Domenica pomeriggio ero in libreria. Visto il clima allegro, visto che le commesse sono mie amiche da anni, visto che c’era un amico loro, ci s’é messi a discorrere. L’amico in questione ad un certo punto ha detto una cosa piuttosto interessante: solo negli ultimi tempi si era reso conto della qualità della prosa di uno scrittore. Aveva letto saggi e manuali tecnici tutta la vita, recentemente aveva iniziato a leggere narrativa, e così aveva fatto la mirabile scoperta e la differenza fra uno scrittore e l’altro, anche nel modo di scrittura. Ok. Questo mi ha fatto balzare alla mente due cose: che molte persone, durante la lettura, hanno una visione esclusivamente “orizzontale” di quel che leggono. Percepiscono un libro solo come trama da godere senza intralci, e il loro giudizio su di un libro si sintetizza quasi sempre in: “la trama è bellissima e parla di x, y e z che fanno a, b e c, e poi è scorrevolissimo e non ce la fai a smettere”. E’ una descrizione talmente elastica che, a parità di gradimento, può essere applicato a capolavori come a merde colossali, a Raymond Chandler come a Stephanie Meyer. E mette subito in chiaro una cosa: la non-consapevolezza di chi la pronuncia. Beninteso, non c’é niente di male. Ognuno dedica il proprio tempo a quel che vuole, e se dalla lettura vuole una storia che si legge velocemente e basta, che faccia pure – odio i pedagoghi indottrinanti. Detto questo, uno potrebbe pensar che comunque la critica potrebbe/dovrebbe fornire una mappa del territorio artistico con chiavi di lettura, interpretazioni, prospettive, con coraggio e (chi l’avrebbe mai detto) spirito critico. A questo punto entra in gioco un bel post elveziano sulla dissoluzione del concetto di critica nell’era internettara.
Chi li ascolta, oggi, i critici? Servono ancora, non capiscono un cazzo, ewwywa la demograzzia dell’interwebs? La realtà è molto più aggrovigliata di una risposta sì/no a queste domande. Preferisco partire con un po’ di pulizia e mettere subito alla porta tutta l’attività critica perniciosa, svolta da persone di questo tipo:
– l’ideologizzato: scandaglia l’opera per radiografare ideologicamente l’autore, da stroncare a sangue qualora incompatibile con la tessera di partito del critico stesso.
– l’amico degli amici: fa parte di un network di varia estensione e non fa altro che promuovere gli amici degli amici, che a loro volta ricambieranno.
– il vecchio: ha un’idea ben precisa di come dev’essere un bel libro/disco/film, ed è sempre la stessa. I giudizi sono tanto più negativi quanto più l’opera in esame vi si allontana. Non cerca mai di capire l’intenzione dell’autore e il criterio di realizzazione, pretende che ogni autore si conformi al suo augusto ideale.
– il modaiolo: presentissimo in vetrine mediatiche di alto profilo, non fa che seguire le mode, complice un pubblico disattento e altrettanto modaiolo, desideroso di esibire l’estetica della cultura.
Facendo piazza pulita di queste quattro categorie, togliendo di mezzo l’accademia, in ogni caso importante per il confronto col passato e il c.d. status quo, resterebbe il vasto arcipelago degli autori di saggi, critici da rivista, e ultimamente internettari. Quelli che più spesso si rivolgono ad un pubblico consapevole, o desideroso di diventarlo. Qui da noi ormai si è sviluppata una dinamica perversa, quantomeno in ambito letterario: uno scrittore può contare su un certo numero di amici di amici che lo sostengono, e se è particolarmente fortunato pure qualche modaiolo in vista. Le voci critiche contrarie, che analizzano e argomentano seriamente, sono oggetto di minacce, insulti, sputi e calci (virtuali, per ora), quando non di querele. Lampante, prima che chiudesse il blog per motivi personali, il caso di Gamberetta. Lucida e tagliente nello stroncare tanto pessimo fantasy nostrano, ha deciso di mollarlo e dedicarsi esclusivamente alla roba straniera per gli assalti degli scrittori-troll invasati e dei loro fan.
La cosa assume toni davvero grotteschi perché alla fine si parla di guerriglie fra poveracci: le cifre da spartirsi sono bassissime, ben al di sotto delle diecimila copie per libri di genere e non molti di più per il mainstream (fermo restando che detesti queste categorie, ma è per capirsi). Gamberetta o Elvezio, che non sono neppure critici di mestiere e parlano solo dai loro blog, stroncano il libro XYZ di ABC? ABC e fan al seguito gli trollano il blog e sparano insulti alla persona, evitando accuratamente di rispondere nel merito. Un atteggiamento mafioso a dir poco. La torta, per quanto piccola, è stata spartita e i commensali difendono con le unghie e coi denti le loro fette. L’epurazione della figura dell’editor, la compiacenza di vari direttori editoriali e di testata nonché di grossi portali vari, e la formazioni di cosche ben coperte fanno il resto e creano un ambiente asfissiante dove ogni parola va, evidentemente, soppesata. Questa situazione ha prodotto un panorama occupato in alto dai Valerio Evangelisti, Paolo Giordano, Margaret Mazzantini, Licia Troisi e Wu Minghia vari, dai loro sodali e replicanti, dai vincitori del Premio Urania (ne voglio uno d’ufficio senza aver inviato niente, tanto ormai…), e saturato in basso dai libercoli degli editori a pagamento, dove si trova di tutto e di più. I bravi veri, che pure ci sono, mi paiono alle prese con un mare in tempesta pieno di mulini a vento. Mi piacerebbe molto sapere che ne pensano lui e lui, che metto fra i bravi. E pure i sempre vigili Iguana e Davide.
Vorrei concludere questo sconclusionato post con riflessioni più personali. In passato credo di essermi scagliato pure io contro i critici, anzi, Cvitici. Uso la parola “credo” perché mi riferisco al blogbs. E’ sempre stato un atteggiamento difensivo, il mio, dato dal fatto che troppo spesso il mondo della Cultura Ufficiale ha attaccato, per di più in maniera frettolosa, superficiale, poco documentata e scorretta, quello che mi piace. Fantascienza, metal, horror, punk… se già strappano un sorriso compiaciuto, presso gli ambientini dei salotti buoni, c’è già da stappare lo spumante. Questo paragrafo appena scritto è contraddittorio solo in apparenza. Perché dall’altro lato c’è il fandom, che accetta supinamente di tutto e lo difende a spada tratta non appena qualcuno che non è del giro muove qualche critica, anche sensata. L’invariabile risposta è tapparsi le orecchie e urlare “fantasy! fantasy! fantasy!” (o horror o sci-fi o noir o quel che vi pare). Roba da roncolate. E’ sempre stupido l’atteggiamento defender of the faith, perché bisogna innanzitutto comprendere il senso della critica. Che può essere giusta, sbagliata, una merda. Ma finché non la si capisce non si va da nessuna parte. A me piace molto leggere libri che trattano argomenti di mio interesse. Leggo molto di musica, visto che è una delle mie passioni principali – da ascoltatore. Tante volte mi è capitato di leggere boiate, e di dire “critici merda non capiscono cazzo sbroc sbroc”, ma allo stesso modo tengo come un tesoro la mia copia vecchia e putrida di Cos’è la Musica di Herbet Weinstock, che mi aprì un mondo quando ero in terza media. Ce ne fosse di gente come Gary Giddins o Lester Bangs. E potrei fare altri esempi. Di solito si tende a inveire contro chi contraddice le nostre convinzioni e ad esaltare chi le conferma, è umano. Sono convinto che si possa criticare tutto e che niente sia sacro, basta solo che l’argomentazione portata, condivisibile o meno, sia all’altezza, ed è questo che troppo spesso manca: un’argomentazione all’altezza, di quelle che possano in certi casi aprire orizzonti nuovi. Vedi quell’articolo in cui Whitney Balliet esalta Buddy Rich a scapito di Max Roach. Nei contenuti non sono affatto d’accordo, pur stimando molto Balliet. Tuttavia, è infallibilmente argomentato e cristallino nella sua logica, oltre che splendido come stile. Come definirlo, nell’insieme, se non un gran pezzo di giornalismo musicale?
Arrivo ora a me, e al mio hobby del giornalismo musicale. Nel mio piccolo, cominciai a scrivere di musica a fine anni ’90 per tre motivi: la musica mi piaceva, scrivere mi piaceva, e il livello degli articoli sulle riviste metal di quegli anni era sceso talmente in basso che mi sono detto, se questi caproni si beccano dischi e concerti gratis per scrivere simile merda priva di spirito critico, scritta da fan e per giunta in un italiano traballante, beh, allora anch’io. Altro esempio. Pur ascoltando jazz da molti anni, ho iniziato a scriverne solo recentemente e solo qui, perché prima avevo paura di scrivere cagate non all’altezza. Poi leggo tutte le immondizie che si scrivono sul jazz, su riviste specializzate come su giornali famosi e inserti culturali vari, e capisco che non c’è alcun motivo per trattenermi. E questo lo dico io che non conto un cazzo. Poi uno che se ne intende legge e mi incoraggia, mi propone addirittura di scrivere su una delle due riviste specializzate che ci sono qui in Italia… ringrazio e declino perché altrimenti non avrei più tempo per ascoltare musica per piacere e basta. Tuttavia il segnale è preoccupante: da un lato non emergono più critici, o se preferiti esploratori e cartografi dell’arte, validi, dall’altro anche se ci fossero non li si vuole più perché potrebbero sgranocchiare pezzi della piccola torta faticosamente conquistata. E la perdita è quella di un contributo intellettuale stimolante, se fatto bene. Voi vi divertite, a parlare col muro? Non ci credo!
Le foto di tettone sono meravigliose, ma la storia degli apostoli zombie e’ fantastica.
Uriel
mai tolto le parole di bocca
oh madonna! ho scritto mai invece di m’hai
mai tolto le parole di bocca
—-
Like a virgin.
Io sono “Il Vecchio”. Lo so, festa finita e buonanotte a tutti.
Il mio cane si chiama Lester. A secndo dell’interlocutore, mi chiedono:
a) “Peste?”
b) “Perchè Lester?”
c) “Ah, come Lester Young?”
In realtà si chiama Lester perchè quando stava per nascere, nel 2000, vidi al cinema American Beauty, il cui protagonista si chiama Lester, e mia mamma ed io decidemmo che se Kevin Spacey avesse vinto l’Oscar avremmo chiamato il cane Lester, e così fu (con grave disperazione di mio padre che s’incasina a chiamare il cane quando è a caccia).
Dici, che c’entra? E’ che nessuno mi chiede mai se si chiama Lester come Bangs. Tutto qui.
PS: Bello il blog qui.
Ho dei muri fantastici a casa, ciarlieri e di ottimo livello culturale, mi mettono a disagio…
Una vecchia massima (non so quanto veritiera, ma credo molto) dice che l’Italia è un paese dove si legge poco ma si scrive molto, evidentemente questo riguarda anche i critici (che a dire il vero non sono quasi mai ben visti, perché verso di essi c’è l’attegiamento rappresentato molto bene dal proverbio “facile è criticare, difficile è fare”) nel mio piccolo (anzi, nel mio microscopico), mi spiace leggere saggi di critica o recensioni ad opere pubblicate (siano esse libri o dischi), ma poi alla fine della fiera conta il mio personale ed insindabile giudizio, se il disco o libro mi piace, non serviranno legioni di critici a dirmi che fa pena, ed altrettanto sarà in caso di mia disapprovazione per una certa opera. Che poi ci sia una claque che favorisce questo o quest’altro, credo che sia quasi naturale che sia così, quanto al panorama letterario italiano, è asfittico, ma riflette il paese, almeno a mio modesto parere. Come critico dilettante potrei comunque collocarmi tra l’ideologizzato e il vecchio, anche se sto cercando di emanciparmi da simili pastoie.
In sintesi: post molto bello e condivisibile (e le immagini certamente aiutano, e poi a scuola dicevano di non guardare le figure…).
Chiamato in causa, dico la mia (non c’ero quando Elvezio ha scatenato il polverone… mi rifaccio qui).
Io continuo a credere che il mercato sia troppo fragile (poche copie vendute, pochi lettori, vita breve delle opere, autori che compaiono, trionfano e poi spariscono, editori che guardano solo il fatturato…) per poter reggere un pubblico fortemente vocale.
In altre parole – qualsiasi cosa che non sia la lode assoluta ed entusiastica viene considerato un attacco, un attentato.
Non parli del mio libro? È come se ne parlassi male.
Anzi, è peggio.
Aggiungiamo al mix i soliti piccoli hitler del fandom – che stroncano per compiacere i loro fan, che vogliono vedere il sangue, salvo poi offrirsi a pagamento come editor per esordienti – e la situazione prende unapiega malsana.
La salvezza risiede, come sempre, nella discrezione personale.
È necessario leggere dieci critiche e poi decidere di quali critici ci fidiamo, e di quali no.
Si tratta di un processo per tentativi ed errori.
NON è uno schierarsi con A o con B, NON significa essere a favore di X o contro Y.
Si tratta di scoprire che i gusti di un certo critico, di un certo blogger, coincidono con i nostri, e quelli di altri no.
Poi, si rispettano le oneste opinioni di tutti, certo.
Ma si decide sulla base di una fiducia costruita nel tempo.
La selezione naturale farà il resto.
No no, le figure e le immagini dio bono servono eccome.
“Chi pensa per concetti e non per immagini, tratta la lingua con la medesima crudeltà di colui che vede soltanto le categorie sociali e non gli uomini” (Ernst Jünger).
Tanto per tirarcela.
Scherzi a parte, io amo leggere saggi di critici, accademici o meno.
Con il tempo mi sono formato ovviamente un parco nomi di riferimento e, dopo aver appurato, negli anni, che concordo con le loro opinioni nel 90% dei casi, mi affido a loro per semplificarmi la vita, ovvero per evitare opere che molto probabilmente non mi piacerebbero visto che non sono piaciute a loro.
Vero: così rischio quel 10%, ma esce un tale bordello di arte che mi pare un rischio che vale la pena prendere, a fronte di un 90% di ciarpame evitato.
E ci sono alcuni critici (per esempio ora sto leggendo l’ultimo di James Wood) che sanno scrivere meglio di moltissimi romanzieri e assicurano un livello di “intrattenimento” oltre alla normale fruizione culturale.
Poi sì, la legge di Sturgeon si applica anche a critici, non dimentichiamolo mai…
E chi critica dovrebbe assumersi precise responsabilità ed è sempre passibile di critica egli stesso, ci mancherebbe…
Si, il selezionare il critico, così come dice pure Davide, è il criterio che da “fruitore” è il migliore. Lo facevo anch’io, da sedicenne lettore di riviste metalz of steel: avevo due o tre nomi che consideravo ragionevoli e affidabili e ragionevolmente prendevo in considerazione il loro giudizio, per orientarmi meglio. La selezione naturale poi farà il resto, ehehe. Mi dici qualcosa di James Wood, già che ci sei?
Bel post, condivido la stragrande maggioranza delle cose dette (solo per non dire “tutto”).
Ah, il colore dello sfondo è molto più meglio così che nero.
Su Wood…
Posso solo consigliarlo, consigliarlo e consigliarlo.
Leggere “Come funzionano i romanzi” è illuminante, ti fornisce nuovi e potenti mezzi per comprendere meglio determinate opere, è uno dei primi “manuali” o “guide” alla scrittura/letura finalmente non scritti da qualche scrittore mezzo fallito (o da, chessò, uno Stephen King che insegna su On Writing determinate cose che ultimamente nei suoi lavori non ritrovi MAI) ma da un critico serio, accademico MA capace di scrivere anche per le persone comunic, cosa assai rara.
La trovo lettura indispensabile…
Faccio la parte del pirla e dico che quello che hai scritto lo condivido in pieno, ma manca il vero motivo che scatena tutto ciò ovvero il lavaggio cerebrale da parte delle TV del cavaliere. Mi Consenta!
(siccome sono uno sconosciuto, ci tengo a precisare che scherzo)
Arrivo solo ora, e c’ho pure un braccio steccato (‘zz! se è dificile scivere con una mano sola!), e mi compiaccio della citazione nel post. :-)
A me piacerebbe avere più strumenti teorici per poter analizzare e capire in maniera ancor più appofondita quel che leggo, invece di andare a naso e basarmi fondamentalmente sulle letture precedenti. (per questo ringrazio Elvezio pe aver citato Wood, che mi pare interessante.)
Del resto io leggo unicamente per sollazzarmi, e per trovare la strada in libreria mi bastano quei pochi “recensori” i cui gusti ho imparato a comprendere negli anni.
A proposito dei cvitici, forse una cosa gli va ricordata, ovvero che la reputazione, buona o cattiva che sia, sta diventando il valore principale per giudicare chi si espone in rete. È difficile liberarsi di quel che si ha scritto in giro nel corso del tempo. Chi trancia giudizi, spara nel mucchio o lecca culi a destra e a manca farebbe bene a ricordarselo.
Dice Iguana “A proposito dei cvitici, forse una cosa gli va ricordata, ovvero che la reputazione, buona o cattiva che sia, sta diventando il valore principale per giudicare chi si espone in rete. È difficile liberarsi di quel che si ha scritto in giro nel corso del tempo. Chi trancia giudizi, spara nel mucchio o lecca culi a destra e a manca farebbe bene a ricordarselo.”
E io oltre a essere d’accordo rncaro la dose, aggiungendo che in Rete è ancora più facile scoprire eventuali “amicizie” o “rancori” che fanno magari alterare a priori il giudizio del cvitico.
E ancora, è ugualmente facile scoprire possibili intrallazzi editoriali dei nvari cvitici, con conseguente linea morbida nei confronti di una casa e fronte d’odio, sempre a priori, verso un’altra.
Ricordo per esempio che, a fronte delle mie recensioni molto, molto altalenanti nei confronti di un X editore, molti mi rinfacciarono proprio tale varieta, chiedendomi se a me Editore X piaceva o no perchè dalle recensioni non era certo chiaro. Si perdeva quindi di vista il fatto che si guarda all’opera d’arte singola e non certo a chi la scrive o a chi la pubblica…
Ovviamente tale editore cessò di inviarmi libri gratis, ma è comprensibilissimo e non faccio certo una colpa.