrazio gli odiosetti ma gentyli Cane Nero, Pippo, Chester e Sciuscia. Come mi scuso? Ha piovuto, c’ho la scarpa sgonfia etc etc? No, sono pigro e non ho avuto abbastanza voglia di ricontrollare per bene. Sigh, dura la vita dello sbloggerz.

In treno si sentono un sacco di discorsi, soprattutto se ci vai cinque giorni alla settimana su sette, due volte al dì. Capita di sentir lo sbrocching articolarsi in mille forme versicolori, soprattutto se sei da solo e non stai discorrendo con nessuno. E così, stamani mi sono beccato due regazzuoli che facevano un discorso del cazzo e della minchia riassumibile in: Abberlusconi nucleare sbroc sbroc amico Putin sbroc sbroc progetto inutile sbroc sbroc fonti rinnovabili sbroc. Porca puttana, sempre le stesse robe. Credo ci sia un problema linguistico alla base, perché se è vero che il sole, il vento e le salamandre sono infinite e dunque sono fonti di energia rinnovabili, questo non significa che la tecnologia per sfruttarle sia sufficientemente potente, economica, in una parola conveniente. Faccio un disegnino?

Ehm no, non intendevo Jordan Carver. Intendevo altro, cioè che per es. il tanto decantato fotovoltaico è una colossale merda e ci vuole ben poco per capirlo. Premessa: il criceto grillesco eventualmente in ascolto farebbe meglio ad andarsene in Tasmania dove i fanno i cani senza il nucleare. Ecco, prendiamo adesso un paesino di tipo 3000 abitanti, posizioniamolo nella pianura pisana, chiamiamolo Montecchioli o un nome del genere.

a) Qual’é il fabbisogno energetico giornaliero dei montecchiolesi?
Parlando di elettricità di base, cioè dedicata agli elettrodomestici e alle robe casalinghe, la stima del consumo medio reperita in rete è sui 6,17 kw al giorno per famiglia. Immaginando una famiglia di quattro persone, possiamo rozzamente stimare che il fabbisogno kilowattorico giornaliero di Montecchioli = (3000/4)x6,17 = 4627,5 kwh, che diventano 1.689.037,5 kwh all’anno.

b) Che caratteristiche hanno i pannelli fotovoltaici?
Sono rettangolari, scuri, si basano su cellule di materiale semiconduttore come il brasato di silicio e sono ultrahightech, hanno pure bisogno di inverter e collettore, non è che li pigliate e li attaccate alla corrente così a cazzo. L’efficienza del pannello, allo stato attuale è del 19%, cioè il 19% dei raggi solari viene trasformato in energia elettrica, nei momenti di suprema efficienza teorica (che per semplificare consideriamo effettiva e pure costante). Particolare: per quanto la tecnologia migliori, questo NON ci garantisce che un giorno si arriverà ad un’efficienza del 100%.

c) I pannelli in commercio come sono?
Wikipedia alla mano, sono necessari in media 7,2mq per un pannello capace di erogare 1 kwp – un kw picco, cioè il potenziale massimo universale termoglobale raggiungibile in condizioni superottimali teoriche, che per semplificare supponiamo ci siano. Questo 1 kwp ci dà 1200 kwh di energia.  Se vogliamo fare i grandiosi, e lo vogliamo, ci sono pure pannelli di 5,147mq, il meglio che c’é in giro. Di solito, vedendo i preventivi delle aziende che installano fotovoltaico, per un impianto completo si va sui 9000-10000 euro.

d) E se Montecchioli volesse diventare comune green eco sbroc tutto solar-powered la natura ewwywa?
Sulla base di tutte le considerazioni fatte sopra, una centrale solare dedicata al sostentamento energetico casalinguo (escludendo quindi fabbriche, energia cittadina varia etc etc) dell’intera Montecchioli occuperebbe un impianto da 3.450.000/1200=2875 kwp che piglia circa 5 ettari, per circa 9 milioni di neuri. Questo solo per la corrente domestica di un paese di 3000 persone (per la cronaca, non esiste Montecchioli, me lo sono inventato ad hoc).

Naturalmente, dando per scontato che ci sia sempre il sole e che i pannelli funzionino al massimo teorico, e lo facciano sempre. Naturalmente, non consideriamo la complessa questione dello smaltimento dei pannelli. Naturalmente, tutti quelli che insistono sul solare via del futuro sbroc sbroc parlano perché hanno la bocca, visto che il rendimento e i costi sono inversamente proporzionali già solo per quanto riguarda l’elettricità familiare. E ancora più naturalmente, è assolutamente impraticabile per rifornire cittadine e città di medie-piccole dimensioni, figuriamoci nazioni intere.

Nel medio, lungo, lunghissimo termine il solare si rivela per quel che è, una costosissimo giocattolo à la page – ci risparmiate solo perché lo stato vi sovvenziona con settemila euro e a recuperare i duemila restanti ce la fate, in qualche anno, e poi potremmo dire che risparmiate per la durata di vita del pannello. Ma in realtà, se non ci fosse la sovvenzione statale, col cazzo che risparmiereste. E quindi, ben venga il progetto Ignitor, ben vengano i nuovi studi sulla fusione del MIT. Lì si ragiona, il solare è buono per sbroccare e spararsi le pose. Oppure per vendere terreni agricoli a prezzi da rapina, come stanno per fari molti proprietari di serre.

Premessa: la rubrica delle Pellicole Decrittate tratta solo ed esclusivamente di film mai guardati. Si basa sull’assunto che, da pochi elementi tratti dalla cartella stampa (trama, attori, produzione, nazionalità, sponsorizzazione) sia possibile a priori stabilirne pregi e difetti.

Synossi: Milos è un ex attore porno ormai in pensione, che adesso ha una vita grosso modo normale, insomma, sapete, la moglie, la figlia e quelle cose lì. Siccome però si trova senza soldi e la necessità di mantenere la famiglia, accetta la proposta di un canaglione croato, cioè partecipare ad un film di cui non sa trama nè nulla, sa solo che è un porno e quindi tanto lui è del mestiere, soldi facili, e poi voglio dire da quando gli attori porno si impensieriscono delle trame, se non quando ci sono attori che fanno la parte degli attori porno nei film non porno? E già qui siamo un bel pezzo nel metacinema, infatti ‘sto film l’hanno visto a Cannes. Ah dicevo, il film dove reciterà Milos sarà un bagno di sangue snuffsz pieno di torture, morte, sangue, moriremo tutti, follia.

Morale implicita: questi serbi, ma guardateli, che merde. Vengono da noi tutti amigo aiutare io tenere familia io faccio badante e poi zac, gli dai una telecamera in mano e che fanno? Gli snuffsz moviesz, cioè roba brutta. Noi ci facciamo Vacanze di Natale con le puppe di Belen, loro invece danno sfogo alla loro malvagità e si scannano come majali. Quindi, siete avvertiti: per quel posto di fermacarte non assumete un serbo, chè poi vi pentirete quanto vi cucinerà vostra figlia flambè dopo averla trombata a spregio indi per cui decapitata e gettata nella vasca dei piranha.

Giudizio complessivo: dice che uno a vedere questo film è svenuto, che i distributori sono scappati, che Josè Luis Moreno animava Rockfeller. Palle. In realtà a Cannes, dove pure sono ben abituati a visionare merda su merda facendo finta che sia il nonplusultra, è scoppiata un’epidemia di colera in corrispondenza della prima di questo film, e ad oggi la cittadina francese è sottoposta a virulenta decontaminazione. Anche perché la massiccia diarreizzazione ha sguinzagliato orde di jene idrofobe che si aggirano per la città, che è messa peggio di 28 Giorni Dopo.

Non mi metterò a parlare del concerto degli AC/DC, visto che le figate devastonucleari sono tali proprio per verità rivelata ed autoevidente, senza alcun bisogno di spiegazione per chiunque abbia un QI superiore a 11 e non apprezzi i Baustelle (di conseguenza). Vi lascio come unica testimonianza la foto lì sopra, scattata dal buon Basta Con La Droga. Quello di cui mi interessa discutere, stranamente, è la band di supporto. Nel resto del tour europeo, ad aprire per gli AC/DC, ci sono Down, Accept, Wolfmother. Qui da noi? Le diomerda Vibrazioni, sì, proprio loro, quei mongoli di Dedicato Ateeeee, Angelicaaaaa e tutti questi altri classici del merd rock. Il volume dei fischi e degli insulti fra una canzone e l’altra era più altro di quello dei loro strumenti amplificati, e alcune persone di buona volontà si erano pure portate uno striscione con scritto “Fate Cagare”: hanno tutta la mia ammirazione. Brava Barley Arts, fai suonare gli amichetti degli amichetti? Te li ritrovi subissati di comprensibili sputi in culo. Naturalmente le cose possono sempre peggiorare, infatti ad un certo punto arriva pure Pino Scotto per una cover di Rock’n’Roll dei Led Zeppelin dedicata a Ronnie James Dio. L’ostilità del pubblico si affievolisce, ed è un peccato, perché grazie a questo escamotagesz i gaglioffi delle Vibrazioni potranno dire, in sede d’intervista, di aver conquistato il pubblico degli AC/DC. Yeah, rockz’n’rolz, guys.

Ma Pino Scotto, quell’accattone testa di cazzo di merda, quanto scasserà la minchia? Gli va dato atto di una cosa, cioè che è un gran furbacchione. Puntando sull’assunto base del metal (“vecchio è bello”) grazie al suo passato nei Vanadium, pionieristica e pure gradevole formazione degli anni ’80, si è creato un personaggio completamente imbecille, d’un vuoto e di una banalità sconcertanti, eppure di un certo successo. E’ il Beppe Grillo metallaro, il che dovrebbe rendere benissimo l’idea di quanto sia solo un cazzaro. Pino si atteggia da un lato a grande vecchio del rock, figura paterna passata attraverso mille eccessi e mille vizi, in grando di consigliare e raccontare, dall’altro a predicatore moralista contro la società dell’immagine superficiale e priva di valori – yawwwn, perché non vai da Santoro, Pinuzzo?

Le banalissime invettive di Pino sono, di volta in volta, i reality show, la società senza valori, i valori senza società, i giovani senza valori della società, il perbenismo, il papa, il falso rock’n’roll di MTV che ti propina quella negra di Rihanna e quei finocchi dei Tokyo Hotel, le mezze stagioni che non ci sono più e la campagna che una volta era tutta qui attorno. Due luoghi comuni e una grandinata di parolacce gli hanno cucito addosso l’immagine di Pinoscotto quello verace che non le manda a dire dio merda, meno male c’è Pinuzzo a dire quello che gli altri non dicono… cioè le parolacce, perché per il resto dice le solite stronzate che dicono tutti.

Dopo aver scritto un libro insieme ad un semi-giornalista più fesso di lui, dopo aver appena pubblicato un nuovo disco in italiano, Pino va ovunque possa racimolare due applausi e una tazza di semolino, giustificandosi poi con tremila distinguo ad arte, tutti riassumibile nel concetto di rivoluzione dall’interno: lui cioè porta il messaggio controcorrente presso quel pubblico che normalmente lo ignorerebbe. Lo stesso ragionamento di Morgan e mongolitici di quel livello, tanto per capirsi. Se Pino ammorbidisse i toni e gli improperi, gli si aprirebbe una carriera di ospite televisivo di primissimo livello. Potrebbe partire da Chiambretti, che l’ha ospitato una volta per dire vaffanculo dio merdacazzo a Povia, stazionare nelle trasmissioni pomeridiane, poi nei preserali, infine le incoronazioni definitive: le maratone domenicali, Porta a Porta, i reality show. Questi ultimi sono potenzialmente sfruttabili in più modi: come concorrente (Isola dei Famosi), come opinionista (vanno bene tutti), come giudice (X Factor, ovvio). Immaginatevi Pinuzzo all’Isola che litiga con qualcuno, spara un bestemmione, viene espulso, è polemica, interviste, ospitate, serate etc. Sarebbe il suo terreno naturale, l’approdo definitivo, l’apice della carriera per il rocker proletario che da questa esperienza potrebbe tirar fuori un nuovo libro, con un titolo del genere Scottatevi il culo. Presentato pure da Fazio, ve lo immaginate? Tu Fazio diommmerda non capisci un cazzo, ma lo sai cos’è il rockenrozl, che io ho vomitato la colazione a duecento metri da Lemmy? Ascolta ancora i Tochiotèl e datti fuoco, datti!

Pino Scotto è un tipico esponente di quella cialtronìa italiana per cui ostenta disprezzo. Poi ci si lamenta che la gente ha una cattiva opinione del metal e soprattutto dei metallari: per forza, se uno si imbatte nel Grillo del Metalz che deve fare?

– “Ma te che ascolti rock, ti piace Pino Scotto? Siete tutti così?”
– “No, è lui che dimezza il già basso QI medio!”

Ecco. E ora la bestemmia mi ci sta male, non vorrei suonasse come lesa maestà.

The Final Frontier
(EMI)

1. “Beyond The Eyes Can See” (Smith, Harris) 4:17
2. “Where No Man Has Gone Before” (Smith, Harris) 5:52
3. “Higher And Faster” (Smith, Harris, Murray) 7:34
4. “The Antagonist” (Gers, Harris) 6:07
5. “Longing For Heaven” (Smith, Harris, Dickinson) 6:58
6. “Murky Space Race” (Dickinson, Harris) 7:36
7. “Catastrophe Of A Thousand Light Years” (Murray, Harris) 8:29
8. “The Final Frontier” (Gers, Smith, Harris) 14:09

Durata complessiva:    59:46
Durata media delle canzoni:   7:42
Ipotesi ragionevole: la prima canzone è il singolo, avrà un riff mezzo riciclato e una melodia scontata, ma almeno sarà semiascoltabile. L’ultima sarà un’abominio fatta da due Hallowed Be Thy Name di fila. Le altre saranno come Hallowed Be Thy Name, nel nome della “vena progressiva” percorsa negli ultimi vent’anni (era Bailey inclusa).

Da ciò possiamo dedurre, con matematica certezza, che:

The Final Frontier

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PS: cercando in rete le fonti della tracklist, si arriva al sito bulgaro degli Iron Maiden, quindi la notizia va presa con le molle, anche perché certi titoli tipo Longing For Heaven o Murky Space Race (troppo zuccheroso il primo, troppo ironico il secondo) mal si addicono alla tronfia solennità degli Iron odierni. Ciononostante, le considerazioni qui presenti andranno bene anche per l’eventuale vero nuovo album. Ma garantito al limone.

Si consuma in questi giorni la polemica, l’ennesima, su Roberto Saviano. Polemica di cui non me ne frega un cazzo. Fede è la solita testa di minchia e fine della storia, non vedo perché perdere tempo in questi strepiti inutili. L’argomento del contendere, da due punti di vista contrapposti, è la denuncia giornalistica della mafia: quanto danno possa fare alla reputazione dell’Italia all’estero, e se ne valga la pena, nell’ottica di combattere la mafia. Che palle. Tuttavia c’é una parte degli strepiti che si presta a divertenti giuochetti di reverse pattern matching per individuare, al solito, il filo rosso dello sbroc. Proprio per questo adesso entrano in gioco Cuba e Yoani Sanchez,  per confondere le acque limacciose e putribonde.

Yoani Sanchez l’ho sentita nominare per la prima volta lo scorso anno in questo bel post di Blobshake. Da allora, ogni tanto vado a vedere il suo blog Generation Y, dove a volte ci sono post interessanti e altre volte post noiosi, com’è ovvio. Talmente ovvio che non mi interessa discutere dei contenuti di quel blog, quanto dello sbrocching attorno a quel blog, e di riflesso a Cuba tutta. Leggendo il posto di Blobshake di prima, vedrete subito l’atteggiamento sbroccotronico di Gianni Minà e di tutti i filocubani all’estero, cioè quelli che esaltano Cuba vivendo comodamente nel Marcio Occidente Capitalista:

1) X non cubano asserisce che Cuba = paradiso;
2) Y cubano ha qualcosina da ridire a riguardo;
3) X deduce che Y è un reazionario anticastrista sovvenzionato dagli americani
.

Ridicolo a dir poco. Ma il ridicolo è parte integrante di gran parte degli sragionamenti degli antimperialisti sbroc sbroc, che sottoscrivono interamente il ragionamento di cui sopra e sparano a zero contro la Sanchez, accusandola di essere, oltre al soldo degli americani, un’ignorante, frivola, arrivista, che sogna il consumismo, nonché inventrice di frottole perché ovviamente a Cuba starebbero tutti benissimo non fosse colpa dell’embargo sbroc sbroc colpa del tutto unilaterale sbroc sbroc e poi sarà una dittuatura ma quella di Pinochet era più dura sbroc sbroc.

Google offre un’abbondante documentazione sbroccotronica. Se anche le accuse alla Sanchez fossero vere, cioè si inventerebbe tutto per interesse monetario personale, i concetti essenziali da lei espressi troverebbero comunque conferma, perché nessuna donna del Marcio Occidente Capitalista sarebbe costretta a fare cose tanto complicate per potersi comprare qualche paio di scarpe e sorsegguare due cocktail al bar del Grand Hotel. Rincaro: la maggior parte dei contenuti dei post della Sanchez mi sembra molto credibile. Questo perché, molti anni fa, conobbi una ragazza cubana, che abitava sopra casa di mio fratello. Si sposò con un ragazzo fiorentino e venne a stare a Firenze, dove risiede da ormai… boh, venticinque anni? I racconti che faceva lei della vita cubana non sono molto diversi da quelli della Sanchez, a partire dal senso di colpa che provava perché qui da noi poteva accedere senza problemi a beni e servizi. Nota: la ragazza in questione (ormai avrà boh, quasi 45 anni, ma continuo a chiamarla così) non ha sposato un Lapo Elkann fiorentino, ma un falegname che ai tempi viveva con padre, madre e nonna in un trilocale impestato di fumo, e oggi vive sempre lì ma senza padre e nonna. Davvero curioso: due donne cubane che, immagino, non si siano mai conosciute, una delle quali italiana da venticinque anni, sostengono grosso modo le stesse cose. Presumo che gli stessi che schiumano contro la Sanchez non esisterebbero a dare della puttana finanziata dalla CIA pure a questa ragazza. Da tutto ciò, posso dedurre che non sia affatto difficile scoprire gli infiltrati della CIA a Cuba, neppure per il visitatore occasionale o l’internauta: basta cercare fra carcerati, morti violentemente, ricoverati in terapia intensiva, esuli ed emigrati. Fra questi Gonzalo Rubalcaba, che ha preferito trasferirsi a Miami e diventare cittadino americano e dover fare le procedure d’immigrazione ogni volta che torna a Cuba, per dare più serenità alla moglie e ai tre figli, che razza di mostro sarà? Badate bene, la prossima volta che gli comprate un disco o andate ad un suo concerto!

Tornando alla Sanchez, è tipico degli sbroccher ghignare soddisfatti che il governo cubano le abbia impedito di andare in Spagna a ritirare un premio, offertole da una rivista o da un quotidiano, non ricordo, molto critico nei confronti del governo cubano stesso. Che quindi ha fatto bene, dicono, altrimenti la Sanchez avrebbe parlato male di Cuba. Quante di queste persone, secondo voi, si incazzano perché Fede e altri tuonano contro Saviano che dà una cattiva immagine dell’Italia? Ecco, esatto. Bello lì, il reverse pattern matching è servito.

Illuminante è, a questo punto, la lettura de La Terra Morente di quel grande genio di Jack Vance, in particolare la storia di Ulan Dhor e il suo viaggio alla ricerca della perduta città di Ampridatvir. Gli abitanti di quella città erano vittime di un sortilegio che deformava le loro percezioni e li faceva vivere e ragionare in maniera del tutto idiota. Sostituite agli abitanti gli sbroccher, e al sortilegio l’ideologia, e fate due più due…

Frank Frazetta è morto. Il grande artista americano ha lasciato questo mondo all’età di 82 anni, dopo una vita lunga e piena di soddisfazioni. Non è da tutti riuscire a plasmare l’immaginario fantastico di più generazioni, anche di quelle che magari non l’hanno sentito nominare. Le sue figure plastiche, potenti, piene di fascino barbarico e primitivo hanno graziato mille mila copertine, influenzato il monster-design di un sacco di film, visualizzato in maniera definitiva Conan il Barbaro, Kull di Valusia, Fafhred e il Gray Mouser, Tarzan,  John Carter di Marte, e vedrai pure altre cose che mi sfuggono al momento. E le sue donne, curvilinee e burrose in maniera meyeriana? E’ difficile, tra l’altro, immaginare Kratos e la serie di God Of War in generale senza corpose dosi di R.E. Howard e relative messe in scena grafiche del buon Frank.

Bella lì Frank, eri uno dei migliori, e ti voglio bene.

Giusto una settimanella fa, venerdì scorso, io e il Single ci siamo trovati ad un piacevole aperitivo con gente varia, passando un paio d’ore piacevoli fra chiacchiere, gozzoviglia e stronzate. Peccato che ad un certo punto sia iniziato il karaoke, ma ormai la frittata era fatta e l’arte di invocare i fulmini purtroppo l’avevo dimenticata da tempo, precisamente dalle ultime partite ad AD&D. Insomma, inevitabile ad un certo punto discorrere dei vecchi amici, alcuni un po’ persi di vista e altri meno. Fra i meno, ce n’é uno in particolare che è stato oggetto di accurata (due minuti scarsi) dissezione, più che altro per trovare conferma dell’invarianza caratteriale oltre la soglia dei trent’anni. Ebbene, ebbene…

L’Amico. L’Amico si è laureato in Cazzologia e ha pure conseguito un prestigioso master cazzologico. Con Cazzologia naturalmente intendo una facoltà umanistica costruita frankensteiniamente (un pezzo di questo, un pezzo di quello) nell’ultimo decennio, oppure una facoltà esistente da tempo, che forma figure di limitata allocabilità in questo preciso contesto spaziotemporale. Voglio dire, di quanti diplomatici e/o legislatori internazionali avrà bisogno, realisticamente, l’Italia? A questo punto l’Amico è passato al call-center. Call-center a stecca, unica piattaforma d’approdo per il laureato masterizzato cazzologo che i lavori duri no e quelli seri che lo valorizzano non li trova. Dopodiché, arriva un’illuminazione: fare il corso di chef e relativo stage a Roma, per la cifra di 7000 neuri + spese d’alloggiamento varie. Il corso viene completato con successo, così come lo stage. L’Amico lascia Roma e torna a Viareggio proprio nel momento buono, aprile: i locali di tutta la Versilia iniziano a cercare personale in vista della stagione estiva, e pagano bene. Ci può stare l’inghippo: l’offerta di posti da aiuto cuoco per svolgere l’effettivo lavoro di cuoco non sono affatto infrequenti… soprattutto nei confronti di chi non abbia un curriculum da cuoco, essenziale per chi debba dirigere una cucina di un locale estivo in una località turistica d’estate. L’Amico naturalmente non ci sta. Protesta, si arrabbia e fa il sarcastico. Lui, cuoco certificato con stage di tre mesi e nessuna esperienza, nonché cazzologo masterizzato, non viene cercato per fare il cuoco! Inammissibile! Solo posti da aiuto cuoco! A limite con paga da aiuto cuoco per compiti da vero cuoco! Questa è l’Italia dei furbetti, per forza che vince Abberlusconi sbroc sbroc! Niente meritocrazia qui dentro! Me ne vado in XYZlandia! (stessa litania che ripeteva ai tempi del call center).

E’ a questo punto superfluo notare il baco alla base del ragionamento dell’Amico. Si trova in questa situazione per una serie di scelte sbagliate, esclusivamente sue, e non può  fare tanto lo schizzinoso perché nessun ristorante offre, nella stagione calda (in tutti i sensi), un posto da cuoco ad un ultratrentenne alla prima esperienza. Logica vorrebbe il rimbocco delle maniche e l’accettaggio di un posto di aiuto cuoco, che comunque paga bene e fa curriculum ed esperienza. Sperando che logica prevalga di qui a poco, l’esempio esemplificato è prova di una mentalità diffusa nonché deleteria, quella per cui i tuoi problemi sono colpa dello stato e della società. Esiste un modo per salvarsi in anticipo da tutte queste magagne, e lo dico per esperienza personale: bisogna investire sulla propria pigrizia. No, non è che faccia il collaudatore di letti, è una cosa più sottile che non tutte le teste di bomba sono in grado di comprendere.

Essere pigri edonisti allo stadio terminale, tipo me, comporta una serie di ragionamenti in termini di minmaxing. Prima di fare qualcosa, qualcosa che richieda più sforzo che infilare un disco nello stereo o sbranare una rosticciana, ti chiedi sempre se l’azione che stai per compiere dia godimento sufficiente da ricompensare il disturbo. Questa stima da fare in anticipo, sempre più precisa con l’esperienza, può dare grandi soddisfazioni: ti permette di troncare amicizie che viste nel lungo termine si prospettano dannose, di evitare sfacchinate domenicali per andare a vedere l’alba dalla cima del monte Merda, di valutare per il meglio le scelte di vita. Fra cui, chiaramente, i percorsi scolastici ed educativi, e non mi sto inventando un cazzo. Allo scoccare dell’ultimo anno di liceo, mi trovai come tutti a scegliere cosa fare. Minmaxing: puntare sul patimento durante il corso di studio o sul patimento post-laurea? Siccome avrei passato più tempo fuori dall’università che dentro, ci voleva qualcosa che aiutasse a rendere migliore la vita post-laurea. Dunque, l’orizzonte letterario fu spazzato via in favore di quello scientifico. Di tutte le facoltà scientifiche e/o tecniche, quale? Minmaxing: la più indicata mi pareva informatica, sia perché il mondo andava sempre più informatizzandosi, sia perché scazzare coi computer m’era sempre piaciuto fin dai primi home computer della Commodore (il primo, lo sfigato C16 , mi arrivò nell’85). Veniamo al presente. Da circa quattro anni lavoro nel settore, per me molto interessante, della chemoinformatica. La paga non è moltissima, ma val la pena cercare qualcos’altro, o lavori extra? Minmaxing: faccio roba che mi piace, il tempo libero è davvero libero, non ho grosse spese nè uno stile di vita dispendioso, le condizioni di lavoro (colleghi e orari) sono ottimali, quindi manco per il cazzo – piuttosto impiego parte del tempo libero per migliorare la mia cultura nel campo, nell’ottica di restarci a lungo. So benissimo dove sono, so benissimo che avrei potuto fare di più e guadagnare di più etc., ma dal mio punto di vista non ne vale la pena. Soprattutto, niente di tutto questo è colpa della società, dello stato o dei rettiliani negri che imbavagliano Santoro con le scie chimiche.

Per comportarvi così dovete essere pigri ed edonisti nella giusta misura – il desiderio di stare ragionevolmente bene deve essere la molla che vi spinge a superare la pigrizia, solo al fine di procurare altro tempo da dedicare alla pigrizia edonista. E’ per questo che sono un anarcosibarita. E questo significa, alla fine, che la mia bile se ne può stare tranquilla nella colecisti e uscirne solo per la digestione.

Progress isn’t made by early risers. It’s made by lazy men trying to find easier ways to do something. (R.A. Heinlein, “Time Enough For Love”)

Affermare che Vasco Rossi sia un musicista di merda che fa musica imbarazzantemente di merda è come dire che l’acqua è bagnata, o che Dixan smacchia a fondo senza danno, o altre verità autoevidenti. E’, in poche parole, fiato sprecato per dire l’ovvio, come tutti i byte sprecati dall’inizio di questo post fino al punto. Vasco Rossi comunque non sono mai riuscito a odiarlo, perché l’ho sempre ignorato con successo. Le sue esternazione e comparsate pubbliche, i resoconti dei suoi concerti etc. mi hanno sempre dato l’idea di quello che un po’ ci è e un bel po’ ci fa, così intasca la sua bella sbombardata di danari e ci si paga i viziucci, il che in linea teorica è la massima realizzazione dell’umana specie. C’è poi il Popolo del Blasco che, spesso e volentieri, mi ricorda quanto sia ingiusto non tributare i dovuti onori all’inventore del napalm, ma questa è un’altra storia. Ora però è necessario prendere una posizione netta e chiara CONTRO Vasco Rossi, e smetterla di ignorarlo pacificamente, perché va bene essere mediocri e insulsi, molto meno farsi prendere da oceaniche manie di grandezza e sbroccarle urbis et orbis.

Tutto comincia con questo articolo del cazzo. Si parla di Vasco che, dio Roipnol, ha suonato per la prima volta a Londra all’Hammersmith Apollo, per un totale di novemila (9000) paganti. Già si parte male, perché l’Hammersmith Apollo, storico teatro londinese, contiene un massimo di 5000 persone, e solo nel caso venissero rimossi i sedili nel loggione, come succede per alcune occasioni particolari. Ma queste sono pinzillacchere, robette. Il bello arriva ora.

«Come a Bob Dylan è vietato suonare in Cina, anche a me per 20 anni è stata negata Londra. Una volta addirittura mi dissero che se non avevo il permesso di soggiorno mi avrebbero considerato un clandestino. In passato, negli Usa, mi hanno perfino censurato il video “Gli spari sopra”. Quanti meno problemi avevano i Duran Duran ad esibirsi a Sanremo…» Per forza, i Duran Duran erano famosi in tutto il mondo, Vasco Rossi arriva al massimo al Canton Ticino. Inoltre vorresti legittimare paragoni con Dylan, così, con nonscialanzsz, Blasco?

Gli chiedono, come mai tutti questi ostacoli? E lui: «Ne sono convinto: è uno dei tanti “regali” che ci ha lasciato l’America dopo la Seconda guerra mondiale. Favorire qui da noi l’importazione della musica anglosassone e scoraggiare l’esportazione all’estero dei nostri talenti. Comunque sia, adesso ce l’ho fatta» SciechimicheFAIL, cara la mia testina callosa. Perché il rock italiano, Vasco incluso, ha sempre avuto come sua caratteristica precipua il fatto di suonare provinciale, provincialissimo, e vecchio. Un’emulazione ritardataria (e nel caso di Vasco, ritardata made in Zocca) di ciò che in USA e UK è già passato da un pezzo: come si può pretendere che promoter e discografici locali se ne possano interessare? Adesso ce l’hai fatta, Vasco, probabilmente grazie alla comunità italiana londinese e agli italiani in vacanza che con Ryan Air vanno a farsi un giro a Londra e si vedono pure Vasco. A margine, è da notare come alcuni musicisti italiani abbiano effettivamente lasciato un segno all’estero: su tutti i Raw Power, che guarda caso non erano nè provinciali nè in ritardo, ma addirittura in anticipo sui tempi e molto più amati in USA che da noi. Oppure il grande successo di Laura Pausini che fa musica latina (all’orecchio estero tale è, e non dovremmo stupircene per un cazzo) e non tenta di fare rock al ragù. Sono esempi sufficienti a contraddire Vasco, lato underground e lato mainstream.

Vasco ora è in pieno delirio ribellistico, gli manca giusto il duetto con Pino Scotto per essere trasgrescion fino in fondo. Sentite qui, scrive pure una grafics novelsz la cui storia pare rubata malamente a 2112 dei Rush, con un governo totalitario che vieta la musica: «La storia che ho immaginato rimanda agli scenari già ipotizzati da Ray Bradbury in “Fahrenheit 451” e da George Orwell in “1984”. Anche il video legato al mio brano “Ho fatto un sogno” sarà sotto forma di graphic novel e avrà la stessa trama del fumetto…Non solo. Quel governo obbliga la gente anche ad essere televisivamente felice.» Yeah Blasco, anche tu contro la tivvù.

Non è finita qui, eh, ci sono un paio di fuochi d’artificio niente male. Per esempio il suo impegno letterario: «Finanzio una rivista letteraria, Satisfiction, e cerco di sensibilizzare gli altri alla lettura. Certo, è più faticoso che vedere telefilm, ma i romanzi, le poesie, i saggi ti allargano la mente. Prima anch’io mi lasciavo bombardare dalla tv e facevo confusione tra Ben-Hur e Robin Hood». Hmm, Vasco, ma ultimamente chi frequenti, Daria Bignardi e Luca Sofri?

E per finire, Roman Polanski: «È stato il regista del video tratto dal mio brano “Gli angeli”. È una persona splendida e quando gli sei accanto riesce a trasmetterti un senso di solarità. Io gli affiderei le chiavi di casa mia. Arrivare a trattarlo come un mostro è da folli. Ma tanto si sa (sottolineatura mia, ndnegrodeath) che dietro tutta la faccenda ci sono le tensioni tra Usa e Svizzera sul segreto bancario».
SignoraggioFAIL, Blasco, signoraggioFAIL.

Parlar male del Concerto del Primo Maggio a Roma è come parlar male di Sanremo: troppo facile e troppo noioso, visto che bene o male ci suonano sempre gli stessi mongoloidi, c’è sempre la stessa aria da siamo noi la Mvsyca, e insomma solita merda. Ho solo dato una scorsa alla scaletta per vedere la traggedia a che punto fosse arrivata, e ho visto che c’era qualcosa di buono, tipo gli Asian Dub Foundation, in mezzo ad un mare di stercobalena andato a male condito dagli inevitabili slogan e pretese cvltvrali. Del resto che dire di una roba tipo “L’orchestra Roma Sinfonietta, anche in un numero con Sabrina Impacciatore che giocherà sulla rappresentazione in chiave pop della teoria di Kandinsky su colori e suoni”? E la Impacciatore m’è pure simpatica, però stavolta la infilerei volentieri nel novero delle vittime collaterali. Poi ecco, una giornata con Carmen Consoli, i BausteAAAAGHAHAH, Claudio Lolli e Capossela è condannata alla merda. Mi si dirà, tu celll’hai colla musica italiana! E io risponderò, infatti, e faccio bene, vedi che ammassaccio di merda che vien fuori?

Il mio Primo Maggio comunque la sua dose di musica ce l’ha avuta. No, non quella che mi ascoltavo a casa, è che la sera in piazza a Camaiore suonava Bobo Rondelli, il simpaticissimo cantante livornese che ricordo con molto piacere ai vecchi tempi degli Ottavo Padiglione (visti, con gran divertimento, un paio di volte a metà anni ’90). Sapevo che Bobo da solista aveva cambiato stile, ma non mi sono documentato granché su cosa facesse adesso. E ora purtroppo è diventato un cantautore italiano doc, pure bravo e con un’ottima band di supporto, però a me ‘sto tipo di musica dopo quattro o cinque canzoni mi demolisce il cazzo. La serata comunque è stata assai piacevole, quindi non mi posso lamentare. La domenica precedente avevo appena visto i magnifici Los Natas, stasera mi perderò Henry Threadgill, domenica prossima gran goduria coi No Means No

…ecco, un concerto del Primo Maggio con Los Natas, Henry Threadgill e No Means No non è proprio venuto in mente a nessuno, vero?

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