L’altro giorno (o stamattina sul cesso) mi sono venute in mente alcune bryllanti considerazioni sul mondo dello spettacolo e i rapporti che esso intrattiene con la massa della popolazione, nonché l’articolarsi storico di tale rapporto in almeno tre fasi storiche, che m’è venuto in mente di scriverci un post, cioè questo qui in persona. Naturalmente, siete liberi di andarvene affanculo come al solito.
Premessa. Se c’è una premessa doverosa da fare, è quella dell’impulso a migliorare le proprie condizioni di vita. Che sia una possibilità concreta o un’illusione da mentecatti, si tratta di un impulso determinante nelle scelte di ogni individuo. E’ pure al centro di tante, innumerevoli narrazioni di successo, sia nel senso letterale di romanzi e film, sia nel senso di cronaca della vita di questa o quella celebrità. Quante volte abbiamo sentito la storia dalle stelle alle stalle di Louis Armstrong, per dire? L’aspetto “stelle–>stalle” in casi simili è parecchio insistito, in maniera sottilmente populista: Armstrong arrivò alle stelle, ma ci arrivò innanzitutto perché era un musicista di genio e un uomo di grande intelligenza, due qualità che non sono poi così diffuse. Scelse la via della musica per la consapevolezza del proprio talento, per passione e perché ai tempi diventare musicista di professione era una delle cose migliori che potessero capitare ad un negro. Questo dovrebbe anche far capire quanto la storia dei negri naif tutti istinto che suonano la tromba sono emerite cazzate: questa gente per vivere voleva e doveva suonare, e se non si faceva il culo sullo strumento per diventare un musicista coi coglioni non trovava un cazzo d’ingaggio. Così, en passant.
Filmi
Bellissima (1951) di Visconti è uno dei classici del cinema, di quello italiano e, a fare i precisoni, della corrente neorealista. La storia è arcinota: Maddalena, una madre di estrazione popolana, stravede per la figlioletta Maria e vuole darle a tutti i costi un grande futuro. A Cinecittà fanno audizioni per un film, così Maddalena fa tutti i sagrifizi possibili per portarci Maria e magari farle vincere la parte. Tra le varie maestranze e genti varie incontrate per Cinecittà, Maddalena si imbatte pure in uno che finge di essere un aiuto regista disponibile ad aiutare la bimba in cambio di compenso. Quando poi la bimba fa il provino e viene derisa da regista e aiutanti in blocco, Maddalena fa una scena epica e se ne va incazzata come un’ape, capisce di aver sbagliato tutto e, avvilita più che mai, sfancula pure il contratto che alla fine il regista le offre, accortosi che in effetti la bimba ha delle qualità.
Basta Guardarla (1971) di Luciano Salce è uno di quei film meritevoli di riscoperta e rivalutazione. Racconta la storia di Enrichetta, contadinella ciociara che viene reclutata, quasi per caso e dopo qualche dubbio, dalla compagnia itinerante di Silver Boy, artista d’avanspettacolo che batte tutti i teatri più scarcassati d’Italia. Enrichetta, ribattezzata subito Erica, scatena però la gelosia dell’altra vedette, Marisa do Sol, che aspetta l’occasione favorevole per farla cacciare, riuscendoci poi con un vile tranello. Erica però casca bene, perché finisce nella compagnia di Farfarello, più grande e più illustre di quella di Silver Boy, che precipita in disgrazia e fa un fiasco dopo l’altro. Erica diventa addirittura la primadonna dello show di Farfarello quando la vedette Pola Prima si infortuna, ma la vendicativa Marisa do Sol, che aspirava pure allo show di Farfarello, fa un casino pazzesco. Erica a quel punto molla e torna dal povero Silver.
Questi due filmi, usciti a distanza di vent’anni l’uno dall’altro, rappresentano due diverse riflessioni sul mondo dello spettacolo e sul suo mito. Nel primo film siamo ad uno stadio, diciamo così, ultraepico: Maddalena vuole spingere la figlia nel mondo del Cinemone, quello dei grandi registi e delle grandi produzioni e delle grandi star, quelle che vivono al di fuori della portata dei comuni mortali. Passare quel provino poteva significare, per la piccola Maria, l’inizio di una carriera alla corte dei Grandi Registi e del Grande Cinema, di cui emerge il lato meschino e miserabile. Nel secondo film cambiano completamente i toni, perché siamo dalle parti della commedia caricaturale, e cambia pure l’ambientazione: il mondo dell’avanspettacolo, delle compagnie sgangherate che si esibiscono di fronte alle platee paesane in numeri scollacciati e volgari, fatti di orrende canzoncine, ragazze seminude che ballano, battute di infimo livello e scenografie patetiche. Dal sogno di una madre che vorrebbe vedere sua figlia diventare grande attrice siamo passati al sogno di una contadina semianalfabeta che aspira a canticchiare e ballicchiare seminuda di fronte ad un pubblico di palato poco fino. In entrambi i casi, si parla di personaggi con delle qualità al di sopra della media, perché alla piccola riconoscono le potenzialità dell’attrice, mentre Enrichetta è bellissima e sa muoversi, e tanto basta per diventare vedette di avanspettacolo. Volendo, si può estendere il ragionamento alle attrici principali dei due film: Anna Magnani (Maddalena) è certamente più brava che bella, e infatti grazie alla sua bravura s’è guadagnata un meritato posto nella storia. Maria Grazia Buccella (Enrichetta) è altrettanto certamente più bella che brava, di fatto è una caratterista efficace nelle parti ritagliate su di lei, e se non altro ha un piccolo seguito di affezionati (fra cui me medesimo). Entrambe hanno qualità che le differenziano dalla persona comune e spiegano come mai loro due sì e la vostra amica Genni no.
Nel tempo la soglia d’ammissione s’è abbassata, anche al di sotto di quel tanto di professionalità indispensabile richiesto. E’ uno di quei motivi per cui il cinema italiano è inguardabile. L’epoca del reality ha livellato completamente la soglia, capitalizzando sugli svantaggiati e sui casi umani che, col miraggio di diventare famosi e migliorare le proprie condizioni di vita, esibiscono la loro natura di troglominchioni a pile di fronte alle telecamere. Il discrimine è ora l’indifferenza all’amor proprio. Quanta dignità sei disposto a sacrificare per un quarto d’ora di celebrità? Questo spalanca le porte all’invasione dei caproni da reality o talent-show, facilissimi da giudicare e attaccare. Voglio dire, la Buccella forse non era una grande attrice, ma era di sicuro una bella donna e questo giustificava la sua presenza sullo schermo per interpretare i ruoli da bella svampita. Coi reality no, puoi puntare il dito e dire “guarda che ciccione, che mongoloide, che spastico, posso farlo anch’io anch’io anch’io che indecenza!” Andrà ancora avanti fino a che la gente non si sarà stufata, tranquilli. E di tutti questi reality, l’aspetto più ridicolo è quello del riciclaggio: relitti in gara per un nuovo quarto d’ora di celebrità all’Isola. E’ proprio qui che ci si ricollega all’attualità della scorsa settimana e ad Aldo Busi. Fino a poco tempo costui mi sembrava un imbecille amante della polemica gratuita, una persona volgare ed esibizionista che si nascondeva delle mutande della cultura, tipo Sgarbi per intendersi. Mi sembrava anche un’opinione largamente condivisa. Ora, Facebook alla mano, Busi è una specie di eroe, un rappresentante della Cultura, uno che non le manda a dire e che mette il dito nella piaga dell’ipocrisia della Rai e dell’Italia in generale. Non entro tanto in quel che ha detto Busi sul Papa e Abberlusconi, di per sé ha detto pure cose giuste, com’è vero che l’acqua è bagnata. Mi interessava sottolineare un altro aspetto: ormai nel reality si è codificata la figura dell’Espulso, la cui presenza garantisce la Polemica e di conseguenza strascichi, discorsi, articoli, ospitate e cazzabubbolate di cui beneficiano tanto l’Espulso quanto tutti i media di contorno. Stavolta si è puntato su un Espulso che rappresentasse la Cultura contrapposta alla Barbarie, Alto vs. Basso, secondo una dialettica usurata e trita ma sempre vincente, che provoca schieramenti opposti e ugualmente mongospastici.
Come si ricollega tutto ciò al discorso iniziale, a Bellissima e a Basta Guardarla? I due film fotografano l’aspirazione popolana alle luci della ribalta in due momenti storici differenti e con obiettivi differenti. I reality in sé dipingono la situazione corrente senza bisogno del film sul reality, almeno per ora. L’unica merce di scambio è la dignità personale, nessuna soglia di capacità minima è necessaria per avere almeno il quarto d’ora di celebrità. Il Bazaar ha spazzato via la Cattedrale e l’unico impedimento alla realizzazione del sogno di fama (anche se breve) è dato dall’elevatissima concorrenza. E cosa ci dà una buona misura del livello di decadenza (che a me diverte molto, sia chiaro)? Niente di tutto questo, quanto piuttosto il fatto che a passare per esponente della Cultura ci sia una nullità assoluta come Aldo Busi, che non a caso raschia il barile all’Isola.
Se penso che, negli anni ’70, a New York, il dibattito era fra due titani come Tom Wolfe e Leonard Bernstein (entrambi miei idoli, già che ci siamo)…
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